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Leopoldo Chinca (1789-1883). Il frate della Pietra, già trombettiere di Napoleone

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Leopoldo Chinca (1789-1883)

Il frate della Pietra, già trombettiere di Napoleone

La signora Elda ha buona memoria e buon fiuto storico. L'eremita, già soldato di Napoleone (tamburino, esattamente, un ruolo molto pericoloso sui campi di battaglia) è esistito davvero, si chiamava Leopoldo Chinca. Non abitava in una caverna, ma nel poverissimo conventino che i Terziari Francescani avevano accanto all'attuale chiesa. È ricordato in diversi articoli di giornali o diari di viaggiatori giunti alla visita dell'Eremo. Nella foto allegata, ne può trovare uno: un pezzo solo di un lungo articolo pubblicato sul quotidiano reggiano "L'Italia Centrale" del 12 ottobre 1875.

Qui di seguito può anche leggere il brano che lo riguarda nel volumetto pubblicato dalla Diocesi nel 2001, quando i Benedettini (che erano a Bismantova dal 1925) hanno lasciato Eremo e Parrocchia di Ginepreto.

Cari saluti all'Elda. I suoi articoli sono sempre preziosi

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«Come noto, i governi italiani promananti dalla rivoluzione francese ebbero tra le prime mire la soppressione di enti religiosi e l’incameramento dei relativi beni. Ma la fama che aveva l’Eremo di Bismantova, e, soprattutto, l’attaccamento che nei suoi confronti nutriva la popolazione di tutta la montagna erano tali che valsero – e fu davvero un miracolo per quei tempi – a impedirne la soppressione.

Restò famosa la visita che il Barone Porro, prefetto di Reggio Emilia, compì all’Eremo nel 1809. Colpito dalla bellezza e dalla santità del luogo, ottenne dall’Imperatore Napoleone I° che l’Eremo andasse immune dalla confisca dei beni.

Il caso – o la Provvidenza – volle che negli anni seguenti proprio un ex militare di Napoleone diventasse un noto e benefico eremita di Bismantova: fra Leopoldo Chinca (1789-1883). Così descrive un suo incontro con lui un “alpinista” che, nel 1875, in gita sull’Appennino, giunge con gli amici in visita a Bismantova:

«Avevo sentito più volte parlare del padre Chinca, monaco della Pietra, come d’un vero e autentico romito che era stato già vero ed autentico soldato del primo Napoleone, e però mi prese vaghezza di conoscerlo.

M’accolse, infatti, il buon vecchietto e, dopo avermi porta una bevanda, mi fé leggere la sua storia e me la commentò ampiamente; egli era stato arrolato come tamburo ed avea avuto l’onore di battere la carica in più d’un assalto, finché alla battaglia di Lipsia, preso in mezzo da due russi e ferito, cadde prigioniero.

Larghi gli furono d’elogi i suoi superiori, ma furono parole, com’egli disse, che il vento della Restaurazione dileguò, sicché, dopo aver attesa invano giustizia, deluso dalle promesse degli uomini, si rivolse a Dio e si fé romito di Bismantova. Toccherebbe al nostro Governo che tante ingiustizie del dispotismo ha riparate, a riparare anche questa». (L’Italia Centrale, 12 ottobre 1875).

Fratel Leopoldo chiuderà gli occhi otto anni dopo quell’incontro. I suoi sessantaquattro anni di servizio alla Madonna, tutti all’insegna di una fedeltà crescente e di una semplicità che gli avevano accattivato l’amore di tutta la montagna, testimoniavano ai pellegrini quanto fatue fossero le umane grandezze e quanto grande e sicura, invece, la speranza posta in Dio.

La vicenda di fratel Leopoldo – che accolse nel santuario tanti illustri visitatori, come nel 1837 il Duca di Modena Francesco IV con la consorte arciduchessa Maria Beatrice, o, nel 1857, il vescovo di Parma monsignor Felice Cantimorri – ebbe effettivamente una certa provvidenziale riparazione a tutto vantaggio del Santuario al quale egli aveva dedicato la vita e di cui in quegli anni era amministratore. Le leggi di confisca dei beni ecclesiastici emanate nel 1866 e 1867, infatti, non lo toccarono. Qualche provvido funzionario, constatandone la fama, anche in paesi lontani, e la devozione verso di esso di tutta la montagna, pensò bene di catalogarlo come “stabilimento monumentale”.»

I suoi pochi beni e i i terreni che lo circondavano vennero salvati dalla vendita all’asta e, soprattutto, i suoi eremiti poterono continuare a vivere in comunità, sotto la regola dettata dal vescovo Picenardi conservando l’abito religioso e proseguendo nelle annuali questue.

(da Il Santuario Diocesano della Beata Vergine della Natività in Bismantova, Ed. Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla, 21 ottobre 2001)

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