Riceviamo e pubblichiamo dal Circolo alto crinale FdI
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Quando si parla di Resistenza, è inevitabile considerare anche il concetto di guerra civile, con tutte le lacerazioni del tessuto sociale che essa comporta. La maggior parte della popolazione montanara cercava solo di vivere, o meglio di sopravvivere, ai terribili anni del periodo bellico, senza schierarsi né con i fascisti né con la Resistenza.
È vero che entrambi i fenomeni furono minoritari. Molto rilevante era, infatti, l’influenza della Chiesa e il legame dei montanari con le loro tradizioni, poco compatibili con le teorie rivoluzionarie, socializzanti e materialiste della sinistra comunista e socialista. Ciò è dimostrato in maniera inequivocabile dal trionfo della Democrazia Cristiana nelle elezioni democratiche del dopoguerra in tutti i comuni montanari.
Da ricordare anche l’elezione dell’ex podestà Coriani, noto per la sua moderazione politica, a sindaco di Villa Minozzo nella lista della Democrazia Cristiana.
Il periodo più cruento vissuto dalla nostra montagna iniziò con la piena occupazione tedesca dell’Italia, a partire da settembre 1943, dopo la caduta del regime fascista e la nascita delle prime formazioni partigiane.
Gli eccidi più sanguinosi che sconvolsero le nostre zone furono le due stragi di Cervarolo – quella tedesca dell’Aia e quella compiuta dai partigiani sopra il paese –, oltre alla fucilazione, sempre da parte dei partigiani, di sei prigionieri della battaglia di Cerrè Sologno a Monteorsaro.
Non si possono dimenticare la strage della Bettola, perpetrata dai tedeschi, e quella di Cernaieto di Casina, ad opera dei partigiani, solo per citare le più cruente.
Nelle mie ricerche, condotte per oltre vent’anni, non ho trovato finora riscontri o testimonianze attendibili sulla presunta battaglia per la difesa della centrale di Ligonchio dell’11-14 aprile 1945.
Lo scopo della puntata militare tedesca non era distruggere la centrale, ma bonificare la zona da cui provenivano attacchi al presidio tedesco di Busana e alla Statale 63, da mantenere libera per l’imminente ritirata di fronte all’avanzata delle truppe alleate.
La lapide che a Ligonchio ricorda la presunta battaglia parla di 500 partigiani che per tre giorni e quattro notti difesero la centrale dalle truppe tedesche. Tuttavia, una presenza così nutrita di forze partigiane e l’assenza di morti o feriti legati ai fantomatici combattimenti destano forti dubbi sulla veridicità dell’evento.
A me sembra che Fiocchi fornisca elementi utili ad inquadrare in modo quanto più compiuto una materia delicata e complessa, ed anche controversa (personalmente, ad esempio, non metterei sullo stesso piano la sinistra comunista con quella socialista), e chi invece disponesse di dati e dettagli diversi potrebbe qui esporli, a replica e commento di queste sue righe, dando così maniera a ciascuno di farsi la propria opinione al riguardo, se non ha già maturato radicate convinzioni in merito.
Mi viene nel contempo di aggiungere che trovo non irrealistiche, o comunque non inverosimili, le parole di Fiocchi laddove scrive che “la maggior parte della popolazione montanara cercava solo di vivere, o meglio di sopravvivere, ai terribili anni del periodo bellico, senza schierarsi né con i fascisti né con la Resistenza”, il che poteva succedere anche per non acuire le lacerazioni del tessuto sociale provocate dal clima di guerra civile, e particolarmente avvertite nelle piccole comunità.
P.B. 22.04.2025