Home Cultura Manzoni e gli “Inni Sacri” – 2 – La Passione

Manzoni e gli “Inni Sacri” – 2 – La Passione

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Con la Quaresima inizia la preparazione alla Pasqua. È un periodo destinato alla riflessione sul mistero della morte e della resurrezione di Gesù. Un periodo da dedicare alla meditazione, alla considerazione del proprio ruolo di cristiani, al proposito di passare dall'indifferenza all'impegno.

Nel momento più doloroso, il Venerdì Santo, quando la liturgia commemora la Passione del Cristo, anche nell'apparato esteriore ci si adegua ad una situazione di lutto: i paramenti liturgici sono di colore viola, non si celebra la Messa, non suonano le campane.

A creare quell'atmosfera di mestizia, nel componimento La Passione (1814-1815), contribuisce la scelta della metrica: strofe di decasillabi, di cui il quarto e l'ottavo tronchi, come se ci fosse un singhiozzo. Si ha la sensazione di un canto funebre, di una sventura incombente. Manzoni è stato attento a scegliere un ritmo adeguato alla festività celebrata: gaio a Natale, triste per la Passione, quasi marziale per la Resurrezione, spontaneo come un canto popolare a Pentecoste, discorsivo ed esplicativo per Il nome di Maria. Lo stesso metro della Passione Manzoni lo userà anche nel coro del Conte di Carmagnola (1820) per sottolineare la crudezza, l'inutilità e la disumanità delle guerre, la sconfitta della ragione.

Nei ricordi dell'infanzia, di quando il mondo era ancora prevalentemente agricolo, resta la memoria di momenti di riflessione, di raccoglimento. Pur essendo all'inizio della primavera quel giorno vagava nell'aria la sensazione di un dolore da non profanare. Ed era un sentimento interiore, non un precetto. Sentivamo la necessità, non l'obbligo, di recarci in visita al Sepolcro, in chiesa, come si va a casa di una famiglia colpita dal lutto.

L'autore, anche in questo componimento, ci propone il messaggio di questa ricorrenza documentando le basi della dottrina cattolica. Ripassa i momenti della liturgia particolare per quel giorno: Non si aspetti di squilla il richiamo, / Nol concede il medesimo rito, ne giustifica gli spunti di riflessione con i riferimenti biblici, le Lamentazioni di Isaia, che riferiscono di un virgulto che nascerà in un terreno arido (spunterà come tallo da nuda / terra, lunge da fonte vital). Infatti Gesù non trova l'adesione e il riconoscimento da parte della propria gente. E come Sansone, tradito dalla propria sposa, rende libero il popolo di Israele con le mani tese tra due colonne (come quelle del Cristo in croce). C'è poi la narrazione del viaggio dall'Orto del Getsèmani al Calvario, l'amarezza del tradimento, il processo falsato e la morte in croce, come narra la tradizione. C'è il richiamo alla debolezza umana. Pilato, preoccupato per il proprio ruolo, non riesce a capire chi è veramente Gesù: Non lo seppe il superbo Romano. E condannò il Giudeo per il proprio tornaconto: “ la sua vil sicurtade salvar”. Il dramma si conclude quando “un altissimo grido levando / il supremo sospiro mandò”.

Come già detto in altra occasione, il Manzoni fonda la propria fede sui fondamenti basilari del credo cattolico: Sacra Scrittura, Liturgia, Tradizione, e anche questo componimento è farcito di citazioni del testo sacro, narra i fatti come sono presenti nella memoria del popolo, cita elementi e arredi della liturgia del Venerdì Santo.

Infine c'è (chiusura finale) l'implorazione che quel Sacrificio non sia vano: “Oh gran Padre, per Lui che s'immola / cessi alfine quell'ira tremenda; / e dei ciechi l'insana parola / volgi in meglio, pietoso Signor”. E, come per la maggior parte dei riti cattolici, si conclude invocando l'intercessione di Maria: “E tu, Madre, che immota vedesti / un tal Figlio morir su la croce / per noi prega, o regina dei mesti...”.

Un giorno di lutto, si, ma di lutto composto, di meditazione, e di speranza.