Alcuni giorni fa, abbiamo pubblicato la notizia della prossima riapertura del sentiero del Gaspalé - che collegava Primaore a Cinquecerri-, grazie all’iniziativa dell’associazione Obiettivo Natura onlus e della Pro Loco di Primaore.
Un sentiero praticato per decine e decine di anni o forse per centinaia, e caduto in disuso intorno agli anni ’60: prima della costruzione della strada asfaltata il sentiero rappresentava l’unica via di comunicazione tra Primaore e Cinquecerri. Da qui passava la vita dei cittadini (incontri, commercio … ) .
Il sentiero è stato anche utilizzato dai partigiani per i loro spostamenti.
L’interessa da parte delle due associazioni ha portato alla luce anche diverse testimonianze di chi ha praticato quel sentiero quando era ancora in auge: racconti che ci offrono uno spaccato storico molto interessante.
Il racconto di Silvano Pini di Primaore
«Nato a Primaore nel 1953, ho fatto in tempo, prima di tutto, a vedere un po’ di miseria. Anche se ora abito a Bagnolo, sono molto legato al mio paese d’origine dove ho una casa di proprietà. Ricordo bene quando da bambino scendevo dal Gaspalée con i miei genitori, mio padre tirava il mulo e io e mia madre eravamo seduti sopra.
Erano anni duri, la guerra era finita da poco. Non c’era acqua in casa, non c'era ancora l’acquedotto, si attraversava un sentiero e gli uomini e le donne si recavano con fiaschi e secchi alla fontana del Meleto (Mlée). Mentre per lavare i panni c’era un lavatoio al Predzolo, non lontano dalla casa del nonno Armando e l’acqua arrivava dai campi.
Ci fermavamo a fare due chiacchiere con la signora Piera del Mulino e andavamo a Giarola, il paese di mia madre, e poi al ritorno si faceva la spesa.
A Cinquecerri c’era un rapporto di fratellanza. Ricordo la bottega di generi alimentari della zia Delfina e anche lei con il mulo attraverso il Gaspalée, veniva a Primaore a vendere i suoi prodotti. Non solo ci conoscevamo tutti, ma sono stati celebrati anche parecchi matrimoni tra gli abitanti dei due paesi.
Mio padre, ad esempio, veniva ad imparare il mestiere del calzolaio dal signor Oliviero e qui conobbe mia madre e si sposarono. Così fu per Ivano e Ida, Carla e Sergio e altri ancora.
Noi bambini aspettavamo con impazienza la fiera di Cinquecerri. Scendevamo attraverso il sentiero e andavamo a mangiare il gelato, si chiamava “slii”. Lo portava un signore con il carretto, era il cono di adesso con solo un gusto ma per noi era una delizia».
La testimonianza di Gianni Balestri di Primaore
«Ricordo ancora con nostalgia quegli anni, '50, '60, '70, e in particolare i rapporti di amicizia, e non solo, che mi legavano a tante donne e uomini di Cinquecerri che purtroppo oggi non ci sono più.
Primaore in quegli anni, prima della costruzione della strada per Villa Minozzo, dipendeva completamente da Cinquecerri in tutto. Ci si andava a dorso di mulo per portare il grano, il granturco e le castagne secche a macinare nel 'mulino della Pia'. Il mulino era mosso dalla forza dell'acqua dell'Ozola.
E poi c'era il consorzio 'de' Vnanzi' di Venanzio Simonelli; il negozio di stoffe e chincaglieria della 'Vreglia e Iappi'; l'ufficio Postale e il negozio itinerante, con tanto di mulo e carretto, 'dla Merope' che vendeva frutta e verdura. La Merope gestiva anche un bar con gelateria. Poi c'era il negozio di frutta e verdura della 'Delfa e Remo' e il bar ristorante K2 'da Nigoni', che vendeva anche generi alimentari.
Oggi si direbbe che i nostri due borghi erano gemellati. Ma noi lo eravamo ancora di più perché ci conoscevamo personalmente e tutti sapevano tutto di tutti. Quando i due borghi festeggiavano delle sagre o organizzavano delle feste di paese, quelli dell'altro borgo partecipavano in massa e si festeggiava e si ballava insieme. Non era raro che donne e uomini dei due borghi si unissero in matrimonio. dei matrimoni delle parrocchie per dimostrare che quello che dico corrisponde al vero.
Lungo il sentiero ci sono le 'grotte delle Fate'. Quante leggende e favole venivano raccontate a noi bambini per farci fantasticare, sognare e anche impaurirci! Ho saputo che oggi tutte le grotte del sistema carsico del nostro Appennino reggiano sono state certificate da MaB Unesco.
Proprio un meritato riconoscimento. La passerella, che permetteva di attraversare l'Ozola senza bagnarsi i piedi, era di fronte ai Prati di Sella Primaore. Quando l'onda di piena dell'Ozola la ribaltava giù, veniva ricostruita con i pali dell'Edison Volta. Le donne poi, facevano delle fascine per andare a riempire i vuoti fra un palo e l'altro e per dare maggiore stabilità alla passerella. Finito il lavoro, si andava a far festa all'Osteria da Zaverie di Domenico Magliani. Era un'occasione per prendere delle 'bronze' mitiche».
La testimonianza di Domenico Stefanelli di Cinquecerri
«Sono nato nel 1944. Mi ricordo che l'asilo era lì all'inizio del paese, dove c'erano le scuole e noi eravamo una decina. Chi cucinava era mia nonna Marina, la maestra era l'Albertina che veniva da Reggio Emilia. Dopodiché sono andato alle scuole elementari, ho iniziato la prima, con le aste e con le prime scritture; scuola mista, pluriclasse: la prima e la terza, la seconda e la quarta.
C'erano l'Egle, la mitica Spadoni e poi è arrivato il maestro Giberti che aveva fondato anche la banda musicale di Cinquecerri.
Prima di andare a scuola si andava dalle mucche. Tutti i bambini andavano nella stalla a governare le bestie perché il genitore magari lavorava via. Prima si andava a mungere e poi pulire le bestie poi si andava a scuola. Già a sette anni
La scuola veniva in seconda posizione, specialmente in primavera, quando poi iniziava a lavorare nei campi. Così che non si andava sempre a scuola.
Tutti quelli come me, Piero, Ennio della Vanì, chi aveva i campi, siamo andati fuori per lavoro e il paese si è svuotato. È stato proprio gli anni dal 1959 arrivare al 1963, in tanti che eravamo, una quindicina, classi dal 1944 al 1950, ci siamo trasferiti a La Spezia, Genova, Milano dove l'Edison Volta, e altre ditte, cercavano operai. In poche parole nel 1963/1964 il paese non esisteva più, erano rimasti solo i vecchi. L'unico che è rimasto è stato il povero Alberto Primavori perché aveva il bar. Ricordo che c'era l'osteria Zaverio, andavi là, ti bevevi il tuo quartino. Alla domenica sera, special modo, c'era chi cantava e si stava in compagnia. Poi c'era l'alimentare Minghèt, faceva solo alimentare. L'osteria K2 ancora non esisteva.
Poi c'erano Remo e l'Adele che vendevano frutta e verdura. Poi la Mérope che vendeva anche lei frutta e verdura e andava in giro cun al micin (n.d.r. mulo) senza il carretto.
C'era l'Aurelia, la Vreglia. Vendeva stoffe e chincaglieria, aveva di tutto. Poi l'ha preso in mano Bruno. Attilio, Berto e Ivan andavano a far legna. Avevano 7/8 muli e con la slitta la trasportavano. Poi ad Attilio Magliani e la moglie Cesarina, viene in mente di aprire il forno, era il 1953.
Allora, non in tutte le case c'era il forno per il pane. Ci si riuniva 3/4 famiglie a casa di chi aveva il forno, ognuno preparava i suoi pani e poi si cuocevano. Quando c'eran le feste, chi aveva il forno cuoceva le torte per sé e per chi il forno non l'aveva.
Negli anni '60, a Cinquecerri e borghi limitrofi, si producevano le maglie in conto lavorazione per commercianti e gruppisti. Una ventina di persone erano impegnate in questa lavorazione. Le macchine per la lavorazione del filato venivano installate dal committente a casa dei lavoranti ai quali venivano insegnate le modalità d'uso dei macchinari. Il compenso era a cottimo: tanti pezzi produci, tanto ti pago. Il prezzo veniva stabilito all'inizio della commessa affidata. Gli errori o le distrazioni gravavano sul compenso dovuto al lavorante. Qui in montagna di lavoro ce n'era veramente poco. Te avevi quelle due vacchine e il latte lo lavoravi in casa.
A metà degli anni '50, la cooperativa costruisce il casello, il presidente era Attilio. All'inizio in modo artigianale con un solo vascone in rame. Successivamente, una volta ampliato il casello, si lavorava il latte con quattro vasconi in rame. La cooperativa riusciva a vendere il Parmigiano Reggiano attraverso i suoi canali di commercializzazione. Il casaro si chiamava Mario. Non c'era l'autobotte che faceva il giro delle stalle e ognuno conferiva il latte con mezzi propri, con una traggia o con un bidoncino trasportato in bicicletta. Nell'arco di dieci anni, però, si è cominciato a dismettere le mucche e la gente è andata via».
Testimonianze che lasciano senza fiato.
Situazioni di cui ho fatto in tempo a cogliere le tracce negli anni ’60.
La fine, forse inevitabile, di una società faticosa ma civile e con molta fratellanza, durata per qualche secolo.
Tanto più e tanto meno abbiamo adesso.