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In ricordo di Enrico Zambonini, anarchico e socialista fucilato con don Pasquino

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Domenica 5 gennaio 2020, alle ore 11, nella Piazza del Comune a Villa Minozzo viene ricordato Enrico Zambonini,  partigiano anarchico fucilato dai fascisti il 30 gennaio 1944 al poligono di tiro di Reggio Emilia con altre 8 persone, tra le quali don Pasquino Borghi.
Enrico Zambonini era nato a Secchio di Villa Minozzo il 28 aprile 1893, anarchico e tenace antifascista si avvicinò all'anarchismo nel primo dopoguerra e con l'ascesa del fascismo fu esule in Francia e in Belgio. Militante della rivoluzione spagnola e poi partigiano sulle nostre montagne, il 30 gennaio 1944 venne fucilato al Poligono del Tiro di Reggio Emilia dalle squadre fasciste. La giornata è organizzata dalla Federazione Anarchica Reggiana - Fai e dall'Unione Sindacale Italiana - CIT Sez. Reggio Emilia.

"...Il 29 gennaio il Tribunale lo condannò alla pena capitale, da eseguirsi il giorno seguente, nove partigiani tra cui Zambonini. Tre erano disertori della Gnr. La sentenza fu eseguita a San Prospero Strinati, il quartiere di Reggio Emilia dove era il Poligono di tiro. Zambonini, dopo aver rifiutato i conforti religiosi, mostrò il pugno chiuso urlando "Viva l'anarchia!"

La biografia di Enrico Zambonini

Nasce a Secchio di Villa Minozzo (Re) il 28 aprile 1893 da Ferdinando e
Virginia Comastri, meccanico, muratore e minatore. Il padre, conduttore
di muli, è di orientamento radicale, una posizione non certo diffusa nei
piccoli borghi dell’alto Appennino reggiano, dove prevalente è il ruolo
della Chiesa. Pur aiutando il padre nel lavoro Z. frequenta fino alla 3a
elementare, con buoni risultati. Nel 1906, quando ha appena 13 anni,
come tanti altri abitanti della montagna prende la via dell’emigrazione:
si trasferisce a Genova, in casa di uno zio paterno, il quale però
quattro anni dopo s’imbarca per l’America. Rimasto solo, continua a
vivere e lavorare a Genova e si avvicina al movimento socialista.
Chiamato alle armi nel 1913, assegnato a un reggimento di artiglieria da
montagna, è inviato in Libia dove il suo reparto è impegnato nelle
azioni di repressione della guerriglia indigena. Durante il servizio
militare – torna dalla Libia solo agli inizi del 1919 – si avvicina alle
posizioni anarchiche, senza con ciò interrompere completamente i
rapporti con i socialisti: lo dimostra il fatto che alla fine del 1919,
quando è già rientrato in Italia ed è attivo militante nella CdL
sindacalista di Sestri Ponente, partecipa all’assemblea costitutiva
della sezione socialista di Villa Minozzo e sottoscrive una lira “pro
automobile rossa”, cioè per l’acquisto di un’auto che doveva facilitare
lo spostamento degli oratori socialisti nella montagna reggiana. Come
detto, nel corso del 1919 è a Sestri Ponente. Oltre ad essere attivo
nella CdL partecipa alla costituzione del sindacato minatori aderente
all’USI. Rientra però varie volte nel suo paese natale, dove non manca
di svolgere propaganda libertaria. È ricordata anche la sua
partecipazione come attore a un Maggio, una forma di teatro popolare
caratteristica dell’Appennino. In occasione di uno dei suoi rientri,
nell’estate del 1922, mentre assiste alla rappresentazione di un Maggio
a Gazzano è aggredito da un gruppo di fascisti, al grido di “A morte
l’anarchia”. Riesce però a tener testa agli avversari e a rientrare a
Secchio senza conseguenze. Decide però di partire subito e di espatriare
clandestinamente in Francia. Inizialmente si stabilisce a Marsiglia,
dove trova lavoro in una azienda di prodotti chimici e dove prende parte
alla vita del movimento anarchico esiliato. Alla fine del 1923 si
trasferisce a Saint Raphaël, occupandosi prima come meccanico e poi come
direttore di una cooperativa edile. Nel 1928 è accusato ingiustamente di
aver attentato alla vita di un agente consolare fascista. Nel corso
della perquisizione del suo alloggio la polizia trova solo materiale di
propaganda anarchica e al processo Z. è assolto da ogni accusa.
Conclusasi positivamente questa vicenda, Z. ritiene però opportuno
cambiare paese e si sposta a Liegi, in Belgio, dove trova lavoro prima
come meccanico e poi come muratore. Anche qui è segnalato dalla polizia
come attivo anarchico, tiene conferenze e partecipa a numerose riunioni.
Nel 1932 si trasferisce in Spagna, a Barcellona. Nell’autunno 1934,
mentre si trova con la sua compagna in Francia, è arrestato e condannato
ad un mese di reclusione per infrazione al decreto di espulsione,
ricevuto tempo prima. Scontata la pena, riparte per la Spagna. Al
momento della sollevazione dei generali e dell’inizio della Guerra
civile Z. è a Barcellona; partecipa dunque alla primissima fase di
organizzazione della presenza armata antifascista in questo paese. È tra
i primi aderenti alla Sezione Italiana della Colonna “Ascaso” FAI-CNT,
con la quale partecipa ai combattimenti di Huesca e Almudévar.
Nell’aprile 1937, quando la Colonna si scioglie per protesta contro la
militarizzazione, rientra a Barcellona, dove trova impiego come
meccanico presso il sindacato dell’alimentazione della CNT. Partecipa ai
tragici scontri del maggio 1937 e mentre è impegnato nella difesa della
sede del Sindacato dell’alimentazione rimane ferito al volto. Rimane
comunque in città ed è tra i promotori di una colonia per gli orfani di
guerra, che è effettivamente aperta il 7 novembre 1938 a Pins del
Valles. Agli inizi del 1939 ripara in Francia, stabilendosi a
Perpignano. Fermato dalla polizia francese è internato nel campo di
Argelès-sur-Mer. Nel luglio 1941 è ricoverato in ospedale per i postumi
delle ferite riportate nei fatti di maggio a Barcellona. Il 6 agosto
1942 è consegnato alla polizia italiana: trasferito a Reggio Emilia, è
rinchiuso in carcere e poi condannato nel settembre 1942 a cinque anni
di confino nell’isola di Ventotene. Come tanti altri anarchici alla
caduta del fascismo non è liberato ma inviato nel campo di
concentramento di Renicci di Anghiari (Ar). Durante il trasferimento,
però, si rifiuta di proseguire il viaggio ed è allora rinchiuso nelle
carceri di Arezzo. Viene liberato solo il 4 dicembre 1943 e può così
tornare a Secchio. In questo periodo nell’Appennino reggiano sono in
formazione alcune bande partigiane. Già sono saliti i fratelli Cervi con
i loro compagni, e anche il Partito comunista sta cercando di dare vita
ad un movimento clandestino. Z. entra in contatto con gli antifascisti
della zona, che gli prospettano la proposta di assumere il comando del
gruppo partigiano che si vuole costituire a Cervarolo. Ma cerca di
riprendere i contatti anche con gli anarchici che in Emilia sono attivi
nella lotta partigiana, e si incontra Emilio Canzi di Piacenza, Aladino
Benetti di Modena e Attilio Diolaiti di Bologna. Il 21 gennaio 1944 i
fascisti accerchiano la parrocchia di Tapignola, dove è a riposo una
formazione partigiana. Nasce un conflitto a fuoco e i fascisti mentre si
ritirano arrestano il parroco, Don Pasquino Borghi. Il giorno dopo
arrestano pure Z. e lo trasferiscono in carcere a Reggio Emilia. Il 30
gennaio, dopo un processo sommario, quale rappresaglia per le ripetute
eliminazioni di esponenti fascisti da parte dei gappisti, Z., don Borghi
e altri sette esponenti socialisti e comunisti sono fucilati al Tiro a
segno del capoluogo. Egli rifiuta i conforti religiosi e muore gridando
“Viva l’anarchia”. Nella sentenza pubblicata sul «Solco fascista» del 1°
febbraio 1944 si legge che i nove sono condannati alla pena di morte per
concorso in omicidio di quattro fascisti e “per aver nel territorio
della provincia di Reggio nell’Emilia, con decisi atteggiamenti, con
parole, con atti idonei ad eccitare gli animi, alimentato l’atmosfera
dell’anarchia e della ribellione e determinato gli autori materiali
degli assassini a compiere i delitti allo scopo di sopprimere nelle
persone dei Caduti i difensori dell’indipendenza e dell’unità della
Patria”. In più, a Z. è contestato “di aver combattuto contro le truppe
fasciste, nelle orde rosse in Ispagna”. Dopo la fucilazione, è
seppellito nel cimitero di Villa Ospizio, dove sono i resti dei sette
fratelli Cervi. Un distaccamento partigiano della montagna prenderà il
suo nome, omaggio a una persona esemplare dal punto di vista della
militanza antifascista. (C. Silingardi)
Fonti
Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario
politico centrale, ad nomen.

Bibliografia: L. Arbizzani, Antifascisti emiliani e romagnoli in Spagna
e nella Resistenza, Milano, 1980, ad nomen; I. Rossi, La ripresa del
movimento anarchico italiano e la propaganda orale dal 1943 al 1950,
Pistoia 1981, ad indicem; P. Bianconi, Gli anarchici italiani nella
lotta contro il fascismo, Pistoia 1988; F. Montanari, L’utopia in
cammino (Anarchici a Reggio Emilia 1892-1945, Reggio Emilia 1993; A.
Zambonelli, Vita battaglie e morte di Enrico Zambonini (1893-1944),
Reggio Emilia [s.d.].