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Buon 2019 di Emanuele Zobbi

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Buon 2019!
Dopo i bagordi di Natale è ora di riprendere contatto con la realtà e di iniziare a prepararci al 2019, un anno che sarà molto difficile e problematico per l’Italia e la sua economia a causa sia del contesto internazionale che della nostra situazione interna.
Il 2018 è agli sgoccioli e l’Italia da un punto di vista economico registrerà un leggero segno positivo rispetto al 2017 (circa +1% dicono le ultime stime) grazie alle buone performances registrate nel primo semestre dell’anno. Nella seconda parte del 2018, sia a causa del peggioramento del contesto internazionale che del rallentamento della domanda interna e degli investimenti, si è registrato un continuo rallentamento della crescita della nostra economia (il terzo trimestre dell’anno si è chiuso a crescita zero).
Anche il contesto internazionale non è favorevole a causa di diversi fattori: la guerra commerciale iniziata tra gli Stati Uniti d’America e la Cina, il rallentamento della crescita dell’economia cinese, le tensioni geopolitiche che si stanno sviluppando in diverse parti del mondo e le prospettiva di crescita più modeste che si registrano in diversi paesi emergenti. Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea ed altri organismi internazionale, alla luce di questi eventi, stanno continuamente rivedendo al ribasso le prospettive di crescita mondiali per il 2019 (attestate attorno al 3% rispetto al 2018 che registrerà un tasso leggermente inferiore al 4%). Gli stessi Istituti consigliano agli Stati che hanno i peggiori fondamentali di bilancio (l’Italia è uno di questi a causa dell’altissimo debito pubblico e dell’economia stagnante) di promuovere misure volte a contenere gli effetti negativi derivanti da una nuova potenziale crisi economica internazionale.
Il governo del nostro Paese, entrato in carica la scorsa estate, ha avuto un avvio burrascoso conducendo una guerriglia politica contro una debole Europa per difendere un rapporto deficit/pil del 2% per il 2019 ed avere quindi qualche miliardo in più da spendere a debito. Questo ha innalzato il livello del nostro spread (e di conseguenza gli interessi sul nostro debito pubblico), ha prodotto 52 mld di aggravi fiscali per il periodo 2020-2021 (che saranno difficili da disinnescare) e ha generato una lunga negoziazione con la Commissione Europea per evitare la procedura di infrazione che avrebbe paralizzato la politica economica del nostro paese per i prossimi anni. In questi giorni il Parlamento vede le forti proteste della minoranza che rivendica il diritto di poter discutere adeguatamente la manovra, che è incentrata principalmente sull’avvio del reddito di cittadinanza e di quota 100. La prima misura serve sostanzialmente a supportare le persone senza lavoro e con un livello di Isee molto basso; la seconda serve a favorire un’uscita anticipata dal mondo del lavoro. I dettagli di entrambi i provvedimenti di natura non sono ancora stati ufficializzati e quindi non è possibile fare analisi dettagliate. Entrambe le misure saranno finanziate parzialmente a debito e quindi parte dei costi graveranno ancora una volta sulle prossime generazioni (ricordo che l’Italia ha un debito pubblico di circa il 130% del Pil). Altre coperture derivano, per citarne alcune, dal taglio alle rivalutazioni degli assegni pensionistici e alle pensioni d’oro, dalla web tax, da un nuovo programma di dismissioni immobiliari, dal divieto di assumere personale da parte di diversi enti pubblici sino al prossimo 15 novembre 2019.
Diversi giornalisti economici hanno affermato che sarebbe stato più opportuno destinare le risorse a disposizione ad un piano per incrementare gli investimenti pubblici e gli sgravi fiscali per gli investimenti privati (diversi spunti interessanti li potete trovare ogni sabato mattina alle ore 09:00 ascoltando il pungente programma radiofonico di Radio 24 “I conti della belva”). Gli stessi giornalisti sono convinti del fatto che solo con il lavoro una società possa crescere e svilupparsi. Altri opinionisti affermano che questa manovra è “senza attributi” perché non affronta nessuno dei problemi cruciali dell’Italia come il debito pubblico, la sostenibilità dei conti, la produttività delle imprese, l’istruzione, la ricerca, etc (diversi contenuti potete trovarli consultando il sito online linkiesta.it).
E allora perché il governo ha fatto queste scelte?
Come riporta il quotidiano La Stampa, nella conferenza di fine anno il Premier Conte ha affermato: “Piuttosto che dare soldi in busta paga, abbiamo privilegiato fasce di popolazione che negli ultimi lustri sono state svantaggiate. Abbiamo privilegiato le piccole e medie imprese, non le grandissime… Questo non è il governo delle lobby, dei potentati economici, dei comitati d’affari.”
I più critici, come il noto economista Michele Boldrin, affermano invece che: “La politica del populismo non consiste nel governare le contraddizioni ed i fattori di crisi, non consiste nel rimuovere gli ostacoli alla crescita o all’aumento del benessere dei cittadini, ma solo in una continua ed inutile guerriglia ideologica contro nemici immaginari. Boldrin ribadisce che noi dobbiamo preoccuparci non tanto dei ridicoli provvedimenti contenuti nel Def (Documento di economia e finanza) ma dell’assenza di provvedimenti che possano in un qualche modo aiutare a gestire la potenziale recessione in arrivo”.
È opportuno ricordare che siamo un paese fortemente indebitato, con un’ economia stagnante e con un quadro macro-economico internazionale in peggioramento per cui le scelte politiche devono essere dettate da senso di responsabilità e lungimiranza.
E l’opposizione in parlamento?
È offuscata dal grande attivismo dei partiti di governo e troppo debole per essere incisiva e per generare una proposta alternativa e credibile attraverso un dibattito costruttivo.
Per tutti questi motivi il 2019 per l’Italia si apre all’insegna della preoccupazione. La prima parte dell’anno vedrà il nostro paese impegnato nella campagna elettorale in vista delle elezioni europee. Parte della politica individuerà anche nell’Europa, nei burocrati, nei migranti i responsabili della crisi italiana. Mentre è noto che i principali responsabili di questa situazione sono da individuare nei circa 60 milioni di Italiani che dal secondo dopo guerra abitano questa Repubblica. Siamo noi i responsabili delle nostre azioni e dei nostri comportamenti. Dare la colpa a fattori esterni è da irresponsabili.
Confido, terminando con una nota di speranza, che gli Italiani capiscano che i fondamentali economici del nostro Paese sono deboli e che per uscire da questa situazione servono lavoro, sacrificio ed un dialogo costruttivo.
Avremo davanti a noi prove difficili e mi auguro che le affronteremo con coraggio e con spirito costruttivo, con passione e perseveranza. Se capiremo che il duro lavoro abbinato al talento e al ragionamento potranno salvarci, ce la faremo. Se invece ci faremo ingolosire dall’opportunismo, dalle ricette facili e dall’egoismo, saremo destinati ad un costante, e ahimè anche rapido, pericoloso declino.

(Emanuele Zobbi)