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Toano, Simone Raggioli premiato al We Write 2021

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Nella splendida cornice della sede del Consorzio del Parmigiano Reggiano, nel pieno rispetto delle normative vigenti, si è svolta giovedì 3 giugno la cerimonia di premiazione del premio letterario We Write 2021 promosso dal Giornale di Reggio. Presenti i 6 vincitori del concorso e i 16 studenti premiati con le note di merito.

Tra questi anche il toanese Simone Raggioli, dell'Istituto Nelson Mandela di Castelnovo ne' Monti. L'unico studente del territorio appenninico ad accedere alla ristretta rosa dei premiati finali, appunto con la nota di merito. Raggioli frequenta un indirizzo professionale meccanico, con ottimi risultati. Ha scritto un elaborato molto profondo, personale e diretto sulla difficile situazione vissuta dai ragazzi della sua età da più di un anno a questa parte, a causa della pandemia.

Al concorso hanno partecipato 120 i ragazzi di 21 istituti superiori di città e provincia, i quali si sono cimentati nella scrittura di temi sulle 10 tracce proposte dalla commissione di giuria presieduta da Maurizio Costanzo e Massimo Giletti. A tutti i ragazzi è stata data una targa, il libro con tutti i temi svolti e una punta di Parmigiano Reggiano offerta dal presidente del Consorzio, Giorgio Catellani che ha salutato i ragazzi complimentandosi con loro insieme al referente di sezione Paolo Govi. Il tutto si è concluso con una splendida foto di gruppo e un arrivederci alla prossima edizione.

Orgogliosa la preside dell’Istituto Mandela, Monica Giovanelli: “Si tratta di un importante concorso al quale partecipiamo tutti gli anni, e che già in altre occasioni ha visto riconoscimenti assegnati al nostro istituto. Siamo orgogliosi del riconoscimento a Simone perché evidenzia come anche un Istituto tecnico sia in grado di dare ottime competenze trasversali, non solo nelle materie professionalizzanti ma anche in quelle classiche che rappresentano la base di un buon livello culturale personale. Simone è sempre stato un ottimo studente”.

L’elaborato di Simone vincitore di una nota di merito

Vengo considerato come componente della generazione “z”, coloro che durante la pandemia hanno perso praticamente tutto quello che avevano, la possibilità di imparare a relazionarsi socialmente in un gruppo, la possibilità di studiare ed apprendere con un sistema scolastico articolato ed efficiente, siamo però altrettanto quelli che non si sono mai permessi di lamentarsi, che hanno accettato in modo servile tutto quello che veniva imposto dalla società, cercando di ricordare a tutti che  qualsiasi cosa accadesse, tutto sarebbe andato per il meglio solo con la forza della nostra sensibilità e generosità.

Ormai è trascorso più di un anno da quel surreale inizio di restrizioni, dove il mondo mi si è visto cadere addosso, tutte quante le certezze che possedevo svanite in pochi attimi, come un boato che ti assorda, la mia vita ha preso una piega inaspettata, entrato poco più che ragazzo, ne sto uscendo uomo, dovendo affrontare tematiche che non mi sarei mai aspettato di incontrare in questa età ancora fanciullesca, abituato a chiedere e ricevere mi trovo a dover usare parsimonia in qualsiasi spesa, trovarmi ad asciugare le lacrime dei miei genitori che temono di non riuscire a sostentare tutte le mie richieste, anche se purtroppo questa situazione la si vive in gran parte delle famiglie italiane, dove piccoli imprenditori e aziende vedono morire i propri sogni guadagnati con lacrime e sudore, in un economia tirata al lastrico basata su inutili speranze di ripartenza.

Mi manca la “quotidianità” o almeno quella che consideravo così, i volti delle persone care hanno assunto ormai lineamenti sfocati, quelle voci che riempivano i miei silenzi, le risate è gli abbracci sinceri dati alle persone che amo sono diventate solo un lontano ricordo, mi ritrovo a convivere in stanze vuote dove i miei pensieri riecheggiano, vorrei urlare ma dalla mia bocca non escono parole, mi sono trasformato nel nemico di me stesso, lo capisco quando rimembro tutte le volte che ad una chiamata di un amico ho rifiutato un invito ad uscire, a tutti quei saluti svogliati dando per scontato il rivedersi poco tempo dopo.

In questa pandemia ho perso tante persone a me care, senza neppure l’occasione di dargli un ultimo saluto, soltanto foto di sguardi esanimi di chi spesso riempiva le mie giornate da bambino, cresciuto in un paese “vecchio” sono stato preso sotto l’ala protettrice di anziani che con perle di saggezza mi hanno insegnato tutti i valori fondamentali a cui ora adempio, proprio loro i “nonni”, gli unici che indifferentemente dalle decisioni che prendi sulla lunga via della vita, sapranno sempre cosa dire, ma ora tutto è cambiato, i loro sguardi sono diventati vuoti, caduti in un vortice di scoraggiamento, dopo aver accusato un cambio troppo repentino della propria quotidianità, tutti quei piccoli che riempivano le loro giornate scomparsi, il mio pensiero spesso ricade verso gli anziani in case di cura, lontane da figli, senza più avere una spalla sui cui piangere nei momenti di sconforto, portandoli nel baratro della depressione, quella solitudine opprimente, anche se in compagnia distaccati dal universo che li circonda.

Ho sempre amato quei paladini mascherati che combattevano antagonisti molto più forti e aggressivi di loro, possiamo dire che in questa situazioni gli eroi esistono, non hanno super poteri, ma si ritrovano ad affrontare un nemico invisibile e silenzioso che attacca senza distinzioni di genere: i dottori e infermieri che passano le giornate a fronteggiare con turni al limite tolleranza umana un epidemia mondiale, tutte le mattine  si preparano consapevoli di non poter tornare a casa abbracciando i propri figli, per paura di trasmettere i geni di questa infezione, ma in imperterriti continuano, salvando migliaia di vite umane ogni giorno, rincasando esausti, in lacrime ma consapevoli che senza le loro gesta non si vincerebbe questa battaglia impari; loro sono i veri supereroi dei tempi moderni.

Il mio carattere e profondamente cambiato in questi mesi, mi rendo conto di  non essere più spensierato come anni fa, vivo con l’incessante timore del futuro, in una nazione lacerata, non c’è la certezza di portare il “pane a casa”, di un domani trovare lavoro, di riuscire a mettere su famiglia, in assoluto pensando all’avvenire se mai arriverà un pargolo nella mia vita sarò abbastanza titubante quando mi chiederà di questi anni: le notti passate a piangere soffocando le grida in un cuscino, la rabbia inoculata nel mio essere, le perdite delle persone a me più care, le inutili crisi esistenziali che ogni giorno mi fanno sprofondare in un orribile sconforto e con le lacrime agli occhi sopprimerei tutti i miei pensieri di quell’epoca passata con un lungo respiro,  replicando che tutto questo ormai è solo un lontano ricordo, perché non c’è futuro se si vive nel passato.