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Elda racconta: I sapori di una volta

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Vi abbiamo raccontato dei profumi di una volta, ma io vorrei parlarvi dei sapori di una volta, che non erano come quelli di adesso e non venitemi a raccontare che una volta era la fame a farveli sentire così diversi.

No cari miei e vi porto l’esempio più banale, parliamo del latte:

Un mestolo di latte raccolto dal secchio, appena munto, aveva un sapore particolare lo mandavi giù e ti pareva anche, di assaggiare il profumo delle varie erbe di cui la mucca o nel mio caso, la capra, aveva mangiato e ruminato durante il giorno.

Il latte che compriamo adesso, sia intero che scremato, in cartoccio o in bottiglia di plastica naturalmente, ebbene non sa proprio di un bel “niente”.

E’ soltanto una cosa bianca che il più delle volte ti gonfia lo stomaco, ma poi vi siete mai chiesti come mai al giorno d’oggi ci siano tanti allergici al latte? Com’è che una volta non c’erano a parte qualche raro caso di intolleranza? Non sarà per caso colpa di tutti gli antibiotici e vaccini fatti agli animali che abitano in questi stalloni e che non vedono mai la luce del sole?

Passiamo al sapore del pane fresco, bianco, profumato, cotto nel forno a legna, fatto con farina del tuo grano vi sentivi dentro anche il profumo dei fiordalisi cresciuti assieme alle spighe.

Non ditemi che sto esagerando, ma come mai adesso i farinacei vengono evitati, dicono che fanno ingrassare, mentre noi che li mangiavamo, eravamo magri come stecchi?

Forse voi non avete mai assaggiato un’insalata di patate, coltivate su “Pietra Bassa”, bastava condirle con poco olio sale e aceto di vero vino, più una spruzzatina di prezzemolo e aglio finemente tritati che assieme a due fette di pane costituivano il più delle volte la nostra cena e ci sentivamo sazi per tutta la notte.

Patate così io non ne trovo più in commercio, una volta con quel raccolto ci arrivavi a primavera, ora quelle che si comprano “che arrivano da chissà dove” dopo due giorni buttano già i germogli, anche se le tieni nel posto più fresco della casa.

Ricordo, quando andavo a casa delle mie amiche Vanna e Mirella, quando salivo le scale del palazzo, venivo investita da quel delizioso profumo di minestrone che la signora Palmira da brava toscana, stava cuocendo sulla stufa a legna.

Si mi viene il dubbio che forse i cibi cotti sul fuoco a legna, forse assorbivano qualcosa di speciale anche da questo, dal momento che certi sapori e profumi non esistono più.

Non sarà il mio palato che sarà invecchiato? Qui mi viene un grosso dubbio.

Voglio però raccontarvi anche della marmellata che si comprava a etti dal droghiere e qui mi viene in mente Cosmi Marino, per tutti Marinell (commesso di Capanni) col suo berrettino bianco e quel bellissimo sorriso sempre pronto ad accoglierti, scoprendo quel piccolo dente d’acciaio e dopo aver pesato tenendo l’occhio sul padrone che stava alla cassa, te ne aggiungeva un mezzo cucchiaio in più. Benedette persone non penso che ne esistano ancora con un cuore così grande.

Questa marmellata che la spalmavi sul pane e poi leccavi la carta oleata che l’avvolgeva.

Non parliamo della mortadella, che fosse poi d’asino, come qualcuno affermava, non ti interessava più di quel tanto, perché era di un saporito, che bastava una sola fetta a farti da companatico.

Quando poi la mamma, raramente, preparava quelle tagliatelle sottili, che io non ho mai capito come faceva a non tagliarsi un dito, tanto era veloce, poi le cuoceva nel brodo ottenuto da un pezzo di coda di manzo “era quella che costava meno” per noi era il pranzo della festa e quella coda spariva nelle nostre bocche accompagnata dalla salsa al prezzemolo fatta in casa.

La pagnotta di pane dolce, non era la ciambella, ma proprio pane fatto per noi bambini, altro che “Pavesini” raccoglievamo anche le briciole rimaste sul tagliere.

Se continuo a pensarci sapete quante cose mi vengono in mente, le castagne per esempio, quelle secche che venivano cotte e poi mangiate col latte al posto del pane “anche quello per risparmiare la farina” ed era una cena perfetta per una nidiata come la nostra, eravamo in cinque.

Queste poi si usavano solo a Natale con pochi altri ingredienti per fare i tortellini dolci, fritti, nello strutto del maiale.

In primavera, c’era la raccolta dei “dolci bocconi” nei prati ricoperti di erba fresca e con questi si preparava un’insalata finissima accompagnata da uova sode, uova fatte dalle nostre galline, che poi raramente una di queste veniva sacrificata per fare una tazza di brodo a qualche febbricitante.

Sono stata troppo lunga? Perdonatemi, ma dovevo farlo e qualcuno di voi avrà altre cose da aggiungere, ogni famiglia aveva le sue usanze, oppure ognuno si arrangiava come meglio poteva, ma il profumo della cipolla che diventava dorata nella padella penso che lo ricordano in tanti.

Elda Zannini