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la trebbiatura sul Monte Faillo

Elda racconta Pietro

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Pietro ci vuole raccontare ancora una volta, quei ricordi che conserva ancora nel suo cuore da parecchi anni e questa volta vi racconterà della trebbiatura:

Negli anni sessanta e certamente anche molto prima, la stagione della trebbiatura, nelle aie dei contadini della Val d’Enza, arrivava e terminava, più o meno verso la metà di giugno, giorno più o giorno meno dal momento che il grano in altura, come per esempio Lugolo (frazione di Ramiseto), 740 metri sul livello del mare, maturava più tardi.

Con la trebbiatrice che arrivava puntualmente sulle aie, collaborava una squadra di operai, appositamente preparati ed attrezzati.

A una di queste squadre, faceva parte anche un mio carissimo amico di Vetto, fin dalla sua giovane età aveva il ruolo di trattorista.

Lavoro che ha svolto per circa sette anni con tanto impegno, determinazione, passione e professionalità.

Questa passione l’ha conservata fin ora per qualsiasi mezzo o attrezzo agricolo (taglia erba, motoseghe, decespugliatori, ecc).

Quei sette anni di duro lavoro, levatacce, sacrifici e rinunce, lo hanno riempito di tanta polvere, ma anche di tanti valori umani e sociali. Valori che ha trasmesso con amore alla sua famiglia, coinvolgendo molte altre persone.

Grazie, amico mio ti porterò insieme ai tuoi cari, sempre nel cuore.

La trebbiatura era l’ultima fase della mietitura, lavoro che veniva eseguito da un gruppo di persone che tutte allineate e in sintonia

tra loro, con l’uso della falce “messoria”, tagliavano il frumento radunando le spighe in piccoli covoni.

Un particolare, che da quel faticoso e duro lavoro collettivo mi aveva colpito, era il fatto che le donne pur lavorando, tutto il giorno a schiena piegata a novanta gradi, i calli nelle mani, e il sole che cuoceva la testa, nonostante tutto, intonavano canti a squarciagola.

Chiesi a mia nonna Pépa, che mi rispose, con tono sicuro e deciso:

“Cantano per combattere la monotonia del lavoro, farsi coraggio a sopportare la fatica e a creare armonia e serenità fra loro”.

In quegli anni come naturalmente anni prima e anche dopo, il lavoro nei campi, sia in pianura che in collina o in montagna, veniva organizzato in gruppi ed a ognuno il proprio ruolo nelle varie mansioni.

Vi voglio fare un esempio: il taglio d’erba dei miei nonni sul Monte Faillo veniva fatto così.

Gli uomini con la “frina” falce a manico lungo tagliavano lunghi tratti di erba, le donne rastrellavano, i ragazzini (tra i quali per anni vi facevo parte anch’io) col forcato la giravano per farla essiccare per bene, poi veniva caricata sui carri e veniva accatastata nei fienili e se non c’era abbastanza posto venivano fatti grossi pagliai.

In quegli anni dove imperava la miseria in tutte le famiglie contadine, la mano d’opera, veniva prestata volentieri e con soddisfazione a mo’ di “baratto”, oggi io aiuto te e domani tu aiuterai me.

Con questo spirito sociale e tanta umiltà, quelle persone la sera, con le mani callose e sporche e il corpo sudato dal dignitoso lavoro con un sorriso salutavano dicendo:

“Alla prossima”

Pietro Guazzetti