Robertino Ugolotti, presidente Italia Viva Appennino reggiano, parla della montagna come risorsa strategica, non solo paesaggistica ma sociale, economica e politica.
In questa lunga intervista affronta con chiarezza le sfide e le opportunità del nostro Appennino: dall'importanza delle Unioni dei Comuni come strumenti di coesione, alla fiscalità agevolata, per attrarre imprese e trattenere giovani.
Un’analisi lucida, che tocca il tema della sanità territoriale, della lotta allo spopolamento, del turismo sostenibile e della transizione digitale, con uno sguardo concreto su ciò che serve davvero per trasformare la montagna in un luogo non solo abitabile, ma anche abitato.
«Non serve divisione: serve più Unione, più progettualità comune», afferma.
Italia Viva considera fondamentale il mantenimento e l’allargamento delle Unioni dei Comuni?
Italia Viva ritiene essenziale il mantenimento e un eventuale ampliamento dell’attuale Unione dei Comuni. Chi oggi propone di dividerla, non lo fa per l’interesse della montagna, ma spesso per un vantaggio politico personale. Noi abbiamo bisogno di un’Unione forte. Oggi è composta da una maggioranza variegata – tra civici, non civici e membri dei partiti – ma è necessaria una direzione politica chiara su cosa vogliamo costruire.
Se si tornasse al modello della vecchia Comunità montana, si recupererebbero numeri significativi a livello provinciale: essere un territorio da 30.000 o da 45.000 abitanti fa una grande differenza, soprattutto nell’accesso ai servizi, dall’ospedale alle scuole. Rafforzare una visione condivisa per il nostro Appennino è fondamentale.
Pensando ad un allargamento, quali vantaggi concreti porterebbe l’ingresso nell’Unione dei Comuni di Baiso, Viano e Canossa?
In primo luogo un aumento della popolazione servita, migliorando l’efficienza e l’accesso ai servizi esistenti – scuole, sanità, commercio. Più siamo, più forza abbiamo per far crescere il territorio. Questi Comuni facevano già parte della nostra Comunità montana: ha senso che oggi tornino nell’Unione montana, rafforzandola.
In che modo la fiscalità agevolata può diventare un motore di sviluppo per i territori montani?
La fiscalità agevolata è un punto di partenza e deve essere indirizzata soprattutto a chi crea lavoro: imprese, cooperative, attività guidate da giovani o da donne. Dobbiamo creare un contesto attrattivo, semplificare la burocrazia, alleggerire il carico fiscale e favorire chi investe qui.
Il lavoro è vita per l’Appennino: senza opportunità, le persone sono costrette a trasferirsi in città. La nostra priorità dev’essere trattenere e attrarre nuova forza lavoro.
Ci sono esempi di aziende che hanno investito in montagna creando occupazione?
Ce ne sono numerosi esempi, tra cui alcune recenti realtà a Carpineti, ma anche sul crinale, ad esempio nel comune di Ventasso, ci sono realtà interessanti. Alcune coinvolgono decine di professionisti – tra ingegneri e giovani specializzati. Un esempio è la Bronzoni, ma non è l’unica.
Tuttavia, serve colmare il divario digitale. La banda larga deve essere garantita ovunque: non può esserci un Comune dove arriva e uno dove manca, o dove basta un temporale per farla saltare. Digitalizzare è essenziale, perché oggi il lavoro passa da lì.
Qual è la visione di Italia Viva per una nuova occupazione adatta alle tecnologie, in montagna?
La tecnologia è uno strumento cruciale. Tra qualche anno, molti lavori attuali non esisteranno più. La digitalizzazione ci permette però di crearne di nuovi, più vicini ai giovani e alle loro competenze.
Pensiamo solo a quanto è cambiato negli ultimi anni: chi avrebbe detto che si potesse vivere costruendo siti internet o gestendo pagine social? Dobbiamo valorizzare le eccellenze locali – cultura, agricoltura, turismo, artigianato – e renderle visibili online.
Molti di questi lavori possono essere svolti da casa, riducendo anche il pendolarismo. Agricoltura, turismo e attività di nicchia riconosciute a livello nazionale o europeo sono la chiave. È su questi settori che dobbiamo investire con determinazione.
Quali infrastrutture e servizi mancano affinché la montagna diventi una vera risorsa economica?
Oggi manca una rete ricettiva adeguata. Mancano strutture ma soprattutto mancano servizi per chi viene sul nostro territorio. Dopo il Covid, il modo di fare turismo è cambiato, e la montagna ha conosciuto un boom. Basta vedere cosa succede nei weekend: è difficile trovare un ristorante libero, i sentieri del crinale e la Pietra di Bismantova sono sovraffollati. Ma non siamo ancora in grado di intercettare appieno questo tipo di turismo, che invece potrebbe generare nuove imprese e cooperative di comunità. Anche le frazioni oggi semideserte d’inverno ma affollate d’estate potrebbero sviluppare attività che durano tutto l’anno.
Con una popolazione sempre più anziana, quali servizi alla persona devono essere potenziati?
L’ospedale è prioritario, ma per funzionare davvero ha bisogno di punti di eccellenza, fondamentali per una popolazione anziana. I medici di base devono essere presenti, e qui entrano in gioco le case di comunità. Il cittadino deve poter fare un elettrocardiogramma vicino casa, non in città. Serve anche investire in strutture per anziani autosufficienti, dove possano vivere insieme, seguiti da medici e infermieri. Queste strutture sono cruciali soprattutto sul crinale. E servono anche centri sociali, luoghi di aggregazione per mantenere vivo il tessuto umano.
Gli effetti del cambiamento climatico in montagna sono già visibili. Come si può intervenire concretamente?
È inutile dire che “ci sono sempre stati cambiamenti climatici o terremoti”: oggi viviamo un’altra realtà. Basta un giorno di pioggia intensa per vedere paesi sott'acqua o strade interrotte. Non si tratta più di eventi eccezionali ogni dieci anni: sono emergenze sempre più frequenti. Il cambiamento climatico è una realtà, ignorarlo significa chiudere gli occhi.
Il problema è che i fondi dallo Stato o dalla Regione arrivano troppo tardi. Le amministrazioni locali si trovano a tamponare con risorse proprie, e questo le mette in enorme difficoltà.
Cosa chiedete a Regione e Governo per affrontare queste sfide?
Chiediamo tempi certi tra l’emergenza e lo stanziamento dei fondi. Oggi ci vogliono mesi, a volte anni, e intanto i Comuni restano bloccati. La prevenzione si fa con la manutenzione ordinaria, continua. Non si può aspettare che le case si allaghino o che le strade vengano chiuse per frane.
E' necessaria una gestione condivisa delle risorse nell’ambito dell’Unione, con fondi comuni da destinare a interventi urgenti in caso di emergenza, in particolare per aziende e agricoltura.
Cosa significa per voi lo slogan “Vivere in montagna si può”? Quali politiche aiuterebbero i giovani a restare?
Serve un tavolo di discussione per fare un'analisi approfondita della situazione attuale della montagna. Agricoltura, turismo e piccola e media impresa sono le tre colonne portanti su cui dobbiamo costruire il futuro. Un’azienda che dà lavoro a 5 o 6 persone in un Comune montano può cambiare la vita di una comunità. Ma per farlo è essenziale garantire servizi come scuole, ospedali, cultura. Solo così possiamo evitare che i giovani emigrino altrove. Il lavoro è la chiave, ma deve essere dignitoso e sostenibile.
Come può migliorare il rapporto tra i Comuni montani e la città? Quali strumenti servono per superare l’isolamento?
Bisogna superare l’idea che città e montagna siano mondi separati. Prendiamo Reggio Emilia e la nostra Unione montana: non devono essere due entità distinte, ma realtà che collaborano. Penso a esempi concreti di collaborazione: per esempio, Max Mara potrebbe aprire uno stabilimento in Appennino. I patti territoriali con Confindustria vanno rafforzati. Abbiamo eccellenze da offrire.
Siamo parte del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, uno dei 25 in Italia: qui si può vivere bene, lavorare, fare turismo sostenibile. Ma, ribadisco, serve una banda larga che funzioni ovunque. La tecnologia può permettere, soprattutto alle donne e ai giovani di creare impresa, innovazione, nuove forme di occupazione.
Un ultimo messaggio?
La politica deve smettere di piantare bandierine. Deve trovare una sintesi tra problemi, soluzioni e proposte concrete. I fondi si possono trovare, ma serve volontà comune. L’Appennino non è la parte debole del Paese: ha potenziale, storia, cultura e bellezza. Non possiamo trattarlo come un margine.
L’Unione deve restare unita, e chi tenta di dividerla non agisce per il bene dei cittadini. Il futuro della montagna passa dalla coesione, dalla capacità di fare rete, e dalla convinzione che “vivere in montagna si può”.
Parto dal fondo di questa intervista, laddove si legge che “l’Unione deve restare unita”, per dire che anch’io la penso allo stesso modo, mentre da un politico di lungo corso non mi sarei invece aspettato parole quali “è necessaria una direzione politica chiara su cosa vogliamo costruire”, che suonano come parole di circostanza, o ad effetto, a mio avviso almeno, innanzitutto perché oggi la nostra montagna è giustappunto amministrata da “maggioranze variegate”, con visioni casomai piuttosto diverse e differenziate circa la conduzione ed il futuro dei nostri luoghi.
Vuoi anche perché durante tutti gli anni in cui la sinistra ha guidato tutti i nostri Comuni (in una con Provincia e Regione) avrebbe dovuto esservi una direzione politica compatta sugli obiettivi da perseguire, ma non si sono tuttavia visti grandi “passi avanti”, stando almeno alla situazione che stiamo lamentando, e mi viene poi di aggiungere che non vedo come l’Unione dei Comuni possa tornare al modello della vecchia Comunità Montana, la quale aveva per sua natura una precisa caratterizzazione politica (che manca all’Unione dei Comuni, da che io sappia)
Visto che ultimamente più d’uno parla di fiscalità agevolata (e forse c’è anche chi adesso vuole “metterci il cappello”, dopo averla fin qui trascurata), se si vuole puntare su questo strumento, e su altre misure a favore della montagna da abitare, e non solo da visitare, bisognerebbe che Italia Viva, che mi sembra far ormai parte organica della sinistra, ossia della parte politica che governa la Regione, cerchi di convincere quest’ultima ad accelerare i tempi, e se ritiene che i “poteri regionali” siano insufficienti appoggi allora con decisione l’idea dell’autonomia differenziata.
P.B. 05.05.2025
Laddove parla di servizi alla persona, il presidente Italia Viva Appennino reggiano cita le Case di comunità, ma nulla dice riguardo all’Ospedale di Comunità, che mi sembra esser stato previsto nel Comune capoluogo della montagna, il che mi porta a fare una riflessione, dopo che sui quotidiani di ieri, sei maggio, abbiamo letto che il bilancio 2024 della Ausl reggiana si sarebbe chiuso con un disavanzo superire ai 23 milioni di Euro.
Mi esprimo rigorosamente al condizionale, non essendo io in grado di sapere se tale notizia e cifra sia fondata, ma qualora lo fosse mi chiedo in primo luogo come possa essere sostenuta questa ulteriore spesa, a fronte di tale situazione economica, a meno di finanziamenti particolari, che non ricordo tuttavia menzionati in un articolo di Redacon del febbraio 2022, relativo all’argomento (salvo che qualcosa nel frattempo sia cambiato).
Resterebbe in ogni caso in piedi la questione del personale, sempre in riferimento all’Ospedale di Comunità, visto che detta struttura impiegherebbe a sua volta personale sanitario, con corrispondente spesa, quando abbiamo sentito non di rado riferire che il Sant’Anna soffrirebbe di carenza numerica di operatori, e non si comprendono pertanto le ragioni del creare un altro Ospedale, anziché rafforzare quello esistente, e “storico”.
Circa le “strutture per anziani autosufficienti”, su cui investire, io penso che gli appartenenti a questa categoria di persone andrebbero innanzitutto aiutati a restare a casa propria, sino a che riescono a farlo, semmai tramite un supporto non continuativo, ma attivabile con meccanismi possibilmente semplici, anche perché l’investire in strutture, e annessa gestione, comporta costi che devono poi fare i conti con le disponibilità economiche.
Concetti come “trasformare la montagna in un luogo non solo abitabile, ma anche abitato”, oppure “un Appennino non solo da visitare, ma soprattutto da vivere», sono certamente accattivanti, ma poi vanno date loro le gambe per poterli realizzare, e chi fa politica sa, o dovrebbe sapere, che gli aspetti organizzativi vanno in parallelo con le capacità di spesa, diversamente si fa solo un “elenco della spesa”, invogliante ma destinato a restare tale.
Se siamo ancora al punto che “serve un tavolo di discussione per fare un’analisi approfondita della situazione attuale della montagna”, significa che la “strategia” fin qui impiegata non ha funzionato molto, e se si punta sulla defiscalizzazione le risorse vanno concentrate in tal senso (salvo quelle per la difesa idrogeologica del territorio), sperando che l’iniziativa privata riesca a dare i risultati non ottenuti dalla “programmazione” pubblica.
P.B. 07.05.2025