
John Donne (1572-1631) divenne una figura culto della poesia inglese nei primi decenni del ventesimo secolo. Fu il movimento modernista a riscoprirne la poesia, apprezzata al suo tempo da una ristretta cerchia di ammiratori, ma poi quasi dimenticata fino, appunto, alla resurrezione ad opera dei modernisti. Quello che i poeti dell'inizio del secolo scorso ammiravano in Donne è ciò che lo fa ancora sentire vicino e intrigante: l’uso di un lessico non convenzionale, diretto e colloquiale, l’arguzia e complessità delle immagini, la fusione di sentimento e pensiero, ovvero impulso e razionalità, desiderio e logica cerebrale, qualità tipiche della poesia metafisica. Donne era figlio di un’epoca di cambiamento, con la morte di Elisabetta I e l’arrivo degli Stuart dalla Scozia, figlio della stessa atmosfera angosciata e timorosa dei tempi nuovi che si trova nelle tragedie più fosche di Shakespeare, datate, appunto, all’inizio del ‘600.
Questo poeta che visse anni difficili, anche e soprattutto per aver sposato di nascosto una sedicenne del cui padre era segretario, e che, quindi, non era destinata a lui, riuscì, tuttavia, a diventare decano della Cattedrale di San Paolo a Londra, non prima, purtroppo, che la moglie morisse nel dare alla luce il dodicesimo figlio, ennesima vittima di una società crudele con le donne. John Donne ci ha regalato versi entrati nella tradizione: “Death, be not proud”, “Morte, non ti inorgoglire”, “More than kisses, letters mingle souls”, “Più dei baci, le lettere intrecciano le anime”, “I wonder by my troth, what thou, and I / Did, till we lov’d?”, “Mi chiedo davvero cosa accidenti, io e tu / facessimo, prima di amarci?”, “Go, and catch a falling star”, “Va, prendi una stella cadente”, “For God’s sake hold your tongue, and let me love”, “Per l’amor del cielo, taci e lasciami amare”.
Quella che è probabilmente la sua citazione più famosa non viene da una poesia, ma da un’opera in prosa, Meditations, Meditazioni, anche se è spesso trascritta in versi:
No Man is an Island, (1624)
Nessun Uomo è un’Isola
No man is an island,
Nessun Uomo è un’Isola,
Entire of itself;
Completo in se stesso;
Each is a piece of the continent,
Ognuno è una parte del continente,
A part of the main;
Una parte del tutto;
If a clod be washed away by the sea,
Se una zolla fosse trascinata dal mare,
Europe is the less,
L’Europa ne perderebbe,
As well as if a promontory were,
Come se lo fosse un promontorio,
As well as if a manor of thine own
Come se un tuo maniero
Or of thine friend’s were;
O quello del tuo amico lo fosse;
Each man’s death diminishes me,
La morte di ogni uomo mi toglie qualcosa,
For I am involved in mankind;
Perché io sono parte dell’umanità;
Therefore, send not to know
Quindi, non mandare a chiedere
For whom the bell tolls;
Per chi suona la campana;
It tolls for thee.
Suona per te.

Le parole di Donne suonano come un avvertimento contro i pericoli di un individualismo che diventa egoismo: non può non toccarci la morte degli altri, siano essi insignificanti come una zolla di terra o grandiosi come un maniero. Non siamo isole accerchiate da un mare che condanna alla solitudine, siamo la parte di un intero. Ed è soprattutto il sonno eterno a riportarci alla nostra condizione di umani uguali in tutto perché uguali nella fine, il trapasso che non fa distinzioni. Quindi non chiediamoci per chi suona la campana della chiesa che annuncia una morte: ogni rintocco è per noi, a ricordare ciò che è inevitabile, e, di conseguenza, a riaffermare la fratellanza derivante da un destino comune.
Il duo americano folk rock Simon and Garfunkel divenne famoso negli anni sessanta del secolo scorso. Alla fine del 1965 il duo registrò la canzone I Am a Rock, che Simon aveva precedentemente cantato da solo, e la inserì nell’album Sounds of Silence, Suoni del Silenzio. I versi della canzone negano le parole di Donne e paiono affermare con forza la volontà di restare soli:
I Am A Rock. I Am An Island. (1966)
Sono uno Scoglio. Sono un’Isola.
A winter’s day
Un giorno d’inverno
In a deep and dark December;
In un Dicembre profondo e scuro,
I am alone,
Sono solo,
Gazing from my window
A guardare dalla mia finestra
To the streets below
Le strade sotto
On a freshly fallen silent shroud of snow.
In un silenzioso sudario di neve fresca.
I am a rock,
Sono uno scoglio,
I am an island.
Sono un’isola.
I’ve built walls,
Ho costruito muri,
A fortress steep and mighty,
Una fortezza ripida e possente,
That none may penetrate.
Che nessuno può penetrare.
I have no need of friendship;
Non ho bisogno di amicizia;
Friendship causes pain.
L’amicizia porta dolore.
It’s laughter and it’s loving I disdain.
E’ il riso ed è l’amore che disdegno.
I am a rock,
Sono uno scoglio,
I am an island.
Sono un’isola.
Don’t talk of love,
Non parlare d’amore,
But I’ve heard the words before;
Ma ho già sentito le parole;
It’s sleeping in my memory.
Dorme nel mio ricordo.
I won’t disturb the slumber
Non disturberò il sonno
Of feelings that have died.
Di sentimenti che sono morti.
If I never loved I never would have cried.
Se non avessi mai amato non avrei mai pianto.
I am a rock,
Sono uno scoglio,
I am an island.
Sono un’isola.
I have my books
Ho i miei libri
And my poetry to protect me;
E la mia poesia a proteggermi;
I am shielded in my armor,
Sono protetto nella mia armatura,
Hiding in my room,
Nascosto nella mia stanza,
Safe within my womb.
Sicuro nel mio utero.
I touch no one and no one touches me.
Non tocco nessuno e nessuno mi tocca.
I am a rock,
Sono uno scoglio,
I am an island.
Sono un’isola.
And a rock feels no pain;
E uno scoglio non prova dolore;
And an island never cries.
E un’isola non piange mai.

La parola ‘rock’, ‘roccia’ ma anche ‘scoglio’, ripetuta nel ritornello, pare sostenere la risolutezza e la forza con cui si è scelta la solitudine. E’ una solitudine cercata, che fa guardare il mondo da una finestra, come se la si guardasse da uno scoglio circondato dalle onde e separato dalla terraferma, e che ha fatto costruire un’impenetrabile fortezza metaforica. La stessa solitudine ci fa dire di non aver bisogno dell’amicizia, della mano di qualcuno che ci tocca o di sentire la presenza fisica di qualcuno. Le persone da amare sono sostituite da libri e poesia, surrogati dell’affetto di un essere reale. Ma se anche i versi finali sembrano ribadire la validità della scelta perché diventando rocce, scogli e isole si evita la sofferenza, l’atmosfera generale smentisce queste stesse parole.
Le strade, il mondo degli altri, che si dovrebbe guardare con indifferenza, sono, in effetti, avvolte nel sudario di una neve fredda, altra metafora del gelo dei sentimenti, a suggerire, però, che il distacco dalle emozioni è una specie di morte; e seppure si ripeta di provare disprezzo per la gioia e l’amore, queste sensazioni non sono realmente morte perché stanno solo dormendo di un sonno leggero (“slumber”) e quindi pronte, si presume, a risvegliarsi. Se anche la poesia può darci un’armatura di protezione contro la pena del rifiuto, sebbene ci si nasconda nella propria stanza come a tornare in un protettore grembo materno, è evidente che la decisione del distacco è il frutto della paura di amare, soffrire, piangere.
La lingua inglese usa due parole per definire la solitudine: loneliness è la condizione triste di chi non ha amici, mentre solitude indica i momenti preziosi in cui si accoglie la personale riflessione dell’animo. John Donne ci da un’importante lezione quando dice che nessuno è un’isola, perché non possiamo mai dimenticare di essere parte di un insieme cui dobbiamo rispetto e attenzione, mentre Simon e Garfunkel descrivono la solitudine nata dal timore di essere feriti.
E, in effetti, ci sono tante, diverse solitudini: come dice Emily Dickinson, sondare queste emozioni può essere così penoso, così spaventoso da preferire di misurare la profondità della nostra tomba, e le solitudini dello spazio, del mare, e della morte sono niente in confronto a quella estrema di un’anima che entra nella “finita infinità” di se stessa. Ma questo è un allontanamento ricco di possibilità, un essere soli che non tutti sperimentano, quello della riflessione nella natura e nel profondo dei nostri pensieri, quando siamo isole che si offrono al mare completamente, che vivono questo mare come legame e non come esclusione: è lo stesso distacco di chi scrive poesia, tessendo parole nell’isolamento del proprio animo, ma sapendo che queste medesime parole si staccheranno da chi le ha scritte e andranno a creare innumerevoli fili di connessione, di comunicazione, di empatia con tutte le isole altre da noi.