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Suggerimenti per l’intervento pubblico in montagna (di Enrico Bussi)

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Riceviamo da Enrico Bussi e pubblichiamo:

Enrico Bussi

Il settore primario ha un peso decisivo in montagna dove ci sono limiti per l’industria, il terziario e l’insediamento urbano. A sua volta la capacità di attrazione turistica dipende dalla presenza di un settore primario vitale, in grado di assicurare le cure al paesaggio e l’accoglienza.

Per avere delle efficienti attività agroforestali sono indispensabili le aziende famigliari in pianura e ancor più in montagna, sia nei Paesi ricchi di risorse, sia in quelli poveri di terra come l’Italia. Gli esempi riusciti sono noti, ovunque fanno perno su quel tipo di impresa e per tale ragione l’UE finanzia il Piano di Sviluppo Rurale attraverso la Politica Agricola Comune che si basa su fondi comunitari e nazionali. Adesso si discute come migliorare la PAC dopo il 2019, conclusi tre cicli.

Nel 2017 UNCEM-Unione Nazionale Comuni ed Enti Montani sforna in Piemonte un’ampia serie di iniziative rivolte alle soluzioni per tenere in vita l’Appennino (comincia sopra Cuneo) e le Alpi.

L’Università di Parma ha ospitato dal 28 agosto al 1° settembre il XV° congresso degli economisti agrari europei e il suo titolo “Verso un sistema agroalimentare sostenibile” mette in chiaro la direzione da prendere. Nel campus si sono svolti più convegni in parallelo ogni giorno per far intervenire più di 700 esperti, ricercatori e manager giunti dall’Europa e dagli altri continenti.

Un’organizzazione grandiosa ha permesso di affrontare i nodi su fabbisogno alimentare e uso corretto delle risorse, tecnologie industriali e salvaguardia delle biodiversità, salute del consumatore e strategie della distribuzione organizzata, spinte dei mercati e comunità locali, potere delle elite urbane e difesa delle comunità rurali, globalizzazione e sovranità alimentare…

La sessione iniziale dedicata a “Ripensare il sistema agroalimentare” ha ricevuto illuminanti contributi da biologi, medici, agronomi, scienziati di diversi Paesi per valutare quattro obiettivi:

  • Coltivare la sostenibilità e la salute
  • Coltivare la diversità biologica e culturale
  • Coltivare l’autonomia e la creatività sociale
  • Coltivare comunità rurali con politiche solidali e democratiche

Jean Pierre Berlan decano dell’Università di Montpellier ha fornito una sintesi efficace in 5 punti.

  1. La rivoluzione industriale in breve tempo ha distrutto la cultura agricola costruita in migliaia di anni imponendo la standardizzazione mentre l’essere vivente è caratterizzato dalla diversità. Si è impadronita della genetica separando la riproduzione dalla produzione. Ha sostituito le varietà facendo coltivare copie assolutamente identiche attraverso più generazioni. Ha monopolizzato la riproduzione che in natura è gratuita aprendo la lotta tra il capitale industriale e la vita. Ha messo ai margini l’agricoltura frutto della cultura contadina, un cammino opposto a quello che dovremo fare.
  2. L’industrializzazione dell’agricoltura richiede l’impiego di Energia fossile, una forza bruta che porta un vantaggio minimo e porta il suolo alla rovina. La vera Agricoltura sarà basata sull’ecologia, la scienza di far fare alla natura avrà bisogno di suolo fertile e vivente con miliardi di microrganismi.
  3. L’affermazione del riduzionismo scientifico è una delle cose più scandalose avvenute, considera l’insieme (la realtà) come somma delle parti, invece la complessità deriva dalle relazioni tra le parti. Il sapere scientifico ha inculcato il disprezzo per il sapere contadino, ma la futura Agricoltura sarà basata su azienda famigliare, collaborazione tra individui e ricostruzione della collettività. Servono formazione e addestramento con personale esperto, addirittura sessioni di psicoterapia verso operatori e amministratori, per superare la cultura individualista imposta dalla rivoluzione industriale.
  4. Trapiantare dall’industria l’economia di scala ha provocato le diseconomie di scala in agricoltura. Diffondere i trattori di grande potenza in montagna provoca danni al suolo, sbilancia le aziende agricole e fa sprecare l’aiuto pubblico. Non va bene privatizzare i profitti e socializzare i costi, è bene cercare equilibri tra l’economia connessa alla dimensione e l’economia legata alla biodiversità. Bisogna tornare all’uso ecologico dell’ambiente: non si possono impiegare le stesse tecniche in pianura e in montagna, coltivare gli stessi semi, allevare allo stesso modo le vacche e così via.
  5. Il sistema agroindustriale ha bisogno di spazio, non di suolo fertile, mentre l’Agricoltura si occupa veramente del suolo e offre una strada aperta alla creatività del contadino. La creatività porta a risultati superiori a quelli ottenuti con l’asservimento del contadino diventato lavoratore a cottimo.

 

Il sistema agroindustriale agisce come il cuculo, ha posto le sue uova nel nido dell’Agricoltura.

3 COMMENTS

  1. Un tempo le nostre campagne, di pianura, collina e montagna, erano costellate di “aziende famigliari”, quanto ad attività agricola, nella stragrande maggioranza a vocazione zootecnica, che andavano peraltro a configurare un solido e radicato tessuto sociale, dal quale presero vita anche i caseifici, a loro volta importanti punti di riferimento per le frazioni e le borgate, specialmente quelle più periferiche e decentrate. La dimensione di quelle aziende era talora piccola, o financo troppo piccola per la sussistenza della famiglia, cui si aggiungeva semmai una ubicazione disagevole, specie in montagna, e iniziò verosimilmente da lì l’esodo dalla terra, ma nel contempo altre si rafforzarono talché vi fu un periodo di tenuta più che buona dell’organizzazione agricola, vista nel suo insieme, salvo che poi l’esodo ebbe a ricominciare, e addirittura si intensificò, anche per motivi non necessariamente economici. Oggi sembra avvertirsi sempre di più la perdita di quel “mondo”, per una pluralità di ragioni che toccano anche gli aspetti valoriali, ma chi volesse eventualmente rimettere in piedi un’azienda agricola di quel tipo, oltre ai costi di impianto e di avvio, si troverebbe ad affrontare un complesso di adempimenti e prescrizioni che può divenire scoraggiante, tanto da far rinunciare ad un tale proposito (questo almeno è quanto si sente non infrequentemente dire). L’impressione è che le trasformazioni cui è andato incontro il nostro territorio, in una con l’evoluzione del quadro normativo nel suo complesso, abbiano ristretto e ridotto non poco gli ambiti in cui poter avviare o riavviare un’azienda agricola, se qualcuno fosse intenzionato a farlo, soprattutto se venisse incluso l’allevamento di bestiame, nel senso che l’odierno “contesto” non sembra prestarsi più di tanto ad una riproposizione di quel passato (fatto appunto di aziende famigliari calate in una realtà che era loro congeniale, e pure funzionale). Col senno del poi, valeva forse la pena di conservare in qualche modo quella “realtà” – almeno nei suoi tratti essenziali dal momento che vi sono trasformazioni inarrestabili, e pure irrinunciabili – mentre le cose sono andate invece un po’ diversamente, ed è successo grosso modo come per i cosiddetti esercizi o negozi di vicinato, dei quali c’è oggi chi sente la mancanza (sono del resto le contraddizioni dei giorni nostri, che ci vedono non di rado divisi tra modernità e tradizione, ovvero presente e passato, ma occorreva semmai pensarci prima, e in ogni caso serve a poco “piangere sul latte versato”).

    (P.B.)

    • Firma - P.B.