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Dal Kaiser al Trattato di Roma

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L’istituzione della Corte penale internazionale, con l’entrata in vigore dello Statuto di Roma il 1 luglio 2002, rappresenta una tappa decisiva nel consolidamento del diritto internazionale penale.
Tale ramo del diritto internazionale è costituito da un insieme di norme che hanno l’obiettivo di creare un meccanismo idoneo ad affidare alla giustizia i responsabili di gravi crimini, quali il genocidio, i crimini contro l’umanità ed i crimini di guerra e di porre fine all’impunità spesso goduta da parte di coloro che commettono tali crimini.
Il principio della responsabilità penale individuale si è progressivamente affermato nel corso del XX secolo, nell’ambito dell’ordinamento giuridico internazionale. Era regola generale dell’ordinamento internazionale che la responsabilità derivante dalla violazione di norme internazionali non ricadesse sull’individuo che aveva posto in essere tali violazioni, bensì sullo Stato nel quale egli operava. Tuttavia, all’inizio del XX secolo, comincia ad emergere il concetto di crimine internazionale dell’individuo, in particolare del crimine di guerra e l’esigenza di reagire non più a livello statale, ma a livello internazionale, colpendo gli individui responsabili di tali crimini.
Con la fine della prima guerra mondiale, le potenze vincitrici accusarono la Germania di essere responsabile moralmente dei danni subiti dai governi alleati ed incolparono il Kaiser Guglielmo II per le violazioni tedesche alle leggi di guerra. Nel Trattato di Versailles del 1919 furono incluse delle norme per l’incriminazione del Kaiser (non, però, per i crimini di guerra, ma per “supremo oltraggio all’etica internazionale e alla santità dei trattati”, art. 227). Tuttavia, tali previsioni rimasero senza seguito, essendosi il Kaiser rifugiato in Olanda ed avendo la Corte di Lipsia giudicato pochi ufficiali superiori. La vicenda dell’incriminazione del Kaiser, malgrado abbia sollevato e continui a sollevare ancora oggi notevoli perplessità, rappresenta l’inizio di una lunga evoluzione storica che ha portato all’adozione dello Statuto di Roma nel 1998.
In seguito alle stragi avvenute contro la popolazione armena nel 1915 sul territorio dell’Impero Ottomano, il Trattato di Sèvres del 1920, mai entrato in vigore, dispose il perseguimento degli ufficiali turchi responsabili delle stragi. Il successivo Trattato di Losanna del 1923 riconobbe l’amnistia generale concessa dalle autorità turche, pur riaffermando il principio di responsabilità individuale di coloro che avevano compiuto le stragi.
La creazione di una giurisdizione penale internazionale fu seriamente discussa nel periodo tra le due guerre, al tempo della Società delle Nazioni. Nel 1937, la seconda parte della Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo prevedeva l’istituzione di un organo internazionale avente giurisdizione sugli individui. Tuttavia, tale Convenzione non entrò mai in vigore perché ratificata esclusivamente dall’India.
Fu solo dopo la seconda guerra mondiale, con l’istituzione dei Tribunali di Norimberga e di Tokyo, rispettivamente nel 1945 e nel 1946, che venne sancito il principio per cui certi crimini efferati non dovevano più restare impuniti. L’aspetto rivoluzionario che i due Tribunali presentavano risiedeva, innanzitutto, nella determinazione della responsabilità penale individuale e successivamente, nell’ampliamento della categoria dei delicta juris gentium, che comprendeva non solo i crimini di guerra, ma anche i crimini contro l’umanità e i crimini contro la pace. Si è trattato dei due Tribunali più famosi e più contestati della storia del secolo scorso. Difatti, la categoria dei crimini contro l’umanità risultava totalmente nuova e si parlò per questo di un crimen sine lege. L’organo giudicante fu istituito post factum e costituito soltanto dalle Potenze vincitrici. Inoltre, la circostanza che si trattava di una giustizia dei vincitori comportava che ci si occupasse esclusivamente delle violazioni perpetrate dai cittadini degli Stati sconfitti.
Il 9 dicembre 1948, movendo dall’esperienza di quei processi, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottava una Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che, imponendo agli Stati di perseguire questo grave crimine, suggeriva la creazione di una giurisdizione internazionale per esso competente.
La persistente guerra fredda tra le due superpotenze paralizzò, di fatto, questi tentativi, rendendo vane le solenni dichiarazioni e l’impegno profuso. Fu soltanto nel 1989, su sollecitazione di un gruppo di Stati caraibici (in particolare, Trinidad e Tobago), che l’Assemblea generale chiedeva alla Commissione di diritto internazionale di esaminare la questione dell’istituzione di una Corte criminale internazionale.
Poco dopo, l’esasperarsi della guerra nella ex-Jugoslavia, con le terribili atrocità che la stavano segnando, portava il Consiglio di sicurezza ad istituire, mediante la risoluzione 827 del 25 maggio 1993, un apposito Tribunale internazionale ad hoc, per i crimini commessi su quei territori, dopo il 1 gennaio 1991. Di particolare interesse è la competenza ratione materiae del Tribunale. Vi rientrano, innanzitutto, le violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949, le violazioni alle leggi e alle consuetudini di guerra, il genocidio e i crimini contro l’umanità. Ad un anno e mezzo di distanza, il Consiglio di sicurezza approvava la risoluzione 1168 dell’8 novembre 1994 con la quale istituiva un analogo Tribunale sul Ruanda per giudicare sulle efferatezze commesse su quel territorio, caratterizzate da atti sistematici di genocidio.
La creazione dei due tribunali ad hoc ha sollevato diverse perplessità, in particolare per il fatto che essi fondano la loro esistenza su due risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza. Al fine di superare tali critiche e di fronte alla necessità di perseguire i responsabili di gravi crimini in Sierra Leone e in Cambogia, si è optato per l’istituzione di nuovi tribunali in base ad accordi internazionali tra le Nazioni Unite e gli Stati interessati. Tali organi giursidizionali, istituiti nel corso dei primi anni 2000, si distinguono dai due tribunali ad hoc degli anni ’90, non solo per la loro base giuridica, ma anche per la loro composizione mista, in quanto il tribunale si compone sia di giudici nazionali che di giudici internazionali.
Tuttavia, risulta doveroso fare un passo indietro nel tempo, dal momento che la fine degli anni ’90 è stata segnata dalla nascita della prima Corte penale internazionale, un organo giurisdizionale a carattere, questa volta, permanente.
L’Assemblea generale istituiva, nella metà degli anni ’90, un Comitato preparatorio con il compito di esaminare le principali questioni sollevate dal progetto di Statuto per una Corte penale internazionale, predisposto dalla Commissione di diritto internazionale nel 1994. Il Comitato preparatorio si è riunito sei volte, dal marzo 1996 all’aprile 1998.
La Conferenza per l’istituzione di una Corte penale internazionale si è svolta a Roma, dal 15 giugno al 17 luglio del 1998. Vi hanno partecipato i rappresentanti di 161 Stati e, in qualità di osservatori, 30 organizzazioni intergovernative e 137 organizzazioni non governative. Le cinque settimane di lavoro sono state difficili ed intense, ma si sono svolte in un clima di cooperazione e con l’obiettivo di concludere positivamente la Conferenza. Il merito va attribuito ad un gruppo di Stati, i cosiddetti like minded, che hanno fortemente sostenuto l’adozione dello Statuto riuscendo ad orientare alcuni blocchi regionali sulle proprie posizioni. Inoltre, il ruolo non trascurabile avuto dalle organizzazioni non governative e la direzione determinata ed efficace dei lavori della Conferenza hanno ugualmente contribuito a determinare l’esito positivo della Conferenza. Lo Statuto di Roma è stato adottato con 120 voti favorevoli, 7 contrari e 21 astenuti.
La Corte penale internazionale è un organismo giurisdizionale a carattere permanente, che ha lo scopo di svolgere delle inchieste e di perseguire gli individui imputati dei cosiddetti delicta juris gentium.
L’articolo 1 dello Statuto stabilisce il principio della complementarità tra la giurisdizione della Corte e quelle dei singoli Stati membri. Pertanto, la Corte penale internazionale non si sostituisce ai sistemi di giustizia penali interni, né limita la sovranità degli Stati.
La competenza ratione materiae, come disposto dall’articolo 5, ricomprende i più gravi crimini di portata internazionale: il genocidio, i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il crimine d’aggressione. I primi tre crimini (core crimes) sono definiti rispettivamente dagli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto che codificano ampiamente il diritto internazionale consuetudinario in materia. La definizione del crimine d’aggressione è stata invece rinviata ad un momento successivo all’entrata in vigore dello Statuto, a dimostrazione delle evidenti difficoltà di configurare tale atto statale come crimine dell’individuo che lo ha determinato.
L’art. 12 prevede che alla ratifica dello Statuto consegua l’accettazione automatica della giurisdizione della Corte nei confronti dei core crimes. Tuttavia, se la giurisdizione della Corte è automatica, essa non è universale. Perché la Corte possa esercitare il suo potere giurisdizionale, il crimine deve essere stato commesso dal cittadino o sul territorio di uno Stato che ha ratificato lo Statuto. Ciò comporta che il cittadino di uno Stato terzo, responsabile di un crimine perpetrato sul territorio di uno Stato parte dello Statuto di Roma, possa essere perseguito dalla Corte, anche se lo Stato terzo non ha accettato la giurisdizione della Corte tramite apposita dichiarazione.
I meccanismi di attivazione della Corte sono essenzialmente di tre tipi: la segnalazione da parte di uno Stato membro, da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la decisione del Procuratore di avviare le indagini d’ufficio (motu proprio). Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite può, con una risoluzione adottata ai sensi del capitolo VII dello Statuto dell’ONU, sospendere le indagini o l’esercizio dell’azione penale per un periodo di dodici mesi (art. 16).
Per quel che attiene alla materia delle immunità di diritto internazionale, le norme dello Statuto si applicano, senza alcuna distinzione basata sulla posizione ufficiale dei singoli, anche ai Capi di Stato o di Governo, senza alcuna discriminazione di sorta.
Infine, lo Statuto contiene diverse disposizioni relative ai diritti e alle garanzie fondamentali volte ad assicurare lo svolgimento di un giusto processo. Questi diritti sono previsti nelle disposizioni relative all’inchiesta, al processo, all’appello e alla responsabilità penale. Le pene applicabili dalla Corte sono la reclusione per un periodo non superiore a trenta anni e l’ergastolo, se giustificato dall’estrema gravità del crimine. La pena di morte è esclusa.
Risulta evidente che un processo corretto, svoltosi nel rispetto della difesa e delle vittime, che conduca ad una sentenza equa, necessita della cooperazione tra la Corte e gli Stati. Soltanto con essa, infatti, è possibile l’assunzione dei mezzi di prova, la cattura e la consegna dell’accusato. Pertanto, l’art. 86 dispone l’obbligo generale a carico degli Stati membri di cooperare pienamente con la Corte, nelle sue investigazioni e nel perseguimento dei crimini.
I primi mesi di vita della Corte penale internazionale sono stati agevolati dalla conclusione dei quattro anni di lavoro della Commissione preparatoria, istituita nel 1998 alla fine della Conferenza di Roma, con lo scopo di elaborare una serie di proposte per la concreta istituzione e il buon funzionamento della Corte. La Commissione preparatoria ha avuto il compito di approvare una serie di testi di particolare importanza, tra i quali figurano le Regole di procedura e di prova, gli Elementi dei crimini, l’accordo che disciplina i rapporti tra la Corte e le Nazioni Unite e i regolamenti finanziari. Inoltre, è stata invitata a formulare delle proposte per una disposizione relativa al crimine d’aggressione.
La Commissione ha concluso i suoi lavori il 12 luglio 2002, pochi giorni dopo l’entrata in vigore dello Statuto della Corte. L’insieme dei testi e delle risoluzioni approvati dalla Commissione è stato riunito in un rapporto inviato alla prima riunione dell’Assemblea degli Stati parte, tenutasi dal 3 al 10 settembre 2002. In tale occasione, l’insieme di questi testi, con l’unica eccezione del procedimento per l’elezione dei giudici, è stato definitivamente adottato dall’Assemblea degli Stati parte, organo assembleare della Corte.
I lavori della Commissione si sono inseriti in un contesto internazionale del tutto particolare. Oltre agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 che hanno colpito la città di New York, la politica di forte opposizione degli Stati Uniti d’America nei confronti della Corte penale internazionale ha avuto delle ripercussioni sui lavori della Commissione. Come unico organo istituito dalla Conferenza di Roma per lavorare prima dell’entrata in vigore dello Statuto della Corte, essa ha risentito di ciò che avveniva a livello diplomatico e ha, di conseguenza, sentito l’esigenza di presentare le proprie posizioni. La conclusione con successo dei suoi lavori, l’entrata in vigore dello Statuto di Roma, dimostrano, però, che i primi tentativi di indebolire la Corte non hanno raggiunto i loro obiettivi .
La creazione della Corte penale internazionale rappresenta uno strumento di cui la comunità internazionale si è dotata per adempiere al dovere morale di rispetto verso la vita umana troppo spesso violato da crimini come il genocidio, i crimini contro l’umanità o i crimini di guerra. Oltre alla sua funzione giurisdizionale, è possibile che la Corte assuma anche una funzione deterrente nei confronti dei possibili autori dei crimini di sua competenza. Non resta altro che aspettare e vedere come essa funzionerà nei prossimi anni, auspicando che gli sforzi messi in atto per la sua istituzione e il suo concreto funzionamento siano serviti alla creazione di una Corte solida, efficiente ed imparziale, uniche caratteristiche che potranno consolidare in futuro tale organismo giurisdizionale.
La recente risoluzione 1593, adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 31 marzo 2005, richiede l’avvio di un’inchiesta da parte del Procuratore della Corte sui crimini commessi nella regione del Darfur, in Sudan, sin dal 1 luglio 2002. Essa rappresenta un importante banco di prova in cui la Corte è chiamata dimostrare, nei prossimi mesi, la sua rilevanza e la sua concreta utilità per la Comunità internazionale.

Per una completa visione dei lavori della Commissione preparatoria della Corte penale internazionale, si veda la tesi di laurea dal titolo: La Commissione preparatoria della Corte penale internazionale (Autore: Daniele Panfilo; Relatore: Prof. Sergio Marchisio), pubblicata sul sito web di tesionline.