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La guerra a casa nostra: Veggia, un piccolo paesino in guerra

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Rubrica a cura di Marco Capriglio in collaborazione con Associazione Studi Militari Emilia Romagna APS

Mi chiamo Barbara e sono nata a Veggia, piccola frazione di Casalgrande ai confini con Sassuolo. Mia mamma si chiama Laura Casali, classe 1940, e ricorda molto bene quando mia nonna Luigia la portava nel rifugio antiaereo che c’era nel paese (1). Era piccolina, aveva solo 4 anni, e il suo ricordo più tenero è quello della nonna, sua mamma, che la stringeva forte durante i bombardamenti sul ponte di Veggia. Fino ai vent’anni, mia mamma aveva un forte terrore dei rumori forti, perché le ricordavano quei momenti terribili.

Ricordo il marito della sorella di mia mamma, Sergio Corti, per me “lo zio Sergio” (2). Quando ero bambina, mi raccontava episodi della Seconda Guerra Mondiale. Lui aveva combattuto sul fronte greco-albanese e spesso mi parlava del desiderio di tornare in Grecia con me, una volta che fossi diventata grande, per rivedere Irene, la ragazza che aveva conosciuto lì durante la guerra. Era stata lei ad aiutarlo a sopravvivere in quel periodo così difficile. Credo che il ricordo più vivido di mio zio fosse l’amore per Irene, più delle brutture e delle difficoltà della guerra stessa.

Aveva solo vent’anni e tanta voglia di vivere. Dopo l’8 settembre 1943, cercò di tornare in Italia, ma fu catturato dai tedeschi e deportato in un campo di lavoro. Lì si ammalò di polmonite, perdendo in parte la funzionalità di un polmone. Subì anche il congelamento dei piedi, e ne portò i segni per tutta la vita. Mi raccontava del lavoro pesante, del freddo insopportabile e della fame continua. Fu ritrovato da un amico, privo di sensi, in un fossato non lontano da casa, sfinito. Diceva di essere fuggito dal campo e di aver raggiunto l’Italia a piedi, almeno in parte.

La sorella di mia mamma, la zia Teresa, la moglie dello zio Sergio, mi raccontava invece di quando lavorava “a servizio” presso una famiglia benestante a Reggio Emilia. Ogni quindici giorni circa, tornava a casa e la signora per cui lavorava le preparava una cesta piena di cibo da portare alla sua famiglia. La zia viveva però nella paura di essere fermata ai posti di blocco tedeschi e che le portassero via tutto. Una volta si trovò in mezzo a un bombardamento: si buttò in un fosso per salvarsi. Era preoccupata anche per la sua bicicletta, che si era tutta rotta; ma continuò il viaggio a piedi, portandola con sé.

Mia mamma ricorda anche suo fratello Angelo, che da ragazzino si trovava sul monte della Covetta a Veggia insieme ai partigiani. Forse non aveva neanche 15 anni. Portava un fucile più grande di lui! Ricorda anche alcuni giovani feriti e sanguinanti che arrivavano al paese: lei, che era piccolina, aveva paura alla loro vista.

 Barbara Casali

 NOTE 

  • Tutta la storia del Rifugio di Veggia a questo link.
  • Dal ruolo matricolare digitalizzato per gli Albi della Memoria di ISTORECO e dai dati di Lessico Biografico IMI, risulta che Sergio Corti, classe 1921, fosse un mitragliere del XXVI Battaglione Mitraglieri. Inviato in Grecia, fu catturato ad Atene dai tedeschi il 10 settembre 1943 e fu liberato dal campo di prigionia in Cecoslovacchia solo il 5 maggio 1945 dagli Russi.