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Elda racconta: settembre

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Anche agosto se n’è andato salutandoci un po’ triste, sì le ferie sono finite se ne riparlerà fra un anno. E’ arrivato un nuovo mese, settembre e la vita contadina montanara di un tempo passato, cominciava a prepararsi per ricevere l’inverno ormai alle porte. I terreni venivano arati con l’aratro a due vomeri tirato da quattro robusti buoi, chi non li possedeva ne chiedeva in prestito due, poi a “zerla” davanti metteva due mucche Nei campi echeggiava il grido del ragazzo che li incitava allo sforzo con “al stomble”, una lunga e sottile pertica flessibile in mano che ogni tanto arrivava a dare una sferzata all’animale che si impegnava meno. Davanti alle bestie di solito una donna che le tirava cercando di tenerle dritte, una nel solco e l’altra nella parte superiore il che non era proprio facile. Sta povera donna si prendeva le sgridate e gli improperi, accompagnati da qualche “garutlada” un grumo di terra compatta, nella schiena e anche da secche bestemmie tirate dal marito che faceva uno sforzo non indifferente a tenere l’aratro ben sotterrato.

Benvenuti perciò i trattori anche se i campi si sono rimpiccioliti e le falde acquifere si sono disperse!

Allora da noi esisteva anche qualche vigna verso Rosano, Pineto e in Bismantova, dove il sole faceva la sua parte e si vedevano le donne con le ceste che raccoglievano questa uva e a proposito esisteva anche un proverbio:

“Vin d’Rusan e dön d’Pineè liberamus Domineè”

Traduco: “Vino di Rosano e donne di Pineto liberaci o Signore”.

Adesso le donne di Pineto non si scaglino contro me, io ho solo riportato un vecchio proverbio non inventato da me.

Vicino ai casolari però c’era il “bersò” un pergolato, anche noi ne avevamo uno proprio davanti a casa e un anno che c’era molta uva il papà, che era sempre alla ricerca di cose nuove, aveva pensato di provare a fare un po’ di vino, mettendola dentro a un mastellino di legno. Il risultato fu pessimo, con l’uva nera era uscito il vino bianco brusco e imbevibile, la mamma diceva che non andava bene neanche per farne dell’aceto.

In settembre l’aria cominciava a rinfrescarsi, perciò bisognava pensare a raccogliere legna per l’inverno e da Castelnovo cominciava a salire verso la Pietra la povera gente che giornalmente ne tagliava un fascio e l’ammucchiava vicino a casa.

Noi andavamo sui poggi di Pietra Bassa e la facevamo “a mez”, cioè una metà per noi e l’altra all’Adelaide la cieca che era la proprietaria del terreno. Ricordo con nostalgia un giorno che mio fratello Nilo d’in cima ai poggi era scivolato giù in mezzo agli arbusti fin in fondo al pendio come un sacco di patate e il Gabriello che si trovava sotto con la moglie cieca, sentendo il trambusto e il grido della mamma correva subito a vederlo, ma poi urlava:

“Tranquilla Maria non si è fatto niente, neanche un graffio”.

Tutto finiva con una gran lavata di testa a sto bambino irrequieto.

Era anche tempo di raccolta delle patate che si stendevano per un giorno all’aria finchè la terra che le sporcava cadesse, poi venivano riposte con cura in un posto asciutto ma scuro in modo che non germogliassero troppo presto. Se poi qualcuna lo faceva, subito venivano rimosse e ripulite, dovevano durare almeno fino a metà invernata. Anche queste in casa mia venivano coltivate “a mez”, sempre con la cieca e venivano coltivate sul pianoro di Pietra Bassa dove esisteva una terra fertile piena di humus.  Era la mamma con mio fratello Nello a occuparsi di tutto ciò, cioè vangare, zappare, seminare, lui fin che ha potuto si è tenuto alla larga dalla bottega di mio padre, non voleva neanche sentirne parlare di “casse Funebri”, quel lavoro lo lasciava tranquillamente fare al maggiore, Valdo, che dava sfogo alla sua arte intagliando bellissime teste di Madonne e di Cristo sui fianchi delle bare.

Allora i ragazzini non stavano a bighellonare per strada o ammucchiati vicino a un bar, qui da noi non esistevano scuole oltre alle elementari, perciò in pochi continuavano a studiare in città, diciamo solo i figli dei signori, per questo era importante imparare un mestiere o chiudersi nel Seminario di Marola per avere un’istruzione maggiore, non tutti diventavano preti, ma solo una piccola parte di loro.

Per le femmine poi non c’erano grandi preoccupazioni a un certo punto della loro vita avrebbero trovato un marito che le avrebbe mantenute in cambio dei loro servigi. Bella prospettiva che si apriva davanti a noi vero?

(Date pure un’occhiata al mio racconto precedente)

Torniamo a questo mese, come vedete la gente si ingegnava come meglio poteva, però non dimenticava mai che l’otto settembre si festeggiava la “Natività di Maria”, che quest’anno è stata trasferita a domenica undici del mese, come vedete le esigenze del giorno d’oggi hanno cambiato tutto, non è più il popolo a seguire le tradizioni della Chiesa, ma viceversa. Anche a Castelnovo, Nostro Signore si è adeguato, si è fatto tre mesi di villeggiatura alla Pieve, dove da là dominava tutto il paese, ma ora è tornato laggiù, per accontentare i parrocchiani, che dovrebbero rivolgere un pensiero di ringraziamento a Don Dino Carretti, da noi ricordato troppo poco, forse per la sua riservatezza fatta non solo di cose spirituali, ma anche di cose materiali, come far costruire una chiesa nel centro del paese e morire poco dopo. Io a lui devo molto per aver capito il mio carattere un po’ introverso e avermi inserita in parrocchia nel modo giusto, come insegnare dottrina a soli diciotto anni e mandarmi a fare vacanze in Trentino con la diocesi di Reggio, naturalmente a sue spese, dove ho capito cosa vuol dire comunicare e comunità. Ogni volta che andavo da lui lo trovavo sempre inginocchiato che stava pregando, non solo in chiesa, ma anche nel suo studio sull’inginocchiatoio e mi accoglieva sempre col sorriso stampato sul volto, è stato lui a prepararci e a benedire il mio matrimonio.

Scusate il mio solito divagare, quel giorno, cioè l’otto settembre il Santuario sotto al Sasso si riempiva di fedeli. Tutti avevano bisogno di protezione per poter fronteggiare l’inverno, che in quei tempi arrivava col suo gelo crudele nella nostra montagna e le provviste finivano troppo presto, la gente si affidava a Lei che col Suo sguardo pietoso accoglieva tutti indistintamente. Si saliva con la corona del rosario che sfilava fra le dita, poi confessione, messa e comunione, al ritorno ti sembrava di volare tanto che il tuo cuore era leggero

Se non erro, mi pare di ricordare che un tempo la chiesa della Pietra fosse intitolata proprio a “Maria Nascente” poi popolarmente indicata come Madonna della Pietra di Bismantova, ma ricordo benissimo che l’otto settembre è stata sempre la Sua festa, anche la signora Lia per quel giorno apriva la sua “locanda” e si spargeva tutt’intorno il buon profumo di grigliata.

Adesso voglio ricordarla, ma non mi va di parlarvi ancora una volta della “fiera di San Michele” che allora si svolgeva in un solo giorno, il 29 del mese, ve ne ho raccontato abbastanza in passato.

 

Elda Zannini