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I racconti dell’Elda 24 / “I Tarocchi”

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I Tarocchi, regina di spade

Nella mia lunga vita, ne ho viste e sentite di cotte e di crude, ma il mio pensiero vola volentieri verso i così detti anni verdi, gli anni della mia adolescenza, della mia fanciullezza.

Avrò avuto sì e no quindici anni, i quindici di allora, fatti di Azione Cattolica, messe, vespri, suore e tante buone letture, alle volte penso di aver passato leggendo quasi metà della mia vita, ma forse esagero un po’.

Un giorno ero a casa con la mamma, quando all’improvviso scoppiava un grosso temporale con tuoni e fulmini, mentre guardavamo da dietro i vetri della finestra, scorgevamo due figure che correvano e si rifugiavano nella nostra stalla. Premetto che questa faceva parte della casa, prima era stata la bottega da falegname del papà, poi lui si era trasferito in paese e in questo seminterrato la mamma aveva trovato il posto giusto per tenerci una mucca e la famosa capra “Zerbina” che col suo buon latte sosteneva le colazioni e le cene di tutta la famiglia, mentre quello della mucca finiva nella latteria della Vittoria. Dal momento che in questo posto ci si arrivava direttamente dalla cucina, andammo a vedere se queste due persone avevano bisogno d’aiuto.

Uno lo conoscevo benissimo era Tonino, il figlio di Secondo che abitava nell’ultima casa della via della Pietra e l’altro era suo zio, fratello di sua madre la “santa” Rosa. Santa, perché direte voi? Lei era una donna d’altri tempi, laboriosa, molto riservata, sempre sorridente, non si lamentava mai di niente e di nessuno, la sua vita era dedicata alla casa, alla famiglia, alla campagna, una donna come ce n’erano poche anche a quei tempi.

Subito guardavo incuriosita questo strano ometto, non l’avevo mai visto prima, non tanto alto, piuttosto magro, che mi guardava con due occhietti vispi intelligenti, col mozzicone di sigaro spento fra le labbra e una lieve barbetta grigia che gli copriva metà viso. Tonino disse che non si erano bagnati molto, si erano tolti solo “al giȇubèt” qualche goccia niente in tutto, per fortuna che la stalla era aperta, e ora stavano comodamente seduti sulle balle di paglia dorata, di quelle piccole rettangolari che si usava fare allora, che in quel momento facevano le veci di comode poltrone.

Il vecchietto, mentre continuava a fissarmi, tirava fuori dalla tasca un mazzo di carte da gioco, non molto grosso e non erano quelle da briscola, le conoscevo bene, ci giocavo con mio padre. La cosa mi incuriosiva sempre di più e continuavo a guardare queste carte mentre le mescolava.

La mamma lo conosceva abbastanza bene, sapeva che lo chiamavano Mingöll e veniva da Cerredolo dei Coppi, era conosciuto come rabdomante, con una forcella di legno cercava l’acqua, quando la forcella cominciava a tremargli fra le mani faceva scavare e lì sorgeva un pozzo e si diceva anche che sapesse interpretare i Tarocchi. Allora gli chiedeva se poteva predirgli il futuro con le carte, lei era sempre molto depressa, dopo la tragica fine di mia sorella non si era più ripresa. Lui però disse:

“Dopo, ora voglio far le carte a (ste fiulina) questa ragazzina”.

Restavo stupita, era una cosa di cui ne avevo sentito vagamente parlare, cose proibite, cose da maghi o da zingare, un signore così educato, zio di un mio quasi coetaneo, lo presi come uno scherzo.

Lui cominciò a dividere le carte, facendo varie colonne sempre su una balla di paglia davanti a me e sempre fissandomi negli occhi, mentre Tonino diceva:

“Agh ciàpa, set, agh ciàpa”. Ci prende, sai, ci prende.

Cominciò col dirmi che in quel periodo avevo un “pitino”, un ammiratore che non era del posto il cui nome cominciava per A. Subito il mio cervello si mise in funzione, a Montebabbio quando andavo da don Battista, c’era un ragazzino che abitava lì di fronte, il cui nome cominciava così, ma io non mi ero mai accorta che mi “piteggiasse”, anzi mi stava un po’ antipatico, anche se la zia Cleofe ogni tanto mi prendeva in giro, ma non dissi nulla, anzi cambiai strada dicendo:

“Mi sapete dire se diventerò ricca?”

Questa sì che era una cosa interessante e lui rispose:

“No, ma avrai altre soddisfazioni”.

Poi continuò dicendo che dopo qualche anno avrei incontrato una persona che sarebbe stata molto importante nella mia vita e il cui nome cominciava per G e che avrebbe avuto a che fare con la giustizia. Allora la mia risata si fece sentire:

“Un ladro? O addirittura un assassino?”

Intanto lui continuò imperterrito:

“Avrai tre figli, due prima e uno dopo”.

Poi tacque un po’ sempre guardando le carte.

“Però, però!”

Allora non stetti più al gioco e lo fermai con uno scatto deciso, non credevo in niente di ciò che mi diceva, panzanate, addirittura iniziali di nomi? Una pazzia vera e propria. Lui raccolse le sue carte e se le rimise in tasca, il temporale era passato, se ne andò col nipote ringraziando per l’ospitalità e completamente dimentico della richiesta di mia madre, che fra l’altro non aveva insistito colpita dalla mia reazione.

Questo signore mi è tornato in mente molte volte, specialmente dopo aver sposato una persona il cui nome cominciava per G e aveva a che fare con la giustizia, lui era un poliziotto, dopo che mi sono nati due figli prima, 60 e 62, e uno dopo, 69, e quel però che avevo fermato mi inseguiva spesso.

Allora col senno di poi lo cercai e mi dissero che era stato ricoverato in una casa per anziani a Montecchio dove aveva finito i suoi ultimi anni di vita e che nel momento della morte, col rosario in mano pregava e diceva che vedeva la Madonna sulla porta della camera, era venuta a prenderlo. (Forse aveva scambiato una suora che si prendeva cura di lui per la Vergine).

Mi hanno riferito che tutti lo ritenevano un originale, un po’ fuori di testa, ma secondo me si sbagliavano non era fuori, era semplicemente una persona sensibile, basti pensare all’acqua che trovava nei posti più impensati, una persona alla quale qualcuno, chissà chi, gli aveva insegnato a leggere i grandi arcani dei Tarocchi, in un momento che la chiesa li aveva proibiti, che forse li aveva studiati e aveva imparato a interpretarli a modo suo. Ora non voglio dire che queste cose esistano, tanto più che al giorno d’oggi il mondo è pieno di ciarlatani che fanno le budella d’oro alle spalle di gente momentaneamente debole.

Il mio omino non ha mai voluto soldi da nessuno, è morto povero in canna in una struttura pagata dal Comune e io posso solo dire alla moda di Tonino:

“Fin a cul pȇunt l’ha, al gh’aiva ciapà!”

(Elda Zannini)

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