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Se il Tassobio si sveglia …

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Era da poco finita la seconda guerra. Non ricordo esattamente l'anno. Mi pare fosse l'autunno del 1946, al tempo delle castagne, quando il tempo è uggioso di per sé.
Alle piogge autunnali eravamo assuefatti e sapevamo come conviverci. Salvo pioggia torrenziale, si andava a raccogliere le castagne anche se c'era una insistente pioggerellina. In dialetto si diceva “A schernèbia”, col verbo attivo e impersonale, non con un aggettivo, fondendo nel termine pioggia, nebbia e stizza.
Era però più insistente del solito quell'anno la pioggia, e durava già da troppo tempo. Il Tassobio si agitava laggiù in fondo alla valle, faceva sentire la propria voce, con una tonalità in crescendo, monotona, costante e minacciosa. Di solito quel vociare durava una giornata poi tutto rientrava nei ranghi, lasciando le rive dei fossi dilavate, tronchi emergenti qua e là da greto, in attesa che il sole rinvigorisse piante ed erbe.
Dalla finestra della cucina di Castellaro potevamo osservare il tratto del torrente dalla biforcazione del Šundirè, sotto Gombio, fino all'ansa del Molino dei Paoli, sotto Legoreccio. Tutto il letto del torrente era già occupato dall'acqua agitata, e la passerella di fronte al Mulino Rinaldi, divelta da un lato, fluttuava nella corrente come una piuma. Pensare di guadare il torrente a piedi? Idea sacrilega!
Castellaro visto da nord, dal Tassobio
A fianco di quel tratto del torrente, verso sud, vi era una bella piana, comoda da lavorare, fertile, e, all'occorrenza, irrigabile, che a quei tempi non era cosa da poco. In secoli lontani quasi certamente quell'area era stata parte integrante del greto, poi, piano piano, si era prosciugata ed era diventata terreno ubertoso.
In prossimità della carraia che s'inerpicava verso Castellaro, a levante del piana e su un piccolo poggio, lo zio Carlo aveva costruito un rifugio, una casetta, fatta con sassi di fiume e legni riciclati: una stanzetta dove abitava lui, e, nella parte bassa sotto il piano, attrezzi, conigli, galline. Soffriva di sordità lo zio, e per questo, dopo la scomparsa della moglie, aveva preferito ritirarsi a vivere da solo, Del resto non gli occorreva poi molto: le galline gli procuravano le uova, l'orto produceva  ottima verdura, in una gabbia vi era un paio di conigli, l'acqua potabile sgorgava spontanea da una fontanella poco distante e, di tanto in tanto, da Pietranera scendeva un figlio o un nipote a portargli pane fresco e altro cibo, e a controllare come stava. Lì, romito, passava le giornate coi propri pensieri, lavorando quel tanto che le forze gli permettevano, accudendo i pochi animali.
Quella notte però il Tassobio esagerò come non succedeva a memoria d'uomo: superò l'argine, superò la carraia che passava in mezzo ai pioppi, tra il torrente e la piana coltivata, e si impossessò di tutto il terreno trasformandolo in un lago.
Carlo era fratello di mia nonna Aurelia, e lei non nascose una certa preoccupazione. Difficilmente l'acqua avrebbe raggiunto la casetta del fratello, ma … non si sa mai, le sorprese sono sempre in agguato.
Carlo col nipotino Oliviero
Più per curiosità che per preoccupazione qualcuno di noi sostava a lungo davanti alla finestra ad  osservare l'ira del Tassobio, ad ascoltare il suo ululare. Non era il Piave che mormorava. Era il Tassobio, quel Tassobio che, in barba alle leggi di natura, viaggia a rovescio rispetto agli altri corsi d'acqua.
Notammo una persona scendere sotto il Sasso della Prigione (così la gente del luogo chiama ancora il Sasso di Pietranera) sostare appena sopra il mulino, scrutare e fare segnali verso la casetta dello zio, ma era inconcepibile tentare di attraversare quella distesa d'acqua. Per cui a mia nonna non restò che preparare un consistente canestro di pane e companatico, un fiasco di vino, e spedire la figlia in soccorso del fratello. All'epoca la ragazza aveva da poco superati i venti anni. In tempo di guerra aveva dovuto sostituire i fratelli, tutti militari, nel lavoro dei campi, per cui era cresciuta tosta, fisicamente robusta.
Fango da pestare, da casa fino alla bicocca dello zio e ritorno, ne trovò a sazietà, ma, energica come era, raggiunse lo zio senza eccessivi problemi. Quel canestro per lo zio fu manna “piovuta” da cielo. Non era un mangione lo zio, anzi, era piuttosto parco, ma la impossibilità di comunicare coi familiari aveva ridotto le scorte ormai al lumicino.
Non ho memoria di una piena del Tassobio come quella. La scorsa settimana però, transitando da Compiano, ho rallentato per osservare bene il torrente. Diverse persone, nei giorni precedenti, avevano postato  foto di punti cruciali del torrente dove l'acqua era, si, abbondante, ma irrisoria rispetto a quella volta. E mi rugava il pensiero: “Voi il Tassobio proprio non lo conoscete. Dorme, sornione, per decenni, ma quando decide di svegliarsi sono guai”!
(Savino Rabotti)