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I racconti dell’Elda 4 / “La Preda, storie segrete sulla Pietra di Bismantova”

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È sempre là sopra di noi con le sue rocce che scintillano illuminate dal tramonto del sole. Tanti hanno parlato e scritto di lei, gente che arrivava e la vedeva per la prima volta, ne restava affascinata (forse sarà stato così anche per Dante Alighieri?) Noi che siamo nati e cresciuti sui suoi pendii alla sua ombra, noi che ci sentiamo orgogliosi di essere “dlà Preda” non di Castelnovo, ci riteniamo suoi figli e da noi è sempre stata amata e rispettata.

Lei sovrasta sopra le nostre teste ci guarda e ci protegge come solo una madre può farlo. Durante l’ultima guerra ha spalancato tutti i pertugi che portavano alle sue grotte, accogliendo tutti quelli che cercavano rifugio sfuggendo alle retate dei Tedeschi, o alle vendette di qualche partigiano “pazzo”. Li teneva al sicuro cogliendoli fra le sue braccia, oppure nascosti fra le chiome del suo pianoro. Lì qualche uomo cercava riparo per questa ragione: “E qui potrei fare anche dei nome, ma non voglio farlo è gente che ormai non c’è più e mio padre mi ricordava spesso che i morti bisogna lasciarli in pace”.

C’erano anche persone di una certa età, massacrati dal primo conflitto mondiale e che non volevano più saperne di guerre, oppure ragazzi molto giovani che non si sentivano di bulleggiare coi loro coetanei con mitra e fucile in mano e non per codardia, ma molto più per buon senso, si erano rifugiati da Lei e con orrore da lassù vedevano l’innalzarsi del fumo grigio dai paesini al di là del secchia distrutti dai Tedeschi. Quando a notte fonda qualcuno tornava a casa per raccogliere qualche provvista da portare lassù raccontava queste cose, poi tornava alla sua montagna pregando che il tutto finisse presto.

La guerra è finita da un bel po’ di anni e il benessere che poi è arrivato ha portato le persone a sfidare questa montagna, che io con la mia fantasia l’ho sempre vista come un grande Altare piovuto dal cielo, le hanno mancato di rispetto, ricoprendola di chiodi e funi, la sua roccia è presa d’assalto ogni fine settimana. I suoi pendii non si riconoscono più sono invasi dai cespugli, anche se qualcuno cerca di recuperare i vecchi sentieri, la macchia e il sottobosco ricoprono tutto. Sassolungo si scopriva interamente da Castelnovo, ora si scorge solo una piccola bandiera che gli fa dire: “Ci sono ancora anche se non mi vedete”.

Anche lui è stato munito di chiodi e funi, pensare che anch’io da piccola vi salivo fin sulla punta senza bisogno di tanta attrezzatura, anzi mi levavo le scarpe per non fargli male. Sasso Appuntito è sparito soffocato da edera e vitalba, la sassaia sotto Riva Grande non esiste più, non tanti anni fa si sentiva ancora il rumore dei sassi che si staccavano dalla parete durante il disgelo, come è sparito il sentiero che univa i Pavoni con Cà di Secondo. Ciò che è successo in questi anni non è colpa di nessuno è stato il benessere che ha portato nelle case il riscaldamento coi termosifoni e l’acqua nelle cucine e nei bagni, la gente non ha più bisogno di procurarsi legna sui pendii della Pietra, né acqua alle sue sorgenti, perciò anche i sentieri sono spariti.

Come sapete ho ottant’anni, ma le gambe sono ancora ben piantate in terra, perciò la domenica mi metto uno zainetto sulle spalle e con l’aiuto di due racchette sfidando il via vai delle macchine per un bel pezzo di strada, infilo il vecchio sentiero che porta al Santuario, passo davanti alla vecchia maestà detta “la Madunina ed Bianclin” anche Lei ha subito durante la guerra un insulto gravissimo, le è stata frantumata la testa da  uno di quei partigiani che io definisco “pazzi” che Le ha sparato da vicino.  È ancora lì col capo mozzato e la gente si ferma per dire una preghiera o chiedere una grazia.

Faccio un appello a quelli del parco: “Prendete in considerazione questo tempietto che ha più di cento anni e sta crollando”. Questo Santuario l’hanno riaperto da poco, alcuni anni fa i Benedettini che per un centinaio d’anni si erano presi cura di questa chiesa se ne sono andati portandosi via tutti gli arredi di loro proprietà lasciando questa chiesa spoglia. E’ subentrato don Edo e noi tutti sappiamo benissimo che lui si cura più del benessere dello spirito delle persone che si affidano a lui, che del resto. Poi per finire un masso della bellezza di 500 tonnellate era caduto sul sagrato, danneggiando tutto, fortunatamente nessuna vittima.  Così anche il quadro della Madonna aveva seguito don Edo a Cagnola. Si è costituito un comitato per ricostruire al più presto, ma quando ci si mettono di mezzo le “Belle Arti” la fretta ti deve passare, poi tutta la parete di roccia doveva essere messa in sicurezza, perciò solo da poco si può ascoltare una sola messa alle undici di ogni domenica.

Certo che sono finiti i tempi di quando la gente arrivava da lontano in lunghe processioni e magari bisticciava davanti al portone per avere il privilegio di entrare per prima in chiesa, ed è per questo che un giorno, le processioni di Felina e Costa de Grassi, si affrontarono non solo verbalmente sul sagrato, volarono schiaffi, spintoni, bastonate e la gente raccontava che usarono anche i due Crocefissi che venivano portati in spalla da chi guidava le due parrocchie durante il tragitto. Sono finiti i tempi delle due donne, che io ricordo benissimo di aver visto passare davanti a casa mia, camminavano trascinando per terra le ginocchia che sanguinavano, andavano a ringraziare la Madonna per aver fatto ritornare i loro mariti dalla Russia. “Lei aveva premiato la loro fede”.

Oggi voglio andare a vedere i vecchi terrazzamenti degli orti dei Frati, mi hanno detto che la Cofar sta facendo un bel lavoro. Qui subentra un’accompagnatrice che supplisce l’altro, questo per un po’ se l’è data a “gambe”, facendo una vacanza a modo suo in posti dove la storia l’ha sempre appassionato. Al centro del curvone che porta sul piazzale, prendiamo la careggiata che scende verso Fontanacornia e subito dopo notiamo i lavori in corso, la pulizia del sottobosco sia a destra che a sinistra della carraia, piccole terrazze trattenute da tronchi, poi un sasso a forma di tavolo con sgabelli ricavati da un grosso albero, attira la nostra attenzione.

Lì imbocchiamo i sentieri che portano in alto, stupita guardo i grandi massi che nei secoli si sono staccati dalla roccia, non li avevo mai visti, anche se quella carraia l’avevo fatta parecchie volte, avevo sempre notato solo della macchia. Sono stati ripuliti e sono bellissimi certi sono appoggiati uno sull’altro formando capanne, la salita si fa bene e arrivate a un certo punto scorgiamo i muretti fatti a secco dai Frati più di un secolo fa, queste terrazze tirate fuori con bravura e cintate con dei pali, mi fanno pensare a questa favolosa Pietra che in quel punto sta sulle nostre teste. Il sentiero porta su fino al Santuario, ma non è ancora ripristinato completamente, aspetterò un altr’anno. Intanto applaudo e ringrazio il geometra Favali  “anche lui Bismantovino puro” che ha progettato tutta sta bellezza.

(Elda Zannini)

 

1 COMMENT

  1. Grazie Elda, tiene vivo il filo di un racconto spezzato, sollecitando ognuno di noi a raccoglierlo per farlo nuovamente nostro e comune. “Un altare donato dal cielo”. Il nostro racconto sarà diverso, lei già lo vede e ce ne consegna qualche timore nostalgico insieme a belle consolazioni, ma prego che sia caldo, prudente e tenero come il suo, passo dopo passo. Allora potremo sperare di onorare ancora il dono e farne nuovamente luogo per ritrovarci davvero, umanità dispersa e frastornata. Grazie!

    (Giovanni Teneggi)

    • Firma - giovanni teneggi