Home Cultura Elda rimembri ancora… (4^ puntata)

Elda rimembri ancora… (4^ puntata)

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Continuiamo a sperare nel vaccino, ma come vi avevo già detto sarà una cosa lunga; mi hanno spiegato che ci sarà anche un richiamo dopo un po’ di giorni. Una volta, quando esisteva la parola “accettazione” si usava dire “A srà cumi Dio vȇol”.

Forse i piccoli sono tornati sui banchi di scuola e così deve essere, mettere dei bambini davanti a uno schermo piatto e freddo certamente non è né sano né educativo. Loro hanno bisogno del calore della loro classe, dei loro amici, della loro maestra che nei primi anni di scuola diventerà per loro un personaggio importante, una seconda mamma che li aiuterà a crescere e a inserirsi e ad accettare le regole di questo mondo.

E i grandi? Direte voi? Sì certamente, anche i grandi hanno bisogno di frequentare di ritrovare il loro gruppo, il professore che è il loro faro che li guida nei primi meandri della vita e se qualcuno di questi insegnanti pensa che l’insegnamento non sia una missione è meglio che vada a pulire delle scale così fa meno danno alla società.

Poi perché tardano così tanto prima di riaprire? Cos’è questo tira e molla? Per salvaguardare i più deboli? Ma loro ci pensano da soli a stare riguardati “se ci tengono alla loro salute”, vaccinate i giovani che hanno tutta la vita in mano, tanto “più che vecchi non si diventa”, noi ormai o col covid o senza siamo arrivati alla linea di confine. Sono loro che domani dovranno costruire e le donne giovani che devono procreare, se vogliamo che questo mondo continui a esserci. Forse voi pensate che sti ragazzi staranno tappati in casa con la mascherina, ma sapete benissimo che non è così o di qua o di là si ritrovano, forse correrebbero meno rischi a scuola, incontrandosi sui banchi con le dovute precauzioni.

Scusatemi, questo è solo il pensiero di una vecchia, ora cambio subito argomento, torno subito ai piccoli:

Allora bambini è arrivata la Befana? Vi ha portato anche un po’ di carbone? Ricordatevi che non è Befana se non c’è un po’ di carbone o cipolla o aglio.

Naturalmente io continuo a rispondere alle vostre tante domande:

“C’erano le auto quando tu eri piccola?”

Volete sapere dei mezzi di trasporto e vi accontento subito, ecco in quel periodo non si vedevano in giro tante auto, a parte la vecchia corriera dal muso lungo che arrivava da Reggio una volta al giorno e poi proseguiva fino al Cerreto e al suo passaggio spandeva una gran puzza di gasolio. Ricordo la Topolino del veterinario Battaglini e la Balilla del dott. Campanini, ma prima da qui passava ancora il dott. Vezzosi a cavallo, in quel modo lui raggiungeva i vari borghi per curare le persone che non potevano alzarsi da letto. Ricordo i suoi capelli bianchi scompigliati dalla galoppata o dal vento.

La levatrice usava ancora “il cavallo di San Francesco”, cioè andava a piedi, camminava in fretta appoggiandosi a un bel bastone lucido appena ricurvo, guardava avanti coi suoi occhialini argentati e tondi, se c’era il sole, si metteva quelli neri, ma sempre fatti allo stesso modo. Era seguita dal giovane papà che era andato a prelevarla e le portava la valigetta di “fibra” che conteneva i vari strumenti che le servivano per aiutare le mamme a mettere al mondo i bambini, allora questi nascevano in casa nel lettone della mamma. Poi al ritorno era più rilassata camminava piano guardando il panorama.

Come mezzo di trasporto c’era anche il calessino dell’arciprete tirato da un cavallo e vedevi sempre seduto vicino a lui il padre, vecchio, basso, magro col naso aquilino e la faccia arcigna, che con una mano teneva le redini e con l’altra faceva girare la “scùria” cioè la frusta.

Nei giorni di mercato poi arrivavano dal di là del secchia (Sologno, Cerè, Carù ecc.) Le persone che cavalcavano gli asini o i muli, stavano seduti sul primo e un altro o due se li tiravano dietro con le gerle attaccate al basto, dentro queste qualche pollo o coniglio, se era primavera portavano gli agnellini e i capretti da vendere, ma  al ritorno queste gerle venivano riempite con ogni sorta di cose, che servivano per la casa, partendo dal cibo e finendo con le stoffe o le pentole.

Certi contadini si recavano al mercato col biroccio tirato da due mucche e magari ne approfittavano per portare un sacco di frumento al mulino di Raoul Capanni e riportarselo a casa pieno di farina appena macinata. Sul carro poi stavano sedute la moglie e la mamma di lui “la suocera”, che durante il tragitto continuava a fare la calza coi quattro ferri e il gomitolo di lana di pecora in tasca e intanto osservava il comportamento della nuora, la spesa che questa faceva e i sorrisi che elargiva e magari aveva sempre qualcosa da rimproverare…Benedette suocere!

La gente per spostarsi usava le gambe e i bambini per arrivare a scuola dovevano percorrere parecchi chilometri con la borsa di pezza a tracolla. Arrivavano da Terrasanta, la Croce, il Terminaccio, dal Monte e da Frascaro, in classe con me c’erano due bimbe di Cà del Grosso vicino a Rosano, l’Evelina e l’Agnese. Alle volte arrivavano a scuola fradici, perché durante il tragitto si era scatenato un acquazzone, o coi piedi gelati, perchè avevano dovuto calpestare tanta neve, allora le maestre buone e comprensive li facevano avvicinare alla stufa “rossa” le famose Becchi, che Mario il bidello aveva acceso la mattina presto, in modo che l’aula si riscaldasse prima dell’arrivo degli alunni, poi ogni tanto entrava in silenzio, portando altra legna e attizzava il fuoco.

Il mezzo di trasporto di casa mia era solo la biciclettona del papà che trainava un carretto attaccato a un gancio sotto la sella, dove venivano caricate le casse funebri e portate in quel modo nei paesi e nei comuni vicini.

In famiglia avevano imparato tutti ad usarla staccando il carretto e io che ero la più piccola e avevo le gambe corte, non arrivavo ai pedali stando seduta sulla sella e neanche se mi sedevo sulla canna “era una bicicletta da uomo molto alta”. Allora un giorno stanca di essere presa in giro da mio fratello Nilo, mi sono infilata sotto la canna e ho imparato a pedalare stando là sotto di traverso, non era facile tenere l’equilibrio, penso di essermi fatta i muscoli delle braccia usando la bicicletta in quel modo.

Questi, cari bambini sono i mezzi di trasporto che ho conosciuto io.

  Elda Zannini

 

 

2 COMMENTS

  1. Meno male signora Elda che ci dà ancora la possibilità di leggere i suoi bellissimi racconti. Io ricordo solamente Mario, il bidello delle mie scuole elementari. Assieme all’Ada li chiamavamo i bidelli buoni.

    Paola Bizzarri

    • Firma - Paola Bizzarri
  2. Brava Elda! Sempre belli ed interessanti i tuoi scritti, ma soprattutto per la nostra generazione tanto veri perché vissuti: anch’io e mia cugina Agnese arrivavamo a piedi, già stanche (avevamo percorso strade sassose, bagnate e infangate). La maestra era anche mamma e ci permetteva di asciugarci e riscaldarci: grazie maestra! Solo una precisazione: io venivo da Ottosalici e Agnese da Ca’ di Cagnola, non da Ca’ del Grosso.

    Evelina

    • Firma - Evelina