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Don Paol Poku incentra la meditazione domenicale su Dio che viene a ricondurre i suoi figli in esilio alla loro terra

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don Paul Poku

La prima lettura di questa domenica tratta di un racconto di consolazione, in cui Geremia sogna Dio che viene a ricondurre i suoi figli, sofferenti in esilio, alla loro terra. Per spiegare la loro debolezza, vengono nominate le figure del cieco, dello zoppo e della donna incinta, a sottolineare la loro vita senza luce e dipendente da altri; Dio però verrà come un padre e li renderà la dignità di figli perduta.
Se nell’Antico Testamento Dio era intervenuto per guidare il suo popolo, la seconda lettura ci insegna che Dio è venuto in mezzo ai suoi figli come sommo sacerdote, Gesù stesso. Egli è infatti colui che è stato appositamente scelto dal Padre per cancellare il peccato dell’uomo.
Venendo al Vangelo, a una lettura approssimativa, il brano odierno potrà sembrare una semplice descrizione di un miracolo di guarigione: un cieco cui Gesù ridona la vista. Ma sotto la superficie si nasconde un senso teologico molto più profondo, un autentico cammino di fede. Chi è innanzitutto questo cieco? Ci viene presentato come «il figlio di Timeo, Bartimeo». Ma analizzandone l’etimologia, capiamo ben presto che questo è un nome finto, metaforico. In ebraico Bartimeo significa “figlio di Timeo”; inoltre in greco Timeo significa “degno di onore”. Strano che il nome Bartimeo (“figlio di colui che è degno di onore”) appartenga a un cieco che chiede l’elemosina! In realtà nella Bibbia la cecità è il simbolo di quella malattia spirituale che impedisce all’uomo di riconoscersi peccatore, illudendolo di essere perfetto e condannandolo a una vita non realizzata. La svolta nella vita del cieco avviene quando incontra Gesù sulla strada tra Gerico e Gerusalemme (molto frequentata dai mendicanti in periodo pasquale) e ne accoglie il messaggio di salvezza. Subito invoca l’aiuto del Signore, implorandone misericordia («abbi pietà di me!»), ma molti tra quelli che seguono Gesù lo rimproverano: quale amarezza nel trovare ostacoli sulla strada verso la salvezza proprio nelle persone al seguito di Cristo! Il cieco però non si abbatte, anzi, grida ancora più forte manifestando così la sua piena fede in Dio. Proprio a seguito di questa smisurata preghiera, Gesù lo chiama a sé e i discepoli lo incoraggiano ad avvicinarsi. Cristo opera infatti mediante i suoi fedeli e, se nella Chiesa alcuni frenano il progetto di Dio, molti altri operano per avvicinare gli uomini a Lui.
La strada per la salvezza è ora aperta davanti al cieco. Egli getta via il mantello che indossava, gesto che nella Bibbia significa l’abbandono della vita condotta fino ad allora. Di fronte alla sua conversione Gesù gli pone la domanda decisiva: «Che cosa vuoi che io faccia per te»? Questa è la stessa domanda che Gesù ha posto a Giacomo e Giovanni nel brano di domenica scorsa. Ma mentre i due apostoli avevano risposto chiedendo la gloria personale, qui il cieco risponde dicendo: «Che io veda di nuovo!». Sembrerebbe una richiesta scontata per un cieco, ma attenzione: in greco l’espressione “vedere di nuovo” potrebbe essere tradotta anche come “vedere alto”, cioè elevare lo sguardo verso Dio, il solo che può dare un senso all’esistenza. Solo così si capisce la risposta di Gesù, che non dichiara il cieco guarito, ma «salvato»; e solo così si capisce perché il cieco, trovata la salvezza in Gesù, non lo ha più abbandonato ma «lo seguiva lungo la strada». Se dunque Bartimeo è un nome fittizio, è perché in lui dobbiamo riconoscere noi stessi: ciechi davanti ai nostri peccati e bisognosi della fede necessaria per convertirci e metterci alla sequela di Cristo.
Buona domenica