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l'intervento di Thomas Predieri

«La storia è una materia seria»

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Riceviamo e pubblichiamo

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“Roberspierristi e antiroberspierristi: diteci chi era Robespierre”.

Nel testo Apologia della Storia o il mestiere dello storico Marc Bloch lo scriveva verso coloro che si facevano fautori di una narrazione storica basata da una parte sull’esaltazione e dall’altra dalla condanna di personaggi ed idee. Ora, davanti a quanto Fratelli d’Italia, tramite Danilo Casanova, continua a dire ci verrebbe da chiedere loro “Chi furono i partigiani? Chi furono i repubblichini?”. Uno storico sa benissimo che, anche a dispetto della propria posizione politica, l’oggettività è uno dei primissimi punti che deve rispettare e con essa deve rispettare le fonti.

Inizia la sua disamina dicendo che non conta l’ideologia, ma la prima cosa che fa è ringraziare il suo partito che le dà una non ben definita libertà di parlare di certi argomenti storici scomodi. Con grande franchezza: di scomodo qui non c’è nulla, se non l’abuso di una materia e la completa non curanza del metodo storiografico.

Nell’analisi delle fonti, infatti, uno storico non può prestarsi a interpretazioni fuorvianti del documento, come riporta Gatto nel testo L’atelier del medievista che ricorda la distinzione interna alle fonti e la loro scelta.

Sta allo storico, infatti, fare la cosiddetta cernita delle fonti, tenendo conto che lo storico è sia filologo che cronicista nel frangente in cui seleziona le fonti e redige un testo. Ora, lo storico non potrà mai parlare conoscendo il 100% della documentazione, ma al contempo non può nemmeno prendere solo la parte comoda a sostenere un suo preconcetto. Per esempio, lei reputa non attendibili i testimoni che parlano della Battaglia della Diga di Ligonchio. Purtroppo, uno storico serio direbbe una cosa simile solamente se trovasse documenti sufficienti a confutare tale testimonianza oppure ne leggesse elementi irrealistici.

I numeri riportati dalle fonti, come i 500 partigiani, non lo sono. Teniamo presenti che all’anagrafe realizzata dall’Università degli Studi di Bologna sui partigiani in provincia di Reggio Emilia se ne contano più di 10mila, mentre da dati successivi si arriva ad almeno 11mila e 500. Sappiamo che solo nel comune di Castelnovo i partigiani furono 481, quindi un numero assolutamente vicino ai 500 combattenti riportati nei giorni della battaglia. Un numero che, se sommiamo ai dati totali degli altri comuni, in particolare quelli che oggi sono municipalità del comune di Ventasso, e aggiungendovi quelli di Villa Minozzo arriviamo a un totale di 1022 partigiani, sempre a confermare che il numero di 500 non è irrealistico.

Ci furono vittime? Certo.

I nazifascisti contarono 100 perdite, mentre i partigiani contarono 1 morto, 7 feriti e 3 dispersi. Il partigiano caduto, Vasco Rinaldini, venne oltretutto colpito mentre veniva trasportato al sicuro dopo esser stato ferito. Anche il fatto che la DC trionfò alle elezioni del 1948 è un’immensa inesattezza. Controllando i dati sul Ministero degli Interni si possono rintracciare le seguenti cifre per le elezioni della Camera: a Carpineti l’FDP prese il 49,5 %, a Castelnovo ne’ Monti il 53,71%, a Casina il 46,91%, a Vetto il 49,85%, a Ramiseto il 46,06%, a Busana il 48,72%, mentre gli altri comuni, questo sì, andarono alla DC. Altro dato decontestualizzato.

Nilde Iotti si tesserò al Partito Fascista nell’ottobre del 1942, ma lo fece perché per le insegnanti era obbligatorio secondo la famosa Leva Fascista, ossia la regola che regolava il passaggio tra i vali livelli della vita organizzativa giovanile del modello educativo fascista (dai figli della lupa ai Balilla, per esempio), pena l’espulsione dai pubblici uffici, ma già meno di un anno più tardi si avvicinò al PCI.

Fare lo Storico è un lavoro, lo lasci fare a chi continua a studiare la materia e non ha preconcetti, come quelli che lei palesemente esprime parlando di partigiani comunisti e socialisti come se tutti fossero colpevoli. Infatti, la storica Iara Meloni, ha recentemente pubblicato per Viella il saggio Nella provincia selvaggia.

Giustizia, vendetta e memoria nel “triangolo rosso”, un libro che le consiglio per capire e per continuare a studiare, un libro che tramite i documenti delle Corti di Assise straordinarie decostruisce una profonda mitologia vittimista e autoassolutrice dei carnefici, quella che lei nel suo intervento sta continuando a perpetrare dicendo, tra le righe, che se i partigiani fossero stati fermi e non avessero reagito non ci sarebbero stati gli Eccidi.

Una persona politicamente lontana dal sottoscritto, come Ermanno Gorrieri, Ministro del Lavoro sotto il quinto governo Fanfani ed esponente della Democrazia Cristiana, disse:

«…molta rabbia si era accumulata negli animi. Era impossibile che non esplodesse dopo il 25 aprile. Violenza chiama violenza. I delitti che hanno colpito i fascisti dopo la Liberazione, anche se in parte furono atti di giustizia sommaria, non sono giustificabili, ma sono comunque spiegabili con ciò che era avvenuto prima e con il clima infuocato dell'epoca. I fascisti non hanno titolo per fare le vittime».

La storia è una materia seria e come tale va maneggiata, esiste un metodo storico e non si può far dire ai documenti ciò che non dicono. Si fidi, continui a studiare, ma esca anche dalla sua ideologia quando si approccia a una fonte o ad un evento.

 

Thomas Predieri – Segreteria provinciale di Sinistra Italiana, studente di Lettere e ricercatore

1 COMMENT

  1. Seguendo negli anni la narrazione degli eventi storici, ho ricavato l’idea o l’impressione che possano configurarsi due fasi o sezioni, ossia il resoconto o fotografia dei fatti, cui fa poi seguito la loro “esegesi”, e se già il primo aspetto può talora registrare distinguo o differenze non irrilevanti, una tale “forbice” è destinata casomai ad allargarsi ulteriormente quando si passa alla interpretazione degli accadimenti.

    Un diverso racconto dei fatti può dipendere dalle fonti consultate e dai dati raccolti, che possono talora non coincidere (e può capitare così anche nell’ascoltare i protagonisti, o chi ne ha raccolto le testimonianze, allorché si tratti di avvenimenti dei nostri tempi), e non mancano esempi in cui il rinvenimento di nuovi elementi ha portato a rivedere, pure significativamente, la cronaca dell’una o altra vicenda.

    Quando poi si passa alla interpretazione dei fatti, o al giudizio sui loro protagonisti, il margine di “discrezionalità” diviene talvolta ancora più ampio, al punto di condurre “da una parte sull’esaltazione e dall’altra dalla condanna di personaggi ed idee”, a seconda dei rispettivi orientamenti ideologici, ecc …, il che mi sembra essere avvenuto ben prima, e anche dopo, dei “roberspierristi e antiroberspierristi”.

    Circa l’oggettività, cui si dovrebbe sempre tendere nel riportare gli eventi storici, secondo quanto si legge in questo articolo, non vorrei che alla fine fosse una regola o principio a senso unico, valevole per gli uni e non per gli altri, posto che viene da chiedersi quanta ce ne sia stata nel ricordare le vittime delle Foibe, una storia dimenticata, come viene talora definita, stante il ritardo con cui ne siamo venuti a conoscenza.

    Né vorrei che vi fosse qualcuno convinto di avere una sorta di esclusiva o monopolio, ovvero il ritenersi l’autentico e solo interprete degli eventi storici, al che riterrei preferibile che ogni parte, politica, ideologica, …, abbia la propria “verità”, e la possa esporre e raccontare in modo che ciascuno di noi scelga a quale dar liberamente credito, pena il rischio di scivolare nella indesiderabile logica del pensiero unico.

    P.B. 26.04.2025

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