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la testimonianza di Andrea Sillari

La guerra a casa nostra: Andrea, un carabiniere sopravvissuto alla deportazione dei Carabinieri romani

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Rubrica a cura di Marco Capriglio in collaborazione con Associazione Studi Militari Emilia Romagna APS

 

Sillari Andrea e Paini Vittoria.

Mi chiamo Andrea Sillari e sono nato a Castiglione d’Asta, ai piedi del Cusna, nel comune di Villa Minozzo, il 5 settembre 1923 da Mariangela Montelli e Michele Sillari. Mio padre era postino, come suo nonno Carlo, che verso la fine del 1800 ebbe la concessione per la consegna della posta nelle zone del Secchiello dalla Direzione dell'Ufficio Postale di Villa Minozzo.

Nacqui in una casa costruita nel 1885, dove c'era l'ufficio postale, o meglio, la “ricevitoria postale di 3° classe di Asta”. Recapitare la posta in quegli anni era un lavoro fondamentale per tenere uniti i fili dell'esistenza di tante persone e famiglie che andavano a lavorare altrove, ma che qui conservavano affetti e radici.

A 5 anni sono stato testimone della prima grande rivoluzione che ha coinvolto la Val d'Asta: era il 1928 ed arrivò il telegrafo Morse. La nostra piccola valle si apriva finalmente al mondo, grazie ad un collegamento diretto con l'ufficio delle poste centrali di Reggio Emilia.

I 3 anni di studio passarono in fretta, compivo 17 anni e la vita sembrava avviata su binari abbastanza sicuri, anche se i fascisti avevano da tempo iniziato a stringere il cappio attorno alle persone. In ogni caso stavano iniziando gli anni 40, e con essi la guerra che scoppierà all' improvviso: di li a poco anni dovrò partire per il servizio di leva.

A questo proposito tentai per 2 volte di entrare in Marina, per poter fare il corso da marconista e specializzarmi ulteriormente nelle telecomunicazioni, ma invano. Riuscirò però ad arruolarmi nell'Arma dei Carabinieri, divisa della quale sarò molto fiero, rimanendo per tutta la vita associato all'Associazione Nazionale Carabinieri nella Sezione di Genova.

La folle macchina della guerra intanto era partita!

È il 15 gennaio del 1943, arriva la chiamata alle armi. Vengo inizialmente destinato al deposito 2° Reggimento Granatieri, e dal 13 luglio a Roma, dove inizio il mio corso di addestramento per allievo carabiniere della durata di 6 mesi (nei quali ricordo di aver mangiato a sufficienza solo 4 volte!).

Il corso prevede tra l'altro 6 mesi di servizio come carabiniere ausiliario dopo la fine della guerra.

Le cose sembrano funzionare tutto sommato, ma la guerra macina le sue logiche e la sua distruzione tanto è vero che Roma è territorio in stato di guerra.

Arriva così l’estate, e il 25 luglio del 1943 succede ciò che cambierà le sorti della guerra in Italia, e più tardi il mio futuro, e quello di più di 2000 carabinieri romani: il Gran Consiglio del Fascismo depone Mussolini e ne ordina l'arresto. Caserma Podgora, a Trastevere: quella sera rientravo dalla cena verso la camerata per andare a dormire, ma la tromba anziché il silenzio suona l'adunata di corsa.

Scendiamo nel piazzale dove i marescialli avevano aperto le armerie e stavano distribuendo le armi a tutti i carabinieri presenti in caserma: “Ragazzi è caduto il fascismo e non sappiamo cosa potrà accadere: dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza! Tornate in camerata, ma rimanete armati, vestiti e allerta.” Dopo alcuni minuti arriva un'ambulanza della Croce Rossa, una topolino modello E color coloniale: scendono un ufficiale, un sottufficiale e infine lui, Benito Mussolini in stato di arresto. Viene condotto in una stanza all'ultimo piano, con una sentinella sul tetto, e lì imprigionato.

Passa un po' di tempo e arriva un generale a fare un'ispezione: secondo lui la caserma Podgora, posizionata proprio sotto il Gianicolo, è troppo esposta in caso di attacco da parte della Milizia o dei battaglioni M. Torna l'ambulanza delle Croce Rossa, e Mussolini viene trasferito alla caserma della Legione Allievi. Da lì sarà trasferito alla Maddalena e poi al Gran Sasso.

L'estate del 1943 sta volgendo al termine e l'8 settembre si avvicina. Il governo italiano firma l'armistizio con gli Alleati, e ci si trova improvvisamente ad avere i Tedeschi come nemici in casa. Per noi Carabinieri le cose si fanno complicate. Non siamo visti di buon occhio dal comando tedesco perché spesso boicottiamo gli ordini (specialmente quando rivolti verso la popolazione civile), e in più il nostro comando si oppone ai rastrellamenti contro gli ebrei.

Temiamo che la situazione possa precipitare, anche perché proprio contro gli ebrei del Ghetto di Roma il comando tedesco sta pianificando da settimane un'operazione. Il maresciallo Rodolfo Graziani, Ministro della difesa e della guerra della neonata Repubblica Sociale Italiana, da giorni sta trattando con i Tedeschi; non si sa perché ma avevo un brutto presentimento.

Il 7 ottobre del 1943, un mese dopo l'Armistizio, il punto di non ritorno: il maresciallo Graziani firma l'ordine di consegna delle armi per tutti i Carabinieri presenti a Roma, minacciando gli ufficiali che se non eseguiranno o faranno eseguire l'ordine, saranno passati per le armi e così pure i loro familiari. Lo stesso giorno i Carabinieri vengono rastrellati dai tedeschi agli ordini del colonnello Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma, e consegnati nelle caserme. Siamo agli arresti, è tutto buio: quello che seguirà passerà alla storia come la deportazione dei Carabinieri di Roma, e coinvolgerà più di 2000 Carabinieri della Capitale.

I soldati tedeschi urlano ordini nella loro lingua dura. Ci caricano su carri bestiame piombati, destinazione Polonia e Germania, campi di concentramento, morte e chissà cos'altro. Si parte verso il nulla.... Dopo non so quanto tempo arriviamo nella Pianura Padana... siamo vicino a casa... Guadagno una finestra, ci sono le sbarre e non riesco a vedere del tutto fuori... Comunque c'è il sole, limpido... vedo delle montagne... vedo... vedo il Cusna!

Vedo casa mia.... ma sono chiuso dentro, non posso uscire, non posso fermare il treno e non posso scendere… È passato, il Cusna non si vede più.... Manteniamo la calma, forse c'è ancora una speranza, forse ci daranno da mangiare... Forse... Ci hanno fatto partire senza nulla! Sono due giorni che viaggiamo su questo treno piombato... non capiamo, abbiamo fame, paura.... Siamo in 40 per vagone, l'aria è irrespirabile...

Un momento, il treno sta frenando, si ferma!

Serravalle Scrivia... siamo in Piemonte... Stanno aprendo i vagoni, ma perché? Non possiamo scendere, urlano i tedeschi, ma almeno sembra che ci portino da mangiare: 1 pezzo di pane da dividere in 3 persone! Il treno riparte, e giù verso Genova passando per la stazione di Sampierdarena (ancora non lo so ma un giorno qui ci abiterò), e poi Nizza, Marsiglia, Tolone (il porto è pieno di navi della Marina Francese autoaffondate per non farle cadere in mano tedesca), Lione, Besancon.... Ma dove stiamo andando? È un viaggio assurdo! Infine Belfort, il confine con la Germania. Tra 100 chilometri saremo a Monaco di Baviera, e da qui su ancora fino alla città di Maulburg e infine il campo di prigionia di Moosburg.

Otto giorni di viaggio: non pensavo che la strada per l'inferno fosse così lunga e tortuosa! Siamo 500 carabinieri, classificati dalle autorità tedesche come IMI (Italienische Militar Internierte). Non ci riconoscono lo status di prigionieri di guerra, e quindi non abbiamo neppure la possibilità di vedere applicata la convenzione di Ginevra. Ci hanno vestiti, identificati, e classificati: sono il numero 122201... Almeno non ce lo hanno tatuato addosso!

3 novembre del 1943, inizio a lavorare a Monaco di Baviera in una fabbrica di munizioni per artiglieria. Era meglio il mio lavoro di postino, molto più utile! Il tempo passa, e il campo di concentramento di Moosburg (il famoso Stalag VII A) sembra essere diventato la mia casa. È il più grande campo di concentramento tedesco per prigionieri di guerra. Ci sono circa 60.000 persone, ma si arriverà a 130.000 poco prima della fine del conflitto, e noi siamo i primi italiani ad esservi rinchiusi da quando è stato aperto nel 1939.

In Italia c'è la Repubblica Sociale, creata da Mussolini con l'intento di rafforzare la sua alleanza con la Germania dopo l'armistizio del Governo Italiano con le forze anglo-americane: i tedeschi ci chiedono di aderire alla RSI, e lì per lì non sappiamo bene cosa fare. Alla fine scegliamo compatti di non aderire a questo stato fantoccio creato da chi ci ha sbattuto qui e tradito il popolo italiano. Non succede nulla... La sera però, a cena, ci arriva una doppia razione di cibo. La mangiamo tutta, ma poi la meraviglia, si trasforma in preoccupazione: e se fosse un “regalo” concessoci dai tedeschi prima di eliminarci per la nostra decisione di non aderire alla Repubblica Sociale? Il giorno dopo scopriamo invece che qualcuno è stato davvero buono con noi: i prigionieri inglesi ci hanno donato la loro razione in segno di ringraziamento per non aver ceduto!

Il tempo passa, uguale e senza senso... È il giugno del 1944, ricevo notizie da casa: mio padre è morto! Non l'ho più potuto rivedere! Mi dispiace, nonostante fosse una persona con un carattere non facile. I tedeschi mi concedono 1 giorno di riposo: le loro regole sono queste. Autunno 1944, sono ancora a in Germania prigioniero a lavorare, ma c'è una novità positiva: ci viene riconosciuto lo status di prigionieri di guerra. I benefici di questa concessione li notiamo: stiamo un po' meglio, a volte possiamo girare liberamente per la città di Monaco sede della fabbrica, e ci pagano per il nostro lavoro. Ma non possono farmi illusioni, basta guardare il nuovo passaporto temporaneo che ci hanno rilasciato: c’ è scritto che siamo “lavoratori volontari” e scadrà nel 1946! Evidentemente la Germania pensa che il III Reich avrà un lungo futuro.

La guerra e la prigionia non sono finite. Gennaio del 1945, fa freddo... La macchina bellica dei tedeschi sembra inceppata, e il lavoro alla fabbrica di proiettili non ha più lo stesso ritmo di quando sono arrivato. C' è poca richiesta e i materiali scarseggiano. Ad aprile i tedeschi decidono che non siamo più utili in fabbrica e ci spostano nella cittadina di Allerburg a lavorare sull' autostrada Monaco – Norimberga. L'ordine è di riconvertire la strada in pista di atterraggio per i bombardieri tedeschi, e perciò bisogna rimuovere lo spartitraffico tra le carreggiate, spalando via la terra e sostituendola con una colata di calcestruzzo. Qui la situazione è davvero pericolosa: siamo allo scoperto e gli aerei alleati bombardano tutto ciò che si muove. Ci sono trincee ai lati della strada, in cui ci buttiamo ogni volta che sentiamo arrivare i bombardieri.

25 aprile 1945: noi non abbiamo consapevolezza di ciò che sta succedendo in Italia e di lì a poco in tutto il mondo. Per noi è un giorno di lavoro come un altro. Un soldato tedesco mi impone di andare a comandare la betoniera. Capisco che è troppo pericoloso: la macchina fa molto rumore e quindi non potrei sentire arrivare i bombardieri e scappare in tempo. Mi fingo stupido, non riesco a far andare la macchina, la inceppo... Alla fine il soldato di guardia si stufa della mia incapacità e mi sbatte a spalare la terra. Prende al mio posto un ragazzo francese, prigioniero da 5 anni da quando cioè il campo è stato aperto; è stremato ed è ben contento di poter fare un lavoro più leggero. Arrivano i caccia alleati, fuggiamo nella trincea. Il ragazzo alla betoniera non li sente arrivare, e quando alla fine scappa è troppo tardi: viene colpito. Morirà dopo 5 giorni di agonia. Ha resistito 5 anni, ed è stato beffato alla fine di tutta questa follia. In qualche modo mi ha salvato la vita. Non conosco il suo nome e non so nulla di lui, ma questa è la sua storia e il suo onore di eroe silenzioso. Possa la sua anima aver trovato pace.

È il 28 aprile, da alcune ore siamo chiusi dentro al campo. Le guardie sono nervose, sembra stia per succedere qualcosa. Sentiamo dei rumori di battaglia sulla strada che dal paese porta al campo. È notte. È il 29 aprile 1945, e quando ci svegliamo il campo è stranamente calmo, e non ci sono tedeschi in giro. I cancelli sono aperti.

Pensiamo subito che sia una trappola e nessuno si fida a varcarli. Per quanto ne sappiamo, potrebbero esserci dei cecchini appostati fuori, pronti a sparare a tutti quelli che provassero ad uscire. Strano il sapore della libertà: ce l'hai davanti e ne hai paura! Vediamo dei soldati, ma non sono gli stessi: non urlano, la divisa è diversa. Sono americani! La quattordicesima divisione armata! Ora siamo davvero liberi! La guerra è finita, la Seconda Guerra Mondiale è finita davvero! Dal giorno 8 maggio 1945 siamo ufficialmente non più prigionieri e siamo trattenuti della Forze Armate delle Nazioni Unite.

Ora bisogna pensare a come tornare a casa, al Castiglione! Arrivo il 7 luglio del 1945: tanto ci è voluto per poter tornare a casa, rimpatriato in tradotta. Ma ora ci siamo, dopo quasi 2 anni passati in uno strano inferno sospeso, è ora di rivedere la mia valle. Estate, aria fresca, fiori, la corriera arranca e il Cusna si avvicina. Arrivo al mio paese, ma è tutto strano. Le case sembrano distrutte, bruciate... E la mia? Dov'è la mia casa? Non sarà mica anche quella... Corro nell'aia: ci sono delle mucche che pascolano attorno alle macerie della mia casa. Non c'è più niente! La guerra si è portata via tutto.

I partigiani avevano riempito le case di armi e attrezzature paracadutate dagli alleati, e così i tedeschi hanno fatto saltare tutto il paese. Era il 4 agosto del 1944, l'annus orribilis per la nostra montagna, costellato di tante stragi e distruzioni perpetrate dai tedeschi che, armi alla mano, risalivano le nostre valli cercando di distruggere tutto ciò che ritenevano una minaccia.

A Castilgione non ci fu nessuna strage, per fortuna, anche se ci si è andati vicino: almeno 3 persone rimaste in paese, donne anziani e disabili, furono ammassate proprio nella mia casa in attesa di essere giustiziate. La sorte volle che arrivasse dalla strada del Campaccio un partigiano, sperso nel posto sbagliato al momento sbagliato: fu freddato, e gli altri lasciati liberi. Un'altra vittima del caso, un altro uomo sacrificato di cui non si sa il nome ma solo che proveniva dalla bassa, forse vicino al Po. Il paese fu minato: tutte le persone erano fuggite alla macchia, ma hanno visto le case esplodere, sollevarsi in aria intere, per poi ricadere in un cumulo di macerie, con pezzi scagliati fino alla Governara.

Non ho più nulla, un'altra volta. Non mi resta che finire i sei mesi di servizio di leva nei carabinieri. In questo periodo, la mia fidanzata Paini Vittoria si trova a Genova assieme a sua cugina Paini Giuseppina di Riparotonda: sono a servizio presso la casa della famiglia dell'Avvocato Bensa, esperienza di cui conserveranno sempre un bel ricordo.

Il 15 ottobre 1945 sono mobilitato come carabiniere ausiliario presso la legione Carabinieri di Bologna, dove rimango fino al 16 gennaio del 1946, data in cui vengo trasferito alla legione Carabinieri di Genova, fino al 16 giugno 1946, quando sono collocato in congedo illimitato.

A questo punto non mi resta che rimboccarmi le maniche, ricostruire la casa, e tornare a fare il postino. Per fortuna la natura mi ha dotato di una volontà di ferro, spalle larghe, braccia robuste e forti.

Mentre ricostruisco la casa, sono ospite dei miei cugini Montelli che abitano alla Governara, dove non è successo nulla e le case non sono andate distrutte. Ricostruire una casa in questi anni, significava scegliere una ad una le pietre per innalzare i muri portanti, recuperandole magari dalle macerie delle vecchie case o andandole a prendere direttamente al fiume. Voleva dire costruire il minimo indispensabile, pensando di ampliare poi in futuro, e ricorrere anche al baratto, per avere i materiali che la nostra montagna non poteva fornirci: e così andavo a fare legna nei boschi, portarla a dorso di mulo in paese e con un camion farla arrivare a Fosdondo, nella bassa quasi a Correggio, dove c'era la fornace che produceva i mattoni. La fabbrica mi ripagava poi spedendomi in montagna i materiali che ho usato per costruire i muri interni e i solai.

Costruire voleva dire lavorare assieme a tanti paesani, tornati anche loro dalla guerra, tutti con sogni e bisogni che s' ingegnavano a fare da idraulici, elettricisti, muratori e tutto quel che serviva. Finalmente nel 1947 la casa è pronta, per lo meno la parte davanti, abbastanza comunque per poterci abitare e riaprire l'ufficio postale. Al piano terra c'è una stanza con la scrivania di servizio col piano di linoleum verde (che ad oggi è ancora lì, in casa al suo posto!), la grande cassaforte di ferro murata nella parete, e l'insegna gialla PT sulla facciata con i fili del telegrafo che entrano ed escono dal muro laterale. Posso ricominciare a lavorare, e finalmente sposare la mia fidanzata: Vittoria Paini, e portarla in viaggio di nozze a Roma.

Nel 1961 mi viene concessa la Croce al merito di guerra per l'internamento in Germania, in quanto “favorevolmente giudicato” per l'operato durante la prigionia. Nel 1985 l'ultimo atto a chiudere definitivamente la parentesi della guerra: il Presidente delle Repubblica Sandro Pertini, con una legge ad hoc, conferisce il “Diploma d'onore al combattente per la libertà 1943-1945” in quanto internato militare non collaborazionista.

Potrei raccontarvi altri 50 anni di vita felice e laboriosa tra la Val d'Asta e Genova, ma magari facciamo un'altra volta: ora restiamo concentrati sul ricordo di ciò che è stata la prigionia di un Internato Militare Italiano.

La guerra e ciò che non deve più accadere.

Luca Sillari, che ha ricostruito con racconti e documentazione le vicende del nonno Andrea Sillari, carabiniere Internato Militare Italiano allo Stalag VII di Moosburg dal 7 ottobre 1943 al 29 aprile 1945

1 COMMENT

  1. Ringrazio questo nipote che ci ha fatto conoscere in modo dettagliato ciò che è stata la guerra per noi che l’abbiamo vissuta, mi ci metto in mezzo anch’io anche se avevo solo sei anni certi ricordi non mi hanno mai abbandonato (teniamo lontana da noi quella brutta bestia) Elda

    • Firma - Elda