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“Quattro passi nel solco della storia”

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Si è svolto venerdì 27 alle 20,30, l'incontro “Quattro passi da giganti nel solco del passato”. E' avvenuto nei locali della mostra, al Centro convegni del Castello di Sarzano (Casina), con i professori Gaetano Forni, fondatore del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura e Luigi Mariani,  dell’Università di Milano, consulenti della mostra. Forni ha illustrato i meccanismi comportamentali e ambientali che resero possibile la scoperta dell’agricoltura. Ha trattato inoltre dell’evoluzione dell’aratro, attrezzo che portò al surplus alimentare e alla stratificazione sociale e con il quale vennero anche fondate le prime città. Mariani ha parlato delle colture che hanno sfamato l’Europa in tempi difficili, provenienti da altri continenti, e della Rivoluzione verde degli anni Sessanta, che smentì le previsioni catastrofiche di Thomas Malthus sull’incremento demografico e le capacità di risposta dell’agricoltura. Mariani ha fatto anche la storia della vite, con l’ultima recente scoperta sulla sua prima domesticazione: non in Grecia, come si era pensato , ma in Georgia.

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di Franco Capone

I Sumeri, il primo popolo della storia a utilizzare la scrittura, in questi giorni segnano la loro presenza al Castello di Sarzano di Casina, con tre tavolette di argilla, reperti originali di 4.200 anni fa. Provengono dall’antica città di Umma (Iraq), che era sotto la dinastia di Uruk, e sono lo scoop della mostra Origine ed evoluzione dell’agricoltura, aperta fino al 5 novembre, a ricordare quanto l’agricoltura, attività che oggi in molti casi si dà per scontata, sia stata fondante per la civiltà e il pensiero dell’uomo. Le tre tavolette, messe a disposizione da Michail Ancient Art di Milano, dimostrano come la stessa scrittura sia stata una invenzione legata all’attività agricola. All’inizio serviva infatti a inventariare i prodotti e a descrivere le tecniche di coltivazione. Le tavolette esposte, con traduzione a lato, dal sumero cuneiforme all’italiano, riguardano la situazione del bestiame (sesso, età, vacche da latte, bovini da carne, nomi dei bovari), forniscono istruzioni su come coltivare i campi e sugli stipendi dei dipendenti del tempio della dea Inanna. In questo ultimo caso si tratta di un “libro paga” in cui i dipendenti, anche cantanti, percepivano alimenti orzo convertibili, secondo il sesso ( penalizzate le donne, tanto per cambiare) il tempo pieno o parziale.

Nella mostra si va dai reperti risalenti alla preistoria, come le prime macine e i falcetti di selce, agli attrezzi dei nostri nonni, che si scopre essere quelli che inventarono gli Etruschi e diffusero i Romani:-zappe, forconi, falci messorie e fienaie, pennati, forbici per tosare le pecore e così via, evidentemente avevano raggiunto forme non perfettibili già due mila anni fa . Con immagini, testi e reperti vari la mostra racconta una storia che appartiene a tutti, davvero fondante per la vita sociale. Con la scoperta dell’agricoltura, avvenuta circa 10 mila anni fa, l’uomo da cacciatore raccoglitore nomade, iniziò a risiedere in modo permanente in villaggi sempre più grandi, perché la maggiore disponibilità di cibo, prodotto coltivando, fece crescere le famiglie e tutta la popolazione. La terra era comunitaria e le decisioni nei villaggi venivano prese in assemblea, la prima forma di democrazia. Osservando che le piante coltivate rinascevano sempre uguali, si cominciò a pensare che anche l’uomo non morisse del tutto, quindi alla reincarnazione o all’esistenza di un aldilà. I defunti venivano posti nella terra in posizione fetale, analogamente al seme che riporta alla vita. Nei villaggi le persone diedero sempre più fiducia ai tecnici, esperti nelle irrigazioni e nel predisporre scorte alimentari. Furono questi tecnici, detti “regolatori”, a divenire i primi re. Con l’aratro, scoperto intorno a 6 mila anni fa, la produzione del cibo decuplicò. Molti poterono allora non andare più a lavorare nei campi dando origine alle classi dei commercianti, degli artigiani e anche dei sacerdoti. Fra le classi non contadine che si formarono grazie al cibo in più ( surplus alimentare) dovuto all’aratro e alle opere irrigue, ci fu anche quella dei soldati. Questi consentirono ai re il monopolio della forza fisica, quindi di imporre alla comunità le loro decisioni,  e l’opportunità di fare la guerra come opzione economica: conquistare territori agricoli di altre comunità significava ottenere più tributi. Le dee madri della fertilità lasciarono così il posto a divinità maschili del cielo e degli eserciti. Cresciuta l’importanza della forza fisica, si disse addio alla vecchia parità fra i sessi dei tempi del Neolitico

La sezione dedicata agli Egizi ricorda come, grazie al Nilo, l’Egitto offrisse un ambiente stabile che accoglieva immigrati provenienti dal Vicino Oriente, caratterizzandosi già 4mila anni fa, come una civiltà multietnica. Gli Etruschi sono invece descritti come gli inventori del nostro paesaggio, quell’alternanza di campi geometrici e di varie tonalità di colore, con viali alberati, cornici di siepi e canali irrigui. Gli etruschi avevano un dio, Tagete, che vigilava sui confini delle proprietà, a questo punto in mano a famiglie aristocratiche. Estesero le colture cerealicole, della vite e dell’ulivo, selezionarono molte razze di animali da allevamento. Grazie al loro monopolio sul ferro estratto all’isola d’Elba, introdussero questo metallo negli utensili agricoli, incrementando la produttività. Con i Romani l’agricoltura entrò in una logica di mercato a grandi distanze e  di brand. Per esempio, le loro anfore con il marchio del produttore di olio o vino. L’agricoltura dava lustro. Per Catone il Censore era l’attività più bella e onesta, che forgiava uomini forti e determinati. Persino un senatore, ai tempi della romanità, non era nessuno se non disponeva di una azienda agricola ben curata e produttiva.

Non potevano poi mancare nella mostra di Sarzano gli strumenti tradizionali dell’economia agricola montana: per la lavorazione delle castagne, la tessitura, di latte e formaggi. In bella vista è presente la Pergamena di Marola, il documento più antico, datato 1159, che attesta la produzione del parmigiano. Rintracciata da Gabriele Arlotti, la pergamena fu redatta nell’Abbazia di Marola: cita la produzione del parmigiano, detto “ formadio” , nella vicina località di Frombolara. 

Ampio spazio hanno anche gli oggetti che ricordano come in Africa la pratica agricola si mischi ancora oggi alle credenze magiche. Logica a cui non furono estranei i nostri avi di Reggio e Mantova con le “maledizioni”, oggetti di ferro di origine pagana a forma di serpente, di drago o di entità dei boschi, con valore apotropaico, che scacciavano cioè malocchio e sfortune varie. Fino alla metà del Novecento venivano ancora nascosti dai contadini sotto carri e birrocci per non venire sgridati dai preti.

Mostra aperta fino al 5 novembre (info e prenotazioni per le scuole: 335 6744818, [email protected]).