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La storia dell’Abbazia che si è fatta paese

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Fermo da tre anni in un cassetto a causa del Covid, è uscito in questi giorni lo studio del professor Giuseppe Giovanelli dal titolo In Silva Maraulæ, La Marola dell’Abbazia, dei castagneti e dei Boscaioli, primo volume di una collana denominata “I Convegni dell’Abbazia”. L’argomento, infatti, era in programma in quel convegno dell’Abbazia che avrebbe dovuto tenersi a Marola nel 2020 (e che si spera riparta nel prossimo autunno), presso la sede del Centro Diocesano di Studi Storici di cui l’autore è co-responsabile insieme a monsignor Giovanni Costi.

“Rapide e veloci – si legge in quarta di copertina – le pagine di questo libro ripercorrono le vicende di un’Abbazia di documentata fondazione matildica che, già dai suoi inizi, s’è fatta paese; di un territorio che, guidato dalla perizia benedettina, ha incrementato lo sviluppo agrario e le tecniche di lavorazione e di conservazione dei prodotti alimentari, primo fra i quali, a Marola e nella montagna circostante, la castagna”.

Diverse le tematiche: dalla castanicoltura “virgiliana” a quella degli eremiti d’età matildica, alle vicende della “selva” marolese, alla fiera abbaziale di San Rocco, alla Marola estense del secolo XIX capitale della castanicoltura reggiana e, infine, all’annata del castagneto, attingendo in primo luogo a ricordi e testimonianze di persone che in quei castagneti dell’abbazia hanno vissuto se non tutta, almeno la maggior parte della loro vita, come la famiglia di Ludovico Canovi o come Sergio Olmi detto P’tàne, di famiglia “boscaiola”, scomparso improvvisamente proprio nel “bello” della ricerca.

A questo riguardo, però, c’è da dire che il libro non nasce da una ricerca specifica, ma da plichi di appunti accumulatisi in anni di altre ricerche relative, principalmente ma non solo, ai sette tomi della Storia della Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla. Appunti che, accanto a documenti d’importanza eccezionale come quello del 1102, unico documento matildico nel quale si parli esplicitamente di coltivazione e innesto del castagno, si rifanno anche all’animo e alla concezione di vita dell’uomo montanaro che dal castagneto trae, col cibo, le ragioni della vita.

Il libro riporta in ultimo una raccolta d’una cinquantina di ricette di cucina “da Marola all’Appennino Tosco-Emiliano (quasi come dire: matildico); dall’Italia all’Europa mediterranea; dall’anno Mille a oggi”. Non solo per curiosità, ma per testimoniare che la castagna, ben lontana da un’insistente retorica del “pane dei poveri” (che pure era), ha rallegrato le mense di re e papi, di nobili e ricchi; e che perciò ancor oggi, presa nella debita considerazione, può riconquistare una sua “fetta” nel mercato europeo dell’alimentare divenendo porzione non disprezzabile dell’economia montana. A tal riguardo riportiamo un paragrafo del capitolo IV dal titolo “Gli uomini della selva”.

E.T. ( dalla Libertà del 15-19 aprile)