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lutto a Cavriago

Addio a Vasco Catellani, tra i capostipiti del recupero della razza Bovina Reggiana

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Addio a Vasco Catellani, tra i capostipiti del recupero della razza Bovina Reggiana

Si è spento a 95 anni il cavriaghese Vasco Catellani, l’ultimo tra i capostipiti del recupero della razza Bovina Reggiana. Proprio le Vacche Rosse diedero i natali al padre del Parmigiano Reggiano oltre dieci secoli fa.

“Vasco assieme al compianto fratello Elia, alla famiglia e a un manipolo di storici allevatori che tra loro inizialmente non si conoscevano fece una scelta estremamente coraggiosa, eroica e controcorrente negli anni Ottanta – spiega Ugo Franceschini, presidente dell’Associazione nazionale allevatori bovini di razza Reggiana -. Contro le scelte zootecniche che miravano alla quantità e non alla qualità decisero di tornare a produrre il Parmigiano Reggiano solo col latte delle Vacche Rosse, creando da allora un legame inscindibile che ha visto, in meno di 30 anni, quadruplicare i capi di questi animali. Gliene siamo grati”.

Una storia difficile da capire per chi non è del settore, ma che sa di orgoglio, caparbietà e tradizione. Vasco Catellani raccontò la sua storia al giornalista Gabriele Arlotti, in occasione della Fiera del Bue Grasso del 2019. Era nato a Reggio Emilia il 24 ottobre del 1928 a Pieve Modolena, dal padre Domenico che non voleva farsi prendere dalle sirene che da fine Ottocento videro arrivare le razze cosmopolite da Svizzera e Frisia.

“Ai primi del Novecento le Rosse le si usavano a lavorare nei campi e le si chiamava per nome come Parigia, Rossa, Bionda, Mora… - raccontava Vasco - Purtroppo molti allevatori reggiani decisero di acquistare le vacche bianche e nere più produttive, nonostante la qualità del Parmigiano Reggiano prodotto da Vacche Rosse fosse molto rinomata. Negli anni Ottanta del Novecento le Reggiane erano quasi scomparse. Ma per quintale di latte… facevano un chilo in più di formaggio!”.

L’azienda agricola Catellani si trasferì con sole 12 - 13 animali nell’attuale sede di via Neida a Cavriago e, in segno di spregio, “gli altri allevatori iniziarono a vedere con diffidenza le nostre mucche di colore… rosso e, per questo motivo, iniziarono a chiamarmi ‘vaca rossa’”. Ma fu un soprannome che ha portato fortuna”.

Anche grazie alla Fiera del Bue Grasso di Cavriago si iniziò a parlare per la prima volta di Parmigiano Reggiano prodotto solo con latte di Vacche Rosse che si tornò a produrre “perché c’era richiesta” dapprima al caseificio Nuova Duemila a Cavriago, quindi dagli anni Novanta presso il caseificio dell’istituto Zanelli a Coviolo. Oggi le latterie dove lo si fa sono 15 e producono il 6 per mille della produzione di Parmigiano Reggiano.

Oggi la famiglia Catellani continua ad allevare vacche rosse, con gli allevamenti dei nipoti Matteo e Luciano, riscotendo premi anche a livello nazionale e internazionale. Forte di questi riconoscimenti Vasco lo si vedeva al mercato col cappello sul capo e, rivolto al collega allevatore che lo scherniva, gli disse “hai sbagliato e non di poco…”
Vasco Catellani lascia i nipoti con le rispettive famiglie. La recita del Santo Rosario questa sera, mercoledì 3 aprile alle ore 21, presso la chiesa parrocchiale di San Nicolò, le esequie nella giornata di venerdì 5 aprile, alle ore 9, partendo dall’abitazione di via Neida 10 a Cavriago per la medesima chiesa parrocchiale.

MEMORIE DI UNA VITA

Quando la famiglia Catellani accolse l’invito di sindaco e parroco per salvare il Toro Piero

Tra i tanti ricordi di Vasco la vacca ‘ideale’ 107, dal peso record di 860 Kg, alcune vacche che partorirono nel 17 volte in stalla, il famoso toro Piero: a marzo del 1998, l’allora sindaco e parroco scrissero alla famiglia Catellani per salvaguardare lo storico riproduttore dal mattatoio (un evento che richiamò la tv nazionale), o un’altra che “tirava come due buoi assieme anche se arava nel granoturco”.

1 COMMENT

  1. Fin da tempi piuttosto lontani il Belpaese è stato culla di biodiversità e di specificità, sia in campo animale che vegetale, probabilmente anche in forza delle differenze orografiche e climatiche delle sue varie zone e località, e ne sono oggettiva e tangibile comprova le numerose e pregiate tipologie di formaggio che conta lo Stivale, a loro volta espressione dei rispettivi territori, e spesso anche delle razze lattifere locali, unitamente alle relative e peculiari, nonché tradizionali, tecniche casearie.

    C’è chi ritiene che una tale molteplicità e differenziazione fosse sostanzialmente figlia delle condizioni di forzato “isolamento” in cui si sono trovate lungamente a vivere le nostre comunità, essendo gli spostamenti dell’epoca solitamente difficoltosi, causa anche i mezzi di allora e la limitatezza o criticità dei collegamenti viari – pur se fiere e mercati hanno sempre funzionato da luogo di incontro e di scambi – il che può aver fatto vedere con favore la sostituzione di razze e varietà autoctone.

    Non è tuttavia mancato chi ha invece sposato l’idea di salvaguardare quanto più possibile il patrimonio animale e vegetale autoctono, ritenendo che il farlo non si configurasse come una “arretratezza”, ma tale meritoria visione delle cose è stata per anni abbastanza minoritaria, salvo poi conquistare via via terreno, e c’è a mio avviso d’augurarsi che abbia a continuare così, pur se non metterei in concorrenza e contrapposizione le due linee di pensiero (in ossequio al pluralismo delle opinioni).

    P.B. 05.04.2024

    • Firma - P.B.