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“Chiediamo di attivare misure concrete ed urgenti per salvare i negozi sotto casa”

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A inizio maggio la delegazione reggiana dell’Unione dei Comuni Montani ha elaborato un ordine del giorno, in accordo con Uncem nazionale, che è stato inviato a Comuni, Unioni e Comunità montane, per discuterlo e approvarlo nei rispettivi consigli comunali.
I Comuni hanno risposto e Uncem Emilia Romagna rilancia all’indirizzo del Parlamento e dei parlamentari emiliano-romagnoli.

Stiamo parlando dell'ordine del giorno sulla desertificazione commerciale nelle aree interne e montane. “Chiediamo a Governo e Parlamento – dice il presidente dell’Uncem Emilia-Romagna, Giovanni Battista Pasini – di attivare misure concrete ed urgenti per salvare i negozi sotto casa e il commercio di prossimità nei piccoli comuni e nei centri delle aree montane. Il mantenimento degli esercizi commerciali di vicinato in questi territori costituisce la condizione per contrastarne lo spopolamento, per mantenere viva e abitata la montagna»”

Nel documento si chiedono “sgravi fiscali e minor carico burocratico per chi possiede un negozio in un Comune montano e per chi avvia una nuova attività commerciale".
Uncem richiede l’individuazione delle Zes (Zone economiche speciali montane), con fiscalità di vantaggio, per consentire allo Stato e alle Regioni di intervenire con opportuna differenziazione delle imposte. Nei Comuni montani, con particolare riferimento ai Comuni classificati ad alta e altissima marginalità socio-economica, chiede che le imposte per imprese e per gli esercizi commerciali siano azzerate.
Si chiedono inoltre incentivi per la nascita di centri multifunzionali, negozi che vendono prodotti e allo stesso tempo svolgono dei servizi, d’intesa con le associazioni locali nonché l’esenzione delle imposte catastali nei trasferimenti di proprietà di fondi rustici in Comuni classificati montani o negli accorpamenti di proprietà.
Il mantenimento degli esercizi commerciali di vicinato in questi centri costituisce la condizione per contrastare lo spopolamento e per mantenere viva ed abitata la montagna. Queste attività svolgono, oltre ad una funzione economica, una funzione di tipo sociale, in assenza delle quali i costi che ricadrebbero indirettamente sulla collettività sarebbero superiori all’eventuale minore gettito fiscale.

 

In Italia - secondo i dati riportati dall’Uncem - oltre trecento Comuni montani non hanno più un esercizio commerciale o un bar: “Salvare e valorizzare i negozi sotto casa, il commercio di prossimità, nei piccoli Comuni e nei centri delle aree montane, è una necessità sociale, culturale, economica, politico-istituzionale. È determinante difendere e valorizzare i piccoli negozi, schiacciati negli ultimi due decenni dai supermercati e dai centri commerciali e più recentemente dalle piattaforme di e-commerce e consegna a domicilio di beni”.

2 COMMENTS

  1. Richiesta legittima: concordo in pieno. Ricordo ancora quando,bambina, mia mamma mi portava con lei a fare la spesa dal fruttivendolo di fiducia, dal macellaio di fiducia….ecco è questo che si instaura con il titolare del negozio di prossimità: fiducia, confidenza, rispetto e questo non lo trovi nei grandi centri commerciali e men che meno sulle piattaforme e-commerce. Speriamo davvero che queste richieste siano ascoltate. Io alzo il tiro: zone franche come Livigno? La montagna si ripopolerebbe senza utilizzo dei bonus casa.

    Una montanara

    • Firma - Una montanara
  2. Non ho certo difficoltà a riconoscermi nell’idea di ““sgravi fiscali e minor carico burocratico per chi possiede un negozio in un Comune montano e per chi avvia una nuova attività commerciale”, dal momento che da anni vado esprimendo l’opinione, anche su queste pagine di Redacon, che la strada della fiscalità sarebbe quella più semplice e diretta per dar sostegno alle attività montane, che a loro volta sono elementi alquanto importanti di una comunità, e della rete socio-economica del territorio (anche per contrastarne o contenerne lo spopolamento).

    Tuttavia, se come qui leggiamo, i piccoli negozi sono “schiacciati” da due decenni a questa parte, significa che c’era tutto il tempo e lo spazio per mettere in atto, o quantomeno provarvi, una qualche “strategia” che potesse aiutarli e incoraggiarli, invogliandoli nel contempo a non chiudere i battenti, evitando così di privare le zone interessate di un servizio tutt’altro che secondario, oltre che fonte di quel rapporto di “fiducia e confidenza” cui fa opportunamente cenno il primo commento, quale componente altrettanto utile e fruttuosa del vivere di una collettività.

    Credo altresì che i piccoli negozi si configurino pure come fattore di identità dei nostri luoghi, e per l’insieme di tali molteplici ragioni mi auguro che l’attuale Governo assuma una qualche iniziativa in proposito, ancorché possa rivelarsi tardiva, visti i tanti esercizi di comunità che nel frattempo hanno “abbassato la serranda”, mentre se qualcosa fosse stato adottato in questi anni, quale segno di attenzione al problema, forse le “rinunce” sarebbero state minori, ma c’è almeno da sperare di giungere in tempo perché il fenomeno possa fermarsi o rallentare.

    P.B. 11.06.2023

    P.B.

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