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Trekking a cavallo in Appennino

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Questo è il bello del nostro Appennino: un’amazzone che arriva dalla città di Reggio Emilia, non la conosco, non so il suo nome, incontrata per caso in sella ad un magnifico cavallo nero in solitaria passeggiata sulla strada che porta al monte Ventasso: ha sorriso all’obiettivo della macchina fotografica manifestando così la serenità e la gioia del suo procedere lento alla scoperta della nostra montagna, in perfetta sintonia con il cavallo che neppure lui ho riconosciuto nell’antica razza del “cavallo del Ventasso”. Alcuni esemplari esistono ancora presso qualche famiglia dell’Appennino, come quelli che appaiono nella foto scattata nei pascoli di Valbona, accarezzati da una giovane.

Un quadrupede snello e veloce la cui origine risale al medioevo e conservata dalla famiglia Bertoldi-Cabassi attraverso il passaggio da una generazione all’altra. All’epoca i cavalli del Ventasso, cresciuti liberamente nei pascoli “morbidi e ricchi di erbe medicamentose”, erano molto ricercati perché particolarmente idonei alle battaglie. Venivano addestrati da esperti Cavalieri delle Valli Ramisetane, imbattibili mercenari pronti a partecipare alle battaglie tra uno stato e l’altro, ovviamente sempre dalla parte del più forte, ossia di chi pagava di più. Del resto il Manzoni insegna come sia impossibile stare dalla parte dei poveri, perdenti e offesi in tutte le situazioni.

Ramiseto, fedele alle tradizioni del proprio territorio, prima di essere inglobato nel confuso ed anonimo Comune Ventasso, l’ha sempre conservata e celebrata l’antica tradizione della “Fiera del Cavallo del Ventasso”, sospesa soltanto in questi ultimi due anni di pandemia del coronavirus, pur mantenendo sempre acceso il desiderio di riprenderla al più presto e chissà che non sia quest’anno.

L’immagine della giovane reggiana sul cavallo nero mi ha ricordato quando anch’io, da ragazzo, cavalcavo a pelo sui sentieri dell’Appennino inseguendo qualche sogno, inevitabile nel momento di simbiosi tra cavaliere e cavallo immersi nella natura. Anche questo è turismo, anzi è il vero turismo dell’ambiente naturale che risolleva l’animo dalle angosce quotidiane. E ci mancava anche la guerra ad azzittirci tutti con il rumore delle bombe che spacca i timpani, perché la guerra non si fa con le parole e neanche si ferma con le parole e le buone intenzioni sulle cose al di là da venire.

La guerra c’è adesso e i morti si contano ora per ora, giorno per giorno mentre noi parliamo inutilmente di domani. Chi cade oggi, perde il domani con tutti i buoni propositi e i sogni i una vita che, interrompendosi tragicamente, lascia un vuota nell’escalation di questa società sempre più carente di energia positiva. Nell’Appennino qualcuno ricorda ancora la Resistenza, la guerra di Liberazione quando tutti, spaventati, andavano a nascondersi nei boschi e, come viene raccontata, sembra assomigliare molto a quella che stanno combattendo in Ucraina.

Questo significa che la storia non insegna nulla, i cicli storici inesorabilmente si ripetono. Dio ce la mandi buona.

Settimo Baisi

1 COMMENT

  1. Signor Settimo, io la guerra l’ho vissuta da bambina, ma è ancora impressa nella mia mente, Il dolore, che regnava nella mia famiglia, il sangue dei feriti nel bombardamento, il pianto, la fame, la paura, le marce dei nemici coi loro ordini secchi in una lingua incomprensibile e non voglio accendere il televisore per non rivedere le stesse scene. Diciamo pure “Dio ce la mandi buona”.

    EldaZannini

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