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Dall’Australia nel ricordo del patriota Rocco Nobili: sognava la ferrovia per Vetto, ne istituì la biblioteca popolare. Un giusto del suo tempo

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Alberto Nobili, pronipote di Rocco Nobili

Lui  è Alberto Nobili e, nelle righe a seguire, ripercorre le gesta di un brillante poeta, letterato e patriota vettese: l'antenato Rocco Nobili, nel centenario della morte. Un nome che dice molto ai vettesi con qualche anno sulle spalle e che i giovani, almeno, conoscono per la toponomastica, a lui infatti è intitolata la circonvallazione compresa tra via Arlotti e via Micheli nel capoluogo. Senza saperlo, però, tantissimi percorrono la strada Reggio - Castelnovo da lui voluta o hanno frequentato l'istituto tecnico, anche questo da lui voluto. Prima di lasciare spazio alle gesta del prozio conosciamo Alberto.

"Sono originario di Vetto - risponde a Redacon - , dove cerco di rientrare ad ogni possibile occasione di viaggio in Italia, poichè vivo e lavoro tra Sydney e Pechino. Dopo aver frequentato l’Accademia Militare di Modena ed essermi congedato dall’Arma dei Carabinieri con il grado di Capitano, mi occupo da più di dieci anni di sicurezza aziendale e gestione delle crisi per conto di importanti gruppi multinazionali. Ho vissuto e lavorato in Bosnia, Kosovo, Bulgaria, Kazakistan, Austria, Australia e Cina dove attualmente lavoro come dirigente responsabile della sicurezza nella regione Asia Pacifico per conto di un prestigioso gruppo automobilistico tedesco".

Felicemente sposato con una cittadina australiana dice di essere "orgoglioso padre di tre figli italo-australiani che ogni anno porto a trascorrere le vacanze estive nel nostro Appennino".

Perché questo pezzo sul proprio avo (uscito anche sul'ultimo numero di Tuttomontagna e ora a disposizione dei lettori di Redacon)? "Sono da sempre interessato alla storia ed alle tradizioni locali. Nell’estate del 2015, per una serie di fortuite circostanze, ho avuto la possibilità di trascorrere un paio di mesi nella casa paterna di Vetto ed avendone il tempo, ho deciso di mettere ordine tra i documenti ed i ricordi di famiglia. Da qui, e dal rinvenimento degli scritti e documenti personali appartenuti al prozio di mio padre Rocco Nobili, è nata l’idea di ricostruire le tappe principali della carriera professionale del mio antenato e riassumerle, in forma di articolo commemorativo, in occasione del centenario della morte del poeta e letterato vettese". (G.A.)

* * *

Per anni, nella sala da pranzo della casa paterna di Vetto, conosciuta dai vettesi come Ca’ Ricci, il mio sguardo è stato attratto ed incuriosito dal volto di Rocco Nobili, prozio di mio padre. È ritratto in una bella foto d’epoca che ho voluto condividere con i lettori di questo articolo a lui dedicato a cent’anni dalla sua morte.

Rocco Nobili

Dai racconti famigliari imparai a conoscerlo come il “prozio professore”. Negli anni e nei periodi trascorsi a Vetto, mi sono spesso imbattuto nelle tracce del suo passaggio e in frammenti della sua esistenza. Sono disseminati nei luoghi in cui trascorse buona parte della sua vita. La circonvallazione di Vetto a lui intitolata, la strada del Pomello verso il ponte della Rocca, le rive dell’Enza, lungo le quali meditò e compose alcuni dei suoi canti più belli e la stessa Ca’ Ricci da lui voluta e ristrutturata a fine Ottocento nello stile classico di quelle ville laziali che frequentò nei lunghi anni trascorsi come docente presso l’Istituto Tecnico di Viterbo. Quei luoghi che egli spesso si trovò a dover lasciare per proseguire gli studi e perseguire le sue ambizioni professionali, ma che sempre e comunque amò nel profondo e che mai riuscì davvero ad abbandonare. Amava Vetto, l’Appennino e la sua gente. Perché lì era nato e lì tornò a morire.

La sua fu un’esistenza intensa e ricca di avvenimenti. Spirito patriottico e liberale, fu poeta romantico classicheggiante, letterato ed appassionato archeologo, e valevole e leale rappresentante presso il Consiglio provinciale di Reggio Emilia delle istanze e della voce della gente della nostra montagna.

Rocco Nobili nacque a Vetto il 30 agosto 1839 e con molta probabilità venne alla luce in una casa sita nell’odierna Circonvallazione Rocco Nobili, in quel gruppo di case chiamato “il borgo” che gli anziani chiamavano a quei tempi “Ca’ de Bravi”. La sua famiglia, di antiche origini vettesi, era composta dal padre Natale, dalla madre Maria Maddalena Azzolini, dal fratello Luigi, mio bisnonno, e dalle sorelle Irene, Letizia e Carolina Fortunata. Natale, sposando Maria Maddalena, si era trasferito a Vetto dalla vicina frazione del Casone di Rebecco. Cresciuto in un contesto per quei tempi agiato, in una famiglia di proprietari terrieri legati da parentela al famoso giureconsulto Pellegrino Nobili, Rocco ebbe il privilegio di potersi dedicare ed essere indirizzato sin dalla giovane età agli studi filosofici e letterari. Gli anni dell’adolescenza li trascorse a Vetto in un periodo in cui l’Italia era scossa da violenti fermenti rivoluzionari. Erano gli anni del Risorgimento italiano, anni di spiriti romantici e liberali, della lotta di un popolo che aspirava ormai da secoli ad affrancarsi da una servitù percepita come ingiusta ed opprimente. Se l’esperienza della Repubblica Cisalpina aveva portato ad inizio Ottocento all’autonomia politico-amministrativa di Vetto, la Restaurazione che seguì al Congresso di Vienna riportò il territorio dell’Appennino reggiano nuovamente sotto l’egida della casata Estense ed il Comune di Vetto, ridimensionato nella sua autonomia amministrativa, sotto la gestione del Comune di Castelnovo Monti. Il ricordo di quei fatti, se non impresso nella memoria di Rocco, poiché a quei tempi non era ancora nato, doveva essergli stato certamente tramandato in famiglia da genitori e zii che quel periodo lo avevano invece certamente vissuto in prima persona. Rocco compiva i suoi vent’anni quando nel giugno del 1859 il Ducato di Modena e Reggio terminò la sua esistenza. Nel dicembre di quello stesso anno Carlo Farini dichiarò Vetto “Comune autonomo”. Per un giovane intellettuale crescere in un periodo così turbinoso e ricco di avvenimenti, annoverare tra i parenti della sua famiglia il Pellegrino, il figlio e i suoi figli Carlo e Domenico Nobili, protagonisti di primo piano delle esperienze repubblicane ed insurrezionali reggiane, non poté che contribuire a plasmare una coscienza ispirata ai più nobili ideali liberali e patriottici.

Questo articolo ha preso forma da questo baule di famiglia, con le testimonianze di Rocco Nobili

Lasciato Vetto per dedicarsi agli studi superiori, a perfezionare e a rafforzare ulteriormente questi ideali e a instillare in lui l’amore per la lettere, contribuì anche la frequentazione del Patrio Liceo di Reggio Emilia dove fu allievo per almeno tre anni di Prospero Viani, figura di rilievo della vita politica e letteraria reggiana.

E le lettere furono sicuramente materia di studio e di diletto in cui eccelse.

Armando Zamboni, famoso giornalista e scrittore reggiano del Novecento, che di Rocco Nobili pubblicò un profilo critico nel 1928, riferisce che in età giovanile “... aveva già acquistato nome presso i condiscepoli ed il pubblico di non comune poeta”. Nel 1865 infatti, in una strenna modenese Memorie e voti, cui collaboravano i migliori ingegni giovanili del vecchio Ducato Estense, pubblicava il carme Everelina, le liriche A Malvina e Il canto della madre arieggianti al più puro romanticismo, nonché alcuni ottonari di un brindisi improvvisato durante un pranzo a Carpineti, che erano uno strale feroce contro lo straniero.

Le tedesche inique iene per desio del nostro sol preser l’armi, e di lor vene inondar l’italo suol; ma dal sangue abbominoso delle belve d’Aquilon sorse il vino generoso che mi detta la canzon”.

Conseguito il diploma liceale si trasferirà a Modena per frequentare gli studi di Giurisprudenza che concluderà nel 1867. Tuttavia in quel momento le sue aspirazioni e la sua passione sono rivolte non tanto alla giurisprudenza quanto alla poesia e alle lettere.

Nel 1868, ventinovenne, per la tipografia Pier Capponi in Firenze pubblicò i Canti, che gli valsero a classificarlo e gli procacciarono rinomanza nell’ambito della provincia e fuori.

Nei Canti è contenuto l‘Addio ai miei monti, poesia composta a Vetto nel novembre del 1867. In quella che forse è la sua più attuale ed emozionante lirica, in maniera unica e superba riuscì a rendere vivi i pensieri ed i contrastanti sentimenti di chi, alla vigilia di una partenza dai luoghi amati dell’Appennino, rimpiange i momenti spensierati della giovinezza, vive il timore di non farvi più ritorno, ma accetta il rischio e la partenza confortato dall’immagine dell’alpe materna a cui rivolge il suo ultimo, sereno e speranzoso pensiero.

Addio, monti diletti, Enza nativa,

Addio, compagni dell’età mia verde...

Studi diletti, scorta all’alma errante,

Solo conforto della vita mia.

Quanti abbandoni lacrimaste e quante

Vittime aveste nella lunga via!

Per voi talora di sereni lampi

Vidi brillar l’april de’ giorni miei,

Poveri giorni! ma per voi perdei

La dolce libertà figlia dei campi.

Alpe materna addio, su cui riposa

Lo spirito afflitto dalla vana speme,

Meretrice del cor! Nella focosa

Stagion, che per la valle il rio non geme,

Se fuggo il guardo di nemica stella

Ritornerò fra le tue selve arcane,

E sulla sponda delle tue fontane

Mediterò la mia canzon più bella;

Ma se la bieca volontà de’fati

Laggiù mi segna la funerea meta,

Manda un’ala de’ tuoi venti odorati

A salutar l’avel del tuo poeta!

Tuttavia, quell’iniziale successo che avrebbe potuto e dovuto servirgli da incitamento per proseguire nella sua avventura poetica, coincise anche con l’apice della sua opera di letterato.

È ancora Armando Zamboni che ci spiega infatti come a causa dell’affermarsi nel panorama letterario di nuovi atteggiamenti artistici “... lo stile di Nobili, non certo privo di difetti e talvolta eccessivamente retorico e personale, fu anche oggetto di aspre e severe critiche. Criticato fuori d’ogni misura, ne sofferse non poco e, vinto da disdegno, si ritrasse dall’agone poetico, dove avrebbe potuto mietere in avvenire non scarsi successi se solo avesse saputo essere più accondiscendente alle nuove esigenze letterarie”.

Ma accondiscendente Rocco non fu mai. L’adolescenza ed il senso di appartenenza ad una famiglia di patrioti di forti tradizioni liberali avevano fatto di lui un idealista puro e non prono al compromesso. Soffrì le critiche ma per questo non mutò il suo stile e non si snaturò per mera convenienza o ricerca di un successo fine a se stesso. Dopo la pubblicazione dei Canti la sua produzione letteraria risultò limitatissima e scarsamente diffusa. Negli anni successivi abbiamo traccia e copia di diversi sonetti per nozze molto verosimilmente dedicati a persone a lui care, come quelli composti per la cugina Irene, figlia di Domenico Nobili, o di Antonietta Taddei, figlia della cugina Clelia Nobili, o ancora della contessa Caterina Fossa di Reggio Emilia.

A dispetto della sua laurea in Giurisprudenza, e forse per non tradire il grande amore per le lettere, preferì quindi dedicarsi al loro insegnamento. Del Rocco Nobili avvocato si ha infatti solo una notizia, tramandata in ambito familiare, di una causa da lui sostenuta in difesa della famiglia Marconi di Roncaglio contro l’applicazione della tanto osteggiata tassa sul macinato. Pur in assenza di evidenze e riscontri formali, sapendolo amico e politicamente vicino all’onorevole Gian Lorenzo Basetti, fautore della “Lega per l’abolizione della tassa sul macinato”, si può ritenere che una notizia del genere non sia priva di fondamento.

L'originale della referenza di Viani

Nel 1869, il suo mentore e professore Prospero Viani lo aiutò nella ricerca di una cattedra con una pregevole lettera di referenza in cui lo definisce “di molto e vivace ingegno e disposizione non ordinaria alle umane lettere... è giovane sì per ingegno e sì per onestà degno di molto riguardo e promettitore credibile di cose molto lodevoli come si ha già dato pubblico segno”.

Iniziò quindi ad insegnare lettere presso numerosi istituti superiori e professionali in una sequenza di trasferimenti per quei tempi avventurosi e non privi di rischi in un’Italia da poco unificata che ancora faticava nel processo di integrazione di alcune sue regioni.

Nel 1869 insegna a Riposto, in provincia di Catania, nel 1871 è a Recco presso l’Istituto Nautico. Il 1875 lo trascorre in parte a Caltanissetta e in parte a Sondrio. Si sposta per un breve periodo a Chieti nel 1878 ed il biennio successivo è a Reggio Calabria. Dal 1880 al 1883 insegna a Terni e qui, come riportato da un quotidiano locale, prese parola ed indirizzò un discorso a studenti ed Autorità in occasione di una celebrazione pubblica di commemorazione a seguito della morte di Giuseppe Garibaldi nel giugno del 1882. È un discorso retorico, patriottico, adatto a quella circostanza e proprio dello stile di quei tempi, ma che ci fa capire come, al pari della poesia, la passione e l’impegno politico lo esaltavano al punto da essere sempre ed ovunque una costante nella sua vita.

Negli anni di Terni ed in particolare nel 1881, in sintonia con la corrente “radicale” di Agostino Bertani, volle dare il suo contributo al dibattito politico del momento e sostenere le ragioni a favore del suffragio universale. Da “radicale legalitario vecchio stampo del ‘59”, come lui stesso si definiva, compose e venne stampata dalla tipografia L. Bondivalli di Reggio Emilia una pubblicazione dal titolo Il suffragio universale beninteso: note di cui una copia è ancora conservata presso la Biblioteca della Camera dei Deputati e da cui, a detta dello Zamboni, si evince chiaramente come il Nobili seguisse il sistema positivista.

Che partecipasse nonostante la distanza alle vicende politiche della sua montagna lo deduciamo anche da come da par suo cercò di sostenere lo sviluppo di una tratta ferroviaria dell’Appennino reggiano. Con grande talento di letterato e spiccato senso ironico pubblicò nel 1883 sul foglio reggiano La Minoranza Intransigente un’arguta “Canzonetta sul tramvai da Reggio a Ventoso e la ferrovia da Reggio a Caprile per Lucca”, dove sono indotti a dialogare furbescamente due immaginari amanti reggiani, Commodino e la Morettina, che percorrendo idealmente quella mai realizzatasi tratta ferroviaria commentano bellezze paesaggistiche e peculiarità di ogni luogo e fermata del loro viaggio.

Dopo una breve parentesi a Piacenza, sarà a Mantova negli anni 1884 e ‘85 e poi a Porto Maurizio, in provincia di Imperia, fino al 1886. In quell’anno si trasferirà a Viterbo. Nella località laziale vivrà ed insegnerà per ben 14 anni sino al pensionamento, nel 1910.

Alla luce di questo suo lungo viaggio professionale, l’Addio ai miei monti ci appare quindi come un poema premonitore di una reale partenza ed un distacco dal suo Appennino che, seppur frammentato da regolari periodi di soggiorno estivo nella natìa Vetto, durò in tutto l’arco di 41 anni. In questo lungo periodo, non del tutto abbandonato, ma come abbiamo visto sicuramente limitato il suo impegno di poeta, letterato e politico, si dedicò ed applicò con passione ed entusiasmo allo studio della preistoria, dell’etnologia e della linguistica.

Le ricerche e gli scavi archeologici divennero in questa seconda parte della sua vita molto più di un passatempo occasionale. Fu probabilmente l’amicizia con i di lui coevi don Getano Chierici, Naborre Campanini e del senatore Giovanni Mariotti, archeologo di fama internazionale e storico sindaco di Parma dal 1889 al 1914, a spingerlo verso una più approfondita e costante attività di ricerca archeologica. Nei Civici Musei di Reggio sono infatti conservati 11 frammenti rivenuti nelle adiacenze di Vetto e probabilmente attribuibili all’età del bronzo, da lui trasmessi a don Chierici. E fu sempre Rocco Nobili ad individuare e segnalare a don Chierici un possibile insediamento neolitico in località Pra’ del Lago nella Valle del Tassobbio. A testimonianza di questo impegno, il paleontologo reggiano volle celebrare la collaborazione con l’amico Rocco esponendo al completo il frutto delle ricerche da lui svolte nel territorio di Chieti ai tempi della sua docenza in quel centro.

Numerosi manufatti paleolitici, rinvenuti dal Nobili sui terrazzi di ghiaie alluvionali posti a circa cinquanta metri di altezza sul fiume Alento, a est di Chieti, sono esposti in due sportelli del Museo Gaetano Chierici di Reggio.

Per parecchi anni si dedicò inoltre allo studio della linguistica. Raccolse materiale di ricerca e cercò di chiarire come il dilagare delle parole di origine greca nell’Europa occidentale si fosse arrestato od avesse resistito ed interagito con le lingue celtiche, basche e liguri.

Dai ricordi di famiglia si sa inoltre che acquistò un terreno posto su di un promontorio in località Marola del Casone di Vetto per realizzarvi un osservatorio astronomico.

Questo era Rocco Nobili: una personalità poliedrica, una mente ed un cuore instancabili. Tra i documenti ritrovati nella casa paterna, in una dedica a lui rivolta da tale Pio Vecchi, si legge: “Al valente poeta Dottor Rocco Nobili fondatore della biblioteca circolante nel comune di Vetto”.

Questa ritengo sia un’altra testimonianza storica interessante se si considera che con il termine “biblioteca circolante” si indicavano nella seconda metà dell’Ottocento le biblioteche cosiddette “popolari”, organizzate per diffondere e promuovere la formazione culturale del popolo dell’Italia riunificata. Nel 1869 le biblioteche popolari erano 250 e dopo quindici anni ne furono fondate circa un migliaio. Vetto, grazie a Rocco Nobili, ne ebbe certamente una.

Fu quindi un intellettuale e strinse amicizie ed ebbe rapporti di reciproca stima con persone illustri del suo tempo quali i già citati Prospero Viani, Gaetano Chierici, Naborre Campanini, Giovanni Mariotti ed ancora Alberto Rondani, gli onorevoli Adeodato Bonasi e Gian Lorenzo Basetti, la poetessa bolognese Teodolinda Franceschi-Pignocchi, i modenesi avvocato Silvio ed il professor Annibale Campani.

Ebbe ancora a scrivere di lui lo Zamboni: “Animo generoso, non venne mai distratto dalle piccole cose. Benché di aspetto alquanto austero, come l’Alpe scoscesa ama plasmare i suoi figli, aveva avuto in dono una serena bontà nell’animo ed una sobria gentilezza nell’agire. Coltivò quindi l’amicizia, non disdegnando gli umili, che gli avevano allietato la puerizia, da cui ricordo traeva anzi conforto... aveva il culto dei parenti, di cui fu largo di consigli e aiuti. Soprattutto amava i giovani, che spronava sulla via dell’onestà e della bontà stimandosi prescelto dalla fortuna a giudicare della bellezza del cuore umano. Carattere leale, non sapeva le abilità proteiformi del pensiero e delle azioni, e n’ebbe perciò spesse noie nella vita professionale e politica, in cui non fu mai un mestierante, ma che praticò con sani intendimenti e con finalità precise e giuste... Era soprattutto un patriota, cui incombeva l’obbligo di necessariamente determinare il miracolo della concordia e della confederazione dei liberi per la difesa della Stato, delle leggi e dei codici violentati dagli impeti di isterismo reazionario: un uomo libero e una libera e retta coscienza, contrario ai sedicenti uomini d’ordine, i quali sostenevano e volevano la reazione. Il suo motto era quello di Gian Lorenzo Basetti, deputato di Castelnuovo Monti: ‘Ordine colla libertà, progresso contro la reazione’”.

La popolazione dell’Appennino lo volle suo rappresentante in seno al Consiglio Provinciale e lui la ripagò della fiducia con la serietà e l’impegno che gli erano propri. Sostenne e propugnò a tutte le forze la costruzione della strada Ciano-Castelnovo Monti e quella del Ponte del Pomello, che fortunatamente riuscì a vedere a compimento. Si spese molto anche per l’istituzione di una scuola tecnica a Castelnovo Monti che solo anni dopo la sua morte verrà realizzata.

Si spense infatti nella sua casa di Vetto il 23 febbraio 1918 a 79 anni circondato dall’affetto delle sorelle e del fratello Luigi.

Sarebbe eccessivo e storicamente errato annoverarlo tra i “grandi” del suo tempo, ma per impegno, vedute e rettitudine fu sicuramente un “giusto” della nostra montagna.

Sul Giornale di Reggio, il 27 febbraio 1918, Giuseppe Ferrari scrisse di lui: “Ebbe aspirazioni ferme e costanti in un’Italia degna di se stessa”.

Alberto Nobili

 

 

 

2 COMMENTS

  1. Mi complimento con Alberto Nobili per averci ricordato Rocco Nobili, un “grande” personaggio, non solo di Vetto ma del nostro comprensorio montano; il suo nome è legato ad altri grandi nomi dell’epoca, Giuseppe Micheli e Gian Lorenzo Basetti; peccato che la morte ci abbia tolto queste persone; dopo di loro non ha prevalso il diritto di avere le opere da loro previste che avrebbero fatto grande il nostro Appennino, ma è prevalso il diritto di chi sa dire di no a tutto. Ricordando i nomi di: Rocco Nobili, Giuseppe Micheli e Gian Lorenzo Basetti ricordiamo alcune opere da loro previste: ferrovia Reggio Ciano Vetto Castelnovo; ricordiamo autostrada Parma Spezia lungo la Valle dell’Enza; ricordiamo il progetto Bacino Grisanti e tante altre opere. Ferrovia e Autostrada sono state fatte ma in Val Taro contro ogni logica orografica del territorio e del Bacino Grisanti, l’unica opera ancora fattibile che darebbe lavoro e una speranza a queste terre, ci sono i “grandi” personaggi di oggi, se possiamo definirli “grandi” che dicono di no a quest’opera. Fino a quando su queste terre non avremo altri personaggi come Nobili, Micheli o Basetti quali speranze possiamo dare alle nuove generazioni?

    (Franzini Lino, sindaco di Palanzano)

    • Firma - Franzini Lino Sindaco di Palanzano
  2. Complimenti alla redazione per aver dato spazio ad una storia e ad un personaggio locale che ha dato lustro al suo paese e a tutto l’Appennino. La poesia è un vero capolavoro poetico, un vero poeta, personaggi così oggi ne nascono pochi. Ancora grazie.

    (Domenico Amidati)

    • Firma - Domenico Amidati