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Sono solo canzonette? W San Remo e Namastè

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Francesco Gabbani

Si è concluso ieri sera il 67° Festival della canzone italiana, che ha visto una co-conduzione Rai e Mediaset insieme. Carlo Conti e Maria de Filippi sono entrati nelle nostre case per cinque sere consecutive su Rai 1, abbronzato e spigliato l'uno, impacciata e con la perenne caramella in bocca l'altra. E per cinque giorni giornali, programmi radiofonici e bacheche sui social si sono dedicati ai commenti, alle critiche feroci, pochissimi gli apprezzamenti. Conduzione soporifera, canzoni inutili, ospiti banali. E cosa c'entravano Vigili del Fuoco e testimoni di impegno sociale. Insomma il Festivalone serve a far scatenare gli animi, se dici che fa orrore sei radical chic e snob, se dici che ti piace sei populista e mediocre. C'è però un valore intrinseco nei testi delle canzoni e nei fenomeni di massa: testimoniano un andamento culturale, un ritratto, per chi vuole osservare. Che piaccia o no.

La canzone di Bianca Atzei, ad esempio, esalta il chiodo scaccia chiodo, e urla al nuovo amore che 'ora esisti solo tu', perpetuando un cliché di donna dipendente affettiva che vede solo 'il lui' di turno. Preoccupante, ma così è.

Per fortuna Paola Turci, raffinata e bellissima, invita (finalmente!) le donne a volersi bene 'Fatti bella per te, tu fatti del bene'. Chapeau!

E i tre finalisti.

La canzone di Ermal Meta è un atto di coraggio. Che non arriva immediato. Un bambino che difende la madre dalle botte del padre. Fiorella Mannoia porta un inno alla gratitudine per la vita. E Francesco Gabbani, il vincitore, ironizza con genialità e allegria su una moda che scimmiotta l'Oriente non avendone capito nulla. Gli italiani che hanno votato hanno scelto impegno e ironia. Con intelligenza. C'è un'altra moda in Italia: la critica fine a se stessa e lo snobismo finto intellettuale di chi a prescindere, senza cercare di capire, si sente superiore a San Remo ma ne parla lo stesso male. Una società passa nelle canzoni. Ben lo sanno i sociologi.
Namastè, alé