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Il brigante Domenico Amorotto

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Chiunque si sia mai recato sulla riviera romagnola, avrà certamente pernottato in un albergo o mangiato in un ristorante dedicato al brigante Stefano Pelloni, detto Il Passatore. Il fenomeno del brigantaggio ha una radice antica ed è stato attivo in Italia sin dai tempi del Medioevo, quando le invasioni barbariche favorirono la nascita di bande criminali.

Nel corso dei secoli, il brigantaggio è stato presente in quasi tutte le regioni italiane e ha assunto diverse forme, fino a diventare in seguito organizzazioni criminali con ramificazioni internazionali. Anche l’Appennino reggiano ha il suo brigante, Domenico Amorotto. Nato a Carpineti, in data sconosciuta, il suo vero nome era Domenico de' Bretti. Figlio dell’oste del paese, Domenico decise di cambiare il suo cognome in Amorotto nel 1497, adottando il nome del ramo principale della famiglia, rinnegando il ramo cadetto dei Beretti, del quale sarebbe stato il successore.

Secondo alcune cronache, Amorotto iniziò la sua carriera criminale dopo aver assassinato un rivale a coltellate in una piazza di Carpineti, creando intorno alla sua figura una losca banda di ricercati dalla giustizia. Assoldato inizialmente dai signorotti locali per compiere vendette private, in un secondo momento si mise al servizio del papa Giulio II, quando questo conquistò Reggio Emilia nel 1512. Per questi “servizi”, fu ripagato con la rocca di Carpineti e il diritto alla riscossione delle tasse in quel luogo. Il tutto confermato anche da papa Leone X.

Il bandito reggiano, che fu fra i più noti del XVI secolo, era l’ossessione di Francesco Guicciardini, fin da quando divenne governatore di Reggio Emilia nel 1517. Egli provò in tutti i modi, sia diplomatici che mediante l’uso della forza, a rimuovere il brigante dal suo ruolo nelle montagne, sempre invano. Per qualche tempo, però, Domenico Amorotto fu costretto a fuggire a Bologna, presso l'amico e compagno d'armi nelle milizie pontificie, Ramazzotto dei Ramazzotti.

Dopo la morte del pontefice, scoppiò una guerra tra Amorotto e Cato da Castagneto, suo acerrimo e giurato nemico, che culminò con l'assassinio di quest'ultimo nel castello di Fanano. Ciò portò alla vendetta dei Frignanesi, il cui capo era Virgilio da Castagneto, fratello del defunto Cato. Con il supporto degli Estensi, i Frignanesi commisero diverse stragi e saccheggi nei confronti delle bande di Amorotto, che fu ferito in uno scontro da Virgilio stesso a Montese, nell’Appennino modenese.

Mentre cercava di raggiungere la sua Carpineti in cerca di riparo, fu ucciso a tradimento da Tebaldo Sessi e Antonio Pacchioni, alleati di Cato da Castagneto, nei pressi di Corneto. Molto probabilmente stava facendo ritorno alla Torre dell’Amorotto, situata appena fuori Civago, luogo oggi in rovina ma identificato come uno dei nascondigli più sicuri del bandito. La testa e una mano di Amorotto furono esposte nella rocca di Spilamberto e il governatore Guicciardini ne approfittò per sconfiggere definitivamente le bande della montagna reggiana.

Poco tempo dopo, Vitale Amorotto, fratello di Domenico, fu invitato a Reggio per stipulare un armistizio. Al contrario delle sue aspettative, fu catturato, processato e giustiziato. Il suo cadavere fu squartato ed esposto al Palazzo del Capitano del Popolo come monito a non ribellarsi mai più all’ordine costituito.

Marco Capriglio