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Christina Rossetti e le donne ‘immaginate’

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Christina Rossetti (1830-1894) nacque in una famiglia di talenti. Il padre, Gabriele, era un poeta ed esule Italiano da Vasto in Abruzzo, trasferitosi nel 1824 in Inghilterra dove si costruì una carriera come studioso di Dante. La madre, Frances Polidori, che coltivò nei figli il gusto per la lettura, era la sorella del medico di Lord Byron, e sia i fratelli, tra cui spicca Dante Gabriel, poeta e pittore Preraffaellita, che la sorella si distinsero per genio artistico. Tuttavia solo i ragazzi, com’era uso al tempo, ebbero un'istruzione scolastica formale. Christina era una bambina attiva e vivace, ma crescendo la sua salute divenne sempre più fragile. Questo non le impedì di diventare una delle più ammirate poetesse del suo tempo. La poesia che leggiamo ci porta nello studio di un pittore, forse il famoso fratello.

In an Artist's Studio  (1856)

One face looks out from all his canvases,

One selfsame figure sits or walks or leans:

We found her hidden just behind those screens,

That mirror gave back all her loveliness.

A queen in opal or in ruby dress,

A nameless girl in freshest summer-greens,

A saint, an angel — every canvas means

The same one meaning, neither more or less.

He feeds upon her face by day and night,

And she with true kind eyes looks back on him,

Fair as the moon and joyful as the light:

Not wan with waiting, not with sorrow dim;

Not as she is, but was when hope shone bright;

Not as she is, but as she fills his dream.

 

Nello Studio di un Artista  (1856)

Un viso solo ci guarda dalle sue tele,

La stessa figura siede o cammina o si piega:

La troviamo nascosta dietro quei paraventi,

Quello specchio ci restituisce tutta la sua dolcezza.

Una regina vestita di opale o rubino,

Una ragazza senza nome nel verde fresco dell’estate.

Una santa, un angelo - ogni tela significa

La stessa cosa, né più né meno.

Lui si nutre del suo viso giorno e notte,

E lei lo guarda con occhi sinceri e gentili,

Bella come la luna e allegra come la luce:

Né pallida per l’attesa, né spenta per il dolore;

Non com’è, ma com’era quando la speranza splendeva luminosa

Non com’è, ma come appare in tutti i suoi sogni.

 

Christina Rossetti era famosa per la sua poesia religiosa, era una fervente Anglicana, ma la religione non è l’unico soggetto dei suoi versi. L’apparente semplicità della lingua copre molti, diversi temi. In questo sonetto dalla rima italiana la poetessa pone l’azione nello studio di un pittore, e chissà quante volte sarà entrata nello studio del fratello. La poesia ci dice che il viso che ci guarda dalle tele è sempre lo stesso: a volte è vestita come una regina, a volte come un’anonima ragazza, ma ogni tela significa sempre la stessa cosa, ci rimanda la visione di una donna perfetta, un angelo innocente che guarda l’artista con occhi amorevoli. 

Christina Rossetti in un'opera del fratello Dante Gabriel

La modella preferita di Dante Gabriel Rossetti era Elizabeth Siddal. Anche Elizabeth scriveva e dipingeva, ma, poiché era una donna, divenne, col suo fisico insolito, soprattutto famosa come modella dei poeti Preraffaelliti, il gruppo di artisti inglesi che voleva riportare la pittura alla condizione di purezza, estranea a schemi accademici, precedente a Raffaello. La Siddal era alta e snella con folti capelli rossi ed un viso intenso dai tratti marcati: diventò per Dante Gabriel quasi un’ossessione ed il poeta ottenne che posasse solo per lui. Il suo volto ci guarda ripetuto ancora ed ancora dalle tele dai colori vivaci e dalle scene medievali. Naturalmente la relazione si fece intima, ma il pittore continuava a rimandare il matrimonio perché la giovane era di livello sociale inferiore e quindi non ben vista dalla sua famiglia. La situazione si trascinò per una decina d’anni tra le infedeltà di Gabriel e la dipendenza dal laudano, causata da motivi di salute, di Elizabeth. Infine si sposarono, ma la donna morì dopo meno di due anni: la depressione per un aborto spontaneo e la droga l’avevano consumata. Forse Elizabeth si suicidò, ma non lo sapremo mai con certezza poiché l’assurda morale vittoriana considerava il suicidio un crimine, una macchia per i parenti e le eventuali prove furono distrutte. 

Elizabeth Siddal in 'Proserpina' di Dante Gabriel Rossetti

Christina non approvava la relazione del fratello: che il sonetto sia un rimprovero per quel viso ritratto con insistenza nelle sue tele? Potrebbe, ma la poesia merita una lettura più accurata. I versi ci dicono che la donna dei dipinti è un angelo, una santa, una donna perfetta, sempre sorridente, giovane, luminosa, sempre pronta ad accogliere l’amante, ma ci dice anche ciò che non è: non è una donna vera. Non è la donna che davvero ‘è’, è la donna che il pittore, l’uomo, si immagina nei suoi sogni. E’ quella che lui vorrebbe fosse, non ciò che è realmente. C’era un tempo in cui la speranza brillava, ma ora non è più così e tuttavia lui si rifiuta di vedere come la sua donna è cambiata, perché non la considera davvero come persona. Anzi,”‘He feeds upon her face”, “si nutre del suo viso”, come se fosse qualcosa da consumare. Questi versi sono di una modernità incredibile! L’uomo vede la donna soprattutto come un angelo innocente: quante volte gli uomini ci hanno categorizzato in donne angeliche da un lato e donne  fatali dall’altro? Quante volte la dicotomia ‘donna rispettabile’ opposta a ‘donna di facili costumi’ è stata presente nella società e nell’arte? Eppure questo è solo un modo per controllare la donna, rinchiudendola in modelli che la limitano perché c’è molto di più nelle donne vere. E’ una schematizzazione che crea rapporti di potere, perché per essere accettate bisogna conformarsi, con il bonus che in questo modo si costruisce divisione tra le donne. Ma in fondo lo stesso autore che ha reso il sonetto famoso nel mondo, Petrarca, ha dipinto una donna che tutto è fuorché reale. 

Autoritratto di Elizabeth Siddal

La Rossetti non si sposò mai, sebbene sappiamo di almeno tre uomini che avrebbero voluto farlo. Apparentemente non lo fece per motivi religiosi, ma certo non è facile reprimere la sensazione che una donna che può scrivere versi di questo tipo nel periodo vittoriano avesse ben chiaro che il matrimonio a quel tempo avrebbe significato la sottomissione. La poesia che segue ci mostra che Christina era ben capace di dire ‘No’.

No, Thank You, John  (1862)

I never said I loved you, John:

        Why will you tease me, day by day,

And wax a weariness to think upon

        With always "do" and "pray"?

 

You know I never loved you, John;

        No fault of mine made me your toast:

Why will you haunt me with a face as wan

        As shows an hour-old ghost?

 

I dare say Meg or Moll would take

        Pity upon you, if you'd ask:

And pray don't remain single for my sake

        Who can't perform that task.

 

I have no heart?—Perhaps I have not;

        But then you're mad to take offence

That I don't give you what I have not got:

        Use your common sense.

 

Let bygones be bygones:

        Don't call me false, who owed not to be true:

I'd rather answer "No" to fifty Johns

        Than answer "Yes" to you.

 

Let's mar our pleasant days no more,

        Song-birds of passage, days of youth:

Catch at to-day, forget the days before:

        I'll wink at your untruth.

 

Let us strike hands as hearty friends;

        No more, no less: and friendship's good:

Only don't keep in view ulterior ends,

        And points not understood

 

In open treaty. Rise above

        Quibbles and shuffling off and on:

Here's friendship for you if you like; but love,—

        No, thank you, John.

 

No, Grazie, John (1862)

Non ho mai detto di amarti, John:

     Perché continui a provocarmi, ogni giorno,

E a stancarmi la mente

     Coi soliti “dai” e “ti prego”?

 

Sai che non ti ho mai amato, John;

     Non è colpa mia se brindi a me:

Perché mi perseguiti col viso smorto

     Di un giovane fantasma?

 

Oserei dire che Meg o Moll avrebbero

     Pietà di te, se glielo chiedessi:

E per favore non restare solo per me

     Visto che io non posso accontentarti.

 

Non ho cuore? - Forse no;

     Ma allora sei folle ad offenderti

Perché non ti do ciò che non ho:

     Usa il buonsenso.

 

Dimentichiamo il passato:

     Non chiamarmi falsa, visto che non ti devo nulla:

Preferirei rispondere “No” a cinquanta John

     Che dire “Sì” a te.

 

Non roviniamo più questi giorni piacevoli,

     Uccelli canterini di passaggio, giorni di gioventù:

Afferriamo l’oggi, dimentichiamo i giorni andati:

     Farò l’occhiolino alle tue bugie.

 

Stringiamoci la mano come buoni amici;

     Né più né meno: e l’amicizia è buona cosa:

Solo non custodire altri scopi,

     E cose non capite

 

In un accordo chiaro. Sii superiore

     A cavilli e al batti e ribatti:

Ti offro l’amicizia se vuoi; ma l’amore, -

     No, grazie, John.

 

Elizabeth Siddal in 'Ophelia' di John Everett Millais

Uno degli uomini che le avevano chiesto di sposarla si chiamava in effetti John, però speriamo che la poesia non sia rivolta a lui espressamente, poverino, ma in generale ai vari John del mondo. La poesia è un ‘dramatic monologue’, un monologo drammatico ovvero versi in cui un personaggio si rivolge direttamente ad un altro, come se stesse recitando su un palco. Il tono infatti è estremamente colloquiale e sembra di essere presenti allo sfogo di Christina, di vedere la sua espressione esasperata. Nel secondo verso viene usato il verbo ‘tease’, ‘prendere in giro’, ‘infastidire’ ma anche ‘provocare’. Nel periodo di #MeTOO non si può far a meno di notare che questa è la parola che molti uomini hanno usato e usano come scusa per ‘attenzioni’ non richieste verso le donne: sono stati ‘teased’, ‘provocati’. Incredibile quanto sia facile ‘provocare’ certi uomini! Ma Christina usa il verbo in situazione opposta e la risposta alla provocazione è l’ironia di una donna intelligente.