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Populismo: una domanda viene spontanea

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Riceviamo e pubblichiamo

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Negli  ultimi decenni si è fatto largo uso del vocabolo “populismo”, quale “arma politica” per dipingere l’avversario come figura intenzionata ad ammaliare e sedurre l’elettorato con promesse mistificatorie e difficilmente onorabili, tese soltanto a concentrare nelle proprie mani quanto più potere possibile, attraverso una investitura popolare, a mo’ di “incoronazione”, di per sé legittima in quanto passata dalle urne, ma poco consona o adatta alle prassi democratiche, che affidano di norma agli organismi collegiali  le prerogative  e attribuzioni per scelte cosiddette strategiche.

Dalle sue origine fino ad oggi, ossia per circa un secolo e mezzo, questo termine ha probabilmente incontrato differenti interpretazioni, forsanche dai toni accomodanti, o comunque non troppo acidi ed “ostili”,  e in giro per il pianeta ha verosimilmente riguardato ambedue i versanti politici, ma dalle nostre parti, che io ricordi, è stato sempre impiegato per “colpire” un solo versante, non di rado in pariglia con un “repertorio” di parole affatto amichevoli, quali demagogia, sovranismo, fascismo, cesarismo, dispotismo (in un sorta di   insistente  “gridare al lupo”).

I supercritici del populismo si sono convertiti al presidenzialismo?

In ogni caso, come populismo abbiamo comunemente inteso, nel nostro immaginario, il caso di una personalità che si propone come “Leader” e governante, e “arringa” per così dire la “folla” vantando la capacità di dar soluzione a problemi complessi, e di far casomai uscire il Paese da situazioni difficili, puntando in tal modo ad attrarre consenso e voti sulla propria persona, cioè un populismo che nasce  “dall’alto”, per rivolgersi alla “base”, e guadagnarne ampio favore nella cabina elettorale, ma di recente abbiamo assistito ad un fenomeno apparentemente “capovolto” (e  speculare).

Capovolgimento anticipato da un fase in cui i supercritici dei populisti non hanno disdegnato o respinto l’idea di siglare intese con chi essi stessi, in precedenza, avevano definito tali, dopo di che, venendo a giorni più vicini, abbiamo visto levarsi appelli dal “popolo” che, salvo averli equivocati, sono sembrati tifare o simpatizzare per l’ipotesi di “un uomo solo al comando” o suppergiù - quasi in chiave presidenzialista -  motivando la cosa con l’eccezionalità del momento (checché si  pensi in proposito, a me pare essere una  innegabile né piccola “svolta”, rispetto alle trascorse  posizioni).

A fronte di ciò può venir spontanea una domanda, ossia chiedersi  se gli appelli che partono dalla “base”, cioè dalla “gente” - per dare investitura diretta, a mo’ di acclamazione, ad una determinata personalità, ritenuta all’altezza del ruolo cui la si vorrebbe destinare -  non siano anch’essi espressione di populismo, o pressappoco, essendo sempre il “popolo” a figurare di fatto da protagonista, e ho in ogni caso la sensazione che gridando troppo al lupo si rischi di diventare alla lunga poco credibili, e semmai doversi  ricredere (o venir  poi smentiti dagli accadimenti).

P.B.

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