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In merito all’editoriale sul Caso Mortara

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Abbiamo ricevuto osservazioni e commenti sul nostro editoriale sul Caso Mortara. Riteniamo quindi utile, per una lettura critica della vicenda, riportare anche l'articolo sul tema de La Libertà n. 3 del 22/1/05, con l'autorizzazione della redazione, che offre un diverso punto di vista, lasciando ai lettori il compito di valutare la questione

Una pagina di storia strumentalizzata allora e oggi
CASO MORTARA: UN "PRETESTO POCO ONESTO" PER GIUSTIFICARE LA PRESA DI ROMA

Pio IX, papa antisemita e "contro gli ebrei"?
Fin dagli albori del suo pontificato, li ammise come "non più stranieri" alle elemosine
papali; li sottrasse all'umiliante corteo annuale che li portava in Campidoglio per un tributo di legge; fece abbattere le porte e le catene dei ghetti.
Le provvidenze a favore degli Ebrei furono tali e tante che la Comunità ebraica di Senigallia lo additò come "Stella e porto alle nuove e dolci speranze dei popoli".

"Kidnapping": con questo termine della cronaca nera, che già in sé contiene un pre-giudizio, si vuol presentare oggi il "caso Mortara", utilizzato come clava per addossare alla Chiesa l'antisemitismo presente, passato, e chissà, anche futuro. E per questo puntualmente - soprattutto ad uso delle scuole - riesumato nelle ricorrenze più solenni, come l'annuale "Giornata della memoria"; ricostruito sulla base di "tasselli mancanti" e di concettualizzioni postume, per collegarlo a una presunta "straordinaria attualità" che gli storici degni di tale nome hanno già demolito.
Certo non è facile, per chi - come l'inesperto studente - volesse fare una ricerca, districarsi nella valanga di pagine web diffuse sulla rete, l'una ripetiva dell'altra, a partire da quelle costruite ad arte dalla massoneria piemontese che si adoperò in ogni modo per farne, secondo l'espressione del celebre polemista Veuillot, "una palla di legno lanciata per far dello strepito e un pretesto poco onesto per accelerare lo svolgimento della questione romana". Questo, infatti, l'obiettivo primario, non certo la rivendicazione di un diritto di libertà di coscienza, che, semmai, avrebbe potuto venire da un pulpito ben diverso da quello che nel 1859, mentre montava il caso Mortara, ispirava e tollerava - per citarne uno solo - il caso Anviti di Parma.

Una ricostruzione del caso Mortara, doloroso e drammatico soprattutto per la sensibilità moderna, fu fatta, ripetutamente, dallo stesso protagonista, Edgardo Mortara, nato a Bologna nel 1851 e morto nel 1940. Questa, in sintesi, la successione degli eventi:
"A undici mesi di età, Edgardo si ammala tanto gravemente che il medico lo "licenzia". Una domestica cristiana 17enne, Anna Morisi, a fronte del bimbo ritenuto ormai in punto di morte, lo battezza, e non dice niente a nessuno, men che meno quando il bimbo, torna improvvisamente a star bene. Tutto sembra finito qui. Senonché, sei anni dopo, un altro fratellino di Edgardo si ammala allo stesso modo. Consigliata da un'amica a battezzarlo nascostamente, Anna rifiuta e, fidandosi dell'amica, le racconta il caso di Edgardo e il caso di coscienza che le è derivato dalla imprevista guarigione. Il caso, così, diventa pubblico.
"L'autorità pontificia, sotto cui era allora Bologna, ordina la separazione del bimbo dalla famiglia per garantirne - in quanto battezzato - l'educazione cristiana. Edgardo ha sette anni e dice di ricordare bene quel momento doloroso e di come Pio IX lo accoglie paternamente, affidandolo poi all'Istituto dei Neofiti a S. Maria dei Monti, diretto dalle Figlie del Sacro Cuore.
"Otto giorni dopo, il bimbo è raggiunto dai genitori, ai quali non è tenuto nascosto il luogo che accoglie il bimbo, essendo data loro piena facoltà vederlo e di trattenersi liberamente con lui. Curiosamente, però, il piccolo Edgardo, che è lì da appena una settimana, non vuole rientrare in famiglia: "È superfluo il dire - racconta - che adoperarono ogni mezzo per riavermi, carezze, lagrime, preghiere e promesse. Ad onta di tutto ciò io non mostrai mai la più lieve velleità di ritornare in famiglia; del che io stesso non so rendermi ragione, se non mirando alla forza soprannaturale della grazia".
"I rapporti proseguono con lettere alle quali, però, la famiglia non risponde, non ritenendole del tutto spontanee. Solo quando Edgardo ha 16 anni i genitori cominciano a rispondergli perché, spiega Edgardo, "ormai si lusingava[no] potere io corrispondere con loro senza controllo". Da sottolinerare che, proprio in questo periodo, le autorità pontificie intendevano rimandarlo a casa, ritenendolo ormai adulto e capace, quindi, di assumersi tutte le responsabilità della sua scelta religiosa; e che fu invece lui a chiedere di restare.
"Tre anni dopo (ma niente lo avrebbe impedito anche prima), il padre viene a trovarlo nella Roma appena occupata dalle truppe piemontesi. Racconta ancora Edgardo: "Affettuosissimo fu il primo incontro; si rinnovarono le visite a S. Pietro in Vinculis nei termini più espansivi e, al prender congedo … accettò volentieri dei ricordi e regali per i miei fratelli".
"Una delle prime preoccupazioni dei politici piemontesi al seguito delle truppe è quella di "liberare" il giovane Mortara per rinfocolare la polemica contro Pio IX. Ma Edgardo, che ha dato a suo padre, presente a Roma, "tutte le prove del più tenero filiale affetto", rifiuta di prestarsi al gioco, finendo sotto un persecutorio controllo della polizia piemontese. Da questo lo libera lo stesso generale Lamarmora, Luogotenente del Re in Roma che, chiestagli l'età, afferma: "Lei è libero, faccia quel che vuole" e lo prende sotto la sua protezione. Per evitare di essere strumentalizzato dai piemontesi, Edgardo, che già si è indirizzato alla vita religiosa, si rifugerà nell'abbazia di Novacella e poi in Francia.

Per una corretta comprensione, il caso andrebbe ricostruito nel suo contesto, ritrovando i "comuni sentire" del tempo per comprendere, alla loro luce, l'esatto significato di norme e consuetudini, soprattutto quella del ghetto che regolava i rapporti tra ebrei e cristiani. O la norma del diritto canonico che proibiva di battezzare i bimbi degli ebrei senza il consenso dei genitori, anche per non creare veri e propri casi di coscienza come avvenne col battesimo "illecito, ma valido" del piccolo Mortara. Ma anche un senso della onestà storica, in base alla quale i "tanti gendarmi per rapire il bimbo" ritornerebbero ad essere due; una famiglia che per anni lo cerca disperatamente è in realtà una famiglia (peraltro benestante) che può vederlo quando vuole e restare in relazione con lui. Una situazione nella quale anche il supponibile "plagio" ha condizioni difficili per instaurarsi stante i contatti con la famiglia, il mantenimento della propria identità, la conoscenza della propria storia e, a 16 anni, la piena libertà di decidere per la sua vita.
Infinite precisazioni andrebbero fatte, quanti sono i "tasselli mancanti" perché inventati per amplificare il caso. E allora troveremmo, ad esempio, un Pio IX che, ben lungi dall'essere contro gli ebrei, già dal 1847 faceva abbattere le porte dei ghetti e abolire i tributi giudicandoli "non più stranieri", suscitando la loro riconoscenza e il loro entusiasmo, tanto che gli ebrei di Senigallia lo definirono "Stella e porto alle nuove e dolci speranze dei popoli". Cose difficili a ricordarsi quando si vuole fare la storia a senso unico.