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Con la sua consueta meditazione settimanale di don Paul Poku su come per essere un giusto sia necessario essere servo tra i lupi

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don Paul Poku

La prima lettura di questa domenica ci fa capire che essere un giusto è essere un servo tra i lupi, i cattivi che sempre mettono in difficoltà il nostro cammino nella strada della santità. Molte volte siamo tentati di rispondere alla forza del male con altrettanta fermezza, ma la Scrittura vuole insegnarci che la vera forza con la quale possiamo sopportare le sfide e le persecuzioni è la mitezza.
Nella seconda lettura Giacomo rincara la dose sostenendo che l’uomo giusto potrà seminare la pace nella vita sua e di coloro che gli sono intorno, mentre gli empi seminano solo odio e guerra.
Il brano del vangelo si apre con una descrizione molto significativa: «Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse». Mentre spesso Gesù e i discepoli erano seguiti dalla folla, stavolta Gesù ha cercato un momento di intimità e solitudine coi suoi discepoli; la ragione è che aspettava il momento opportuno per rivelare loro qualcosa di fondamentale, ovvero il suo progetto: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Quando oggi sentiamo questo discorso, spesso entra nella nostra mente la figura di Giuda, colui che avrebbe tradito Gesù. Ma se prestiamo attenzione alle parole del Signore, egli non afferma di venire consegnato da un uomo: è suo Padre che consegna suo Figlio affinché per mezzo di lui il mondo sia salvato. Inoltre Gesù afferma che il suo progetto non finirà con la morte, ma si completerà dopo tre giorni con la risurrezione.
Per i discepoli questo discorso era difficile da comprendere, tanto più che la morte di Gesù veniva interpretata come fosse il fallimento della sua missione; infatti «non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo». Avevano però discusso per tutto il viaggio su una questione piuttosto umana, ovvero «chi fosse più grande». La loro attenzione era focalizzata sulla gloria umana (e non è un caso che questa conversazione si sia tenuta a Cafarnao, dove si trovava la casa di Pietro, il leader degli apostoli). Di fronte a questa discussione Gesù si sedette (assumendo così il suo ruolo di maestro) e insegnò ai discepoli questa importante lezione: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Mentre gli apostoli hanno discusso sull’“essere più grande” (partendo così da una prospettiva terrena), Gesù cambia piano di discorso parlando di “essere il primo”, ovvero ciò che è meglio per la nostra vita, ciò che non può essere trascurato. La via per ottenere questo primato è il servizio disinteressato verso gli altri, imitando il divino Maestro che è venuto affinché ogni uomo sia salvato: come egli ha donato la sua vita, così anche noi dobbiamo essere pronti a donare noi stessi non lasciando spazio al nostro egoismo.
Per chiarire meglio il suo pensiero, Gesù chiamò a sé un bambino dicendo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». In quell’epoca il bambino si occupava delle faccende domestiche obbedendo agli adulti senza essere affatto ringraziato per il suo servizio. Chiamandoci all’accoglienza verso i piccoli, Gesù ci chiama quindi ad accoglierlo nelle persone che servono senza avere nulla in cambio, senza avere un rendiconto personale; allo stesso tempo dobbiamo anche noi conformarci all’esempio del bambino, così da essere veri seguaci del Cristo.
Buona domenica