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La Montagna e le Dipendenze dalle parole del Nostro SerT

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Con questa pioggia nei capelli perché lo fai / con questi occhi un po’ fanciulli e un po’ marinai / per una dose di veleno che poi / dentro di te non basta mai. / Con le tue mani da violino, perché lo fai / tu che sei rosa di giardino dentro di me / come un gattino sopra un tetto di guai / dimmi perché, perché lo fai”.
“Perché lo fai?” si chiedeva Marco Masini sul palco di Sanremo. Perché ti droghi? Perché ti ubriachi? Perché fumi? Sarebbe bello poter arrivare a risposte complete, ma siamo ben consapevoli di quanto tutto ciò sia utopico, vista la complessità degli argomenti in questione e la diversità delle storie di vita coinvolte. Possiamo però riflettere su questi fenomeni, magari chiacchierando con chi per mestiere ogni giorno deve affrontarli. E’ il caso di Paolo Ruffini, operatore presso il SerT di Castelnovo Monti.

Partiamo dai numeri: quanti sono gli utenti attualmente in trattamento?
“In questo momento stiamo seguendo 80 persone con problemi di sostanze e 90 con problemi di alcol. Il primo dato da sottolineare è quindi la prevalenza di pazienti con problematiche legate all’alcol”.

Quali caratteristiche hanno questi pazienti?
“Per quanto riguarda i pazienti con problemi di alcolismo, per l’80% sono uomini, ma, soprattutto nel 2005, abbiamo registrato un aumento significativo del numero delle donne. La fascia d’età prevalente va dai 50 ai 59 anni, con punte oltre i 60. Segnalo anche alcuni giovani tra i 25 e i 30 anni. La maggior parte ha una propria occupazione, e molto spesso famiglia e figli. Purtroppo, è forte il rischio che anche questi ultimi vengano in qualche modo coinvolti nei problemi del genitore. La bevanda più consumata è di gran lunga il vino, seguito da birra e superalcolici. Anche tra coloro che si rivolgono a noi in seguito a problemi con le droghe, l’80% è costituito da maschi, ma in questo caso l’età si abbassa, collocandosi tra i 25 e i 39 anni, con prevalenza dai 35 ai 39. La scolarità di queste persone è nella media, e l’80% di loro lavora, prevalentemente nella metalmeccanica, nelle ceramiche e nell’edilizia. La disoccupazione riguarda i tossicodipendenti cronici, di età elevata, per i quali sono necessari progetti di lavori protetti, coordinati insieme ai Comuni. Per queste persone il tema delicato non è solo il lavoro, ma è anche il tempo libero e la gestione di genitori anziani, quindi altrettanto bisognosi di cure”.

Qual è la droga più consumata?
“La sostanza principale è l’eroina, ma, da circa quattro anni, abbiamo registrato un aumento esponenziale del consumo di cocaina come sostanza primaria o secondaria. Una ulteriore conferma di questa tendenza ci è fornita dai dati sui sequestri di stupefacenti da parte delle forze dell’ordine, che vedono aumentare del 40% le quantità di cocaina e diminuire leggermente quelle di eroina. Considerando anche che soltanto una piccola percentuale dei cocainomani giovani arrivano ai servizi, possiamo benissimo parlare di epidemia di cocainismo”.

Possiamo quindi affermare che anche nella nostra montagna è in atto il trend prevalente in tutta Europa, quello del consumo di cocaina. Secondo i dati in nostro possesso, tra il 1999 e il 2002 il consumo di cocaina nel continente è aumentato dell’80%.
“Certamente. Noi abbiamo la percezione che il consumo, se non l’abuso, di cocaina, ma anche di hashish e marijuana, sono in costante crescita tra i giovani anche nella nostra montagna. Ciò che preoccupa è la mancanza di percezione del rischio: i ragazzi non considerano queste sostanze droghe, nemmeno la cocaina, perché ritengono non diano dipendenza. Sono convinti che si può smettere in qualsiasi momento e, pur conoscendo i rischi, ne ritengono approvabile l’uso. Di fatto, le richieste di aiuto ci arrivano dopo un qualche ‘incidente’: un ricovero in pronto soccorso, magari mascherato, oppure un improvviso crollo dell’economia domestica”.

E’ dunque sbagliata la percezione che i ragazzi hanno di queste sostanze. In aggiunta a ciò, esistono fattori che potremmo definire “logistici” che favoriscono il consumo? Ad esempio: è difficile al giorno d’oggi procurarsi la droga? Il prezzo è sostenibile anche da persone con pochi soldi nelle tasche?
“L’epidemia di cocaina fa i conti con una facilitazione e un allargamento del mercato: i ragazzi trovano cocaina a basso costo, a 20-30 euro la pallina. Il mercato è estremamente mobile: non ci sono luoghi precisi dove procurarsi la droga, ma esiste un micro-spaccio abbastanza diffuso. Ad esempio, se un cocainomane frequenta un bar e periodicamente si reca in città, a Modena o Reggio, per acquistare cocaina, altri ragazzi possono rivolgersi a lui per avere le loro dosi. La cocaina è trasversale: discoteca, rave, gruppo in casa”.

Discoteche, ritrovi tra amici: la cocaina ne esce come una sostanza da consumare in compagnia.
“Inizialmente, l’uso è spesso ludico, legato alla compagnia; poi, quando comincia a emergere una dipendenza vera e propria, tutto si capovolge e il cocainomane precipita verso la solitudine”.

L’utilizzo “ludico” dei ragazzi che vogliono trasgredire, il bisogno di chi ne è dipendente. E poi?
“Altra caratteristica della cocaina è quella di favorire le prestazioni. Che sia una sostanza prestazionale ne abbiamo avuto conferma in alcuni casi in cui abbiamo accolto coppie che assumevano cocaina per migliorare le prestazioni sessuali, arrivando a spendere anche 500 euro a settimana. Per loro, la cocaina non era una droga, ma un farmaco. Come vedete, abbiamo modelli di consumo molto diversi, dai diciassettenni alle coppie”.

Come testimoniano le età dei pazienti eroinomani, verrebbe da associare l’eroina ai giovani di alcune generazioni fa, mentre, nonostante le sue origini antiche, definiremmo la cocaina come la droga del Duemila.
“La cocaina ha successo perché si colloca in un contesto culturale in cui la prestazione e il raggiungimento del successo costituiscono i valori più importanti: al lavoro, in famiglia, nello sport. Anche a scuola e all’università, se pensiamo ai ragazzi che ne fanno uso mentre preparano gli esami. L’eroina, la siringa in vena, sono per i ragazzi di oggi comportamenti pericolosi, da evitare, mentre cocaina, marijuana e alcol non sono considerati droghe: è il modello culturale che è cambiato. Negli anni Sessanta e Settanta, l’iniettarsi eroina era un modo per definirsi diversi rispetto alla morale corrente: la usavano i cantanti, gli hippies, i rivoluzionari. In quegli anni il modello era la protesta, oggi è il divertimento estremo: ogni modello culturale ha la sua droga”.

Ci piace sottolineare questa ultima frase: ogni modello culturale ha la sua droga.
“Il modello di consumo del giovane che oggi prende cocaina rientra nel suo stile di vita, è legato al divertimento, al tempo libero, al desiderio di provare emozioni forti, non si prefigura come un abuso. Per questo sostengo sia molto difficile fare della prevenzione limitandosi all’aspetto sanitario: mi sembra una strategia debole. La prevenzione è complicata, non possiamo limitarci a stigmatizzare l’uso di droghe, ma occorre un lavoro trasversale che coinvolga varie agenzie: famiglia, scuola, testimonial, unità di strada. Dobbiamo entrare in relazione coi ragazzi, coi loro stili di vita, per aiutarli a comportarsi in modo critico”.

Tutto ciò può valere anche per affrontare le problematiche legate all’abuso di alcol?
“A maggior ragione ciò vale anche per l’alcol, che nella nostra cultura e realtà, soprattutto nei fine settimana, rimane un’esperienza molto frequente, che i ragazzi fanno in età molto precoce. Non è tanto il moralismo quello che serve, ma piuttosto un lavoro coordinato tra le varie agenzie, affinché i ragazzi siano messi nella condizione non tanto di avere informazioni - di queste ne hanno a iosa - quanto di confrontarsi sul concetto di rischio in relazione alle esperienze che fanno. A questo proposito, mi sembra giusto citare una campagna organizzata nelle scuole, con lo slogan ‘se bevo non guido, se guido non bevo’, che ha avuto un certo successo. Si è articolata attraverso incontri nelle scuole, pubblicazioni, volantini, e devo dire che una certa consapevolezza si è creata. Il nostro compito è promuovere una forma di educazione permanente, un’educazione alla vita, alla salute, al benessere”.

Certo, è risaputo come l’alcol fosse stato anche in passato un alimento ben presente sulle tavole delle nostre famiglie contadine, e come ogni paese avesse avuto la sua osteria.
“Eppure spesso i genitori dei ragazzi d’oggi sono astemi, la familiarità domestica col bere non è una cosa frequentissima. Voglio anche aggiungere che oggi in montagna abbiamo baristi giovani che sono sensibili ai temi dell’abuso alcolico e cercano di prestare attenzione al fatto di non dare da bere a chi ha meno di sedici anni, come la legge prevede. Ma è difficile stabilire l’età a prima vista, così come non è un problema per i ragazzini procurarsi da bere altrove”.

I vostri utenti più “maturi” sono soprattutto consumatori di vino: possiamo dire la stessa cosa riferendoci ai giovanissimi che al sabato sera affollano bar e pub?
“No, loro bevono soprattutto birra, cocktail e bevande fruttate studiate dal mercato anche per i gusti delle ragazze, basti pensare alle diverse qualità di vodke aromatizzate. Questi ragazzini enfatizzano il ‘prendere la balla’, il divertirsi ubriacandosi, l’uscire la sera e sbronzarsi come rito per entrare nell’età adulta”.

L’ubriacarsi al sabato sera come rito di passaggio e di iniziazione. Certo, non mancherebbero riscontri nell’antropologia, nella storia e nella psicologia sociale.
“Questo rito è spesso legato alla prima pizza collettiva durante le scuole medie, alla prima sera in cui puoi rincasare dopo le undici: e lì bisogna ubriacarsi. E’ un po’ come la prima sigaretta per le generazioni precedenti. Il ‘mito della balla’ continua, perché il sabato sera è un modello diffuso”.

Ci viene in mente un nuovo mito in cui è facile imbattersi in città: “il mito dell’aperitivo”. Crede sia diffuso anche in montagna?
“Sì, ultimamente l’aperitivo si è diffuso anche qua, coinvolgendo soprattutto lavoratori e universitari. Per me è un modello di socialità che ha un senso: ritengo piacevole il fatto di trovarsi tutti assieme in strada, dopo una giornata di studio o lavoro. Tuttavia, è anche questa una modalità per incentivare il consumo, pericolosa per le persone con problemi di dipendenza”.

Ha citato la strada. Crediamo non sia un elemento da sottovalutare. Nelle città e nei paesi del Sud Italia, il lungomare, la spiaggia, le piazze, le strade, i muretti sono ancora ambienti di socializzazione, in cui i ragazzi possono incontrarsi e spendere il loro tempo insieme, senza il bisogno di rinchiudersi nei bar. Allo stesso modo, in Spagna è costume trovarsi tutti insieme nei parchi e fare serata lì. Da noi, invece, notiamo come stiano sempre più scomparendo queste forme di aggregazione spontanea...
“La carenza di luoghi di aggregazione può portare a scegliere il bar. Io credo non sia pienamente vero. Il problema è che i ragazzi rifiutano i luoghi che le istituzioni costruiscono per loro, non amano essere etichettati. Inoltre, i ragazzi d’oggi sembrano sempre meno protagonisti delle proprie scelte: vorrebbero tutto pronto, e subito. Non tollerano l’attesa, ma allo stesso tempo sono sempre meno pratici, pragmatici. Non è facile trovare realtà e luoghi che possano aggregare i giovani, puntando sui loro interessi. Il tema delicato è fidarsi dei giovani e affidare loro progetti ed esperienze”.

Crede possa esserci corrispondenza tra questi elementi e il consumo eccessivo di alcol?
“Sicuramente. Il consumo di alcol testimonia la nostra difficoltà ad avere socialità diffusa, e tutto ciò vale anche per gli adulti: o hai dei luoghi ad hoc, in cui ti rechi per fare una certa cosa, altrimenti non vivi la strada e la piazza”.

E il bar è il luogo per bere. Al sabato sera, per “prendere la balla”. Vi è però un ulteriore modo per danneggiare la propria salute, non collocabile in un ambiente definito: fumare sigarette.
“Anche se mancano dati precisi, la percentuale di fumatori in montagna rispecchia grosso modo i valori nazionali”.

Quindi, sarebbero il 29,3% degli uomini e il 22,1% delle donne.
“Anche da noi sono recentemente partiti gruppi di auto-aiuto che stanno avendo un certo successo. In collaborazione con l’ospedale, il SerT ha coordinato un corso anti-fumo per chi voleva smettere, in cui sono state date informazioni mediche, psicologiche e sociali e, a distanza di sei mesi, l’85% dei partecipanti ha effettivamente smesso. Sono però preoccupato per una tendenza presente anche da noi”.

Proviamo a indovinare: sono in aumento le ragazze fumatrici?
“Sì. Nonostante i recenti divieti di fumo negli ambienti pubblici, certamente sacrosanti, tra le ragazze persiste la tendenza a mettere in atto comportamenti che in qualche modo le avvicinano al mondo tradizionalmente maschile”.

Il boccale di birra e la sigaretta.
“Si tratta di comportamenti sostenuti da modelli culturali di facile presa, ma che portano a un maschilismo finto, ben lontano dalla direzione delle pari opportunità”.

Un maschilismo fittizio, indubbiamente, magari condito dal mito del successo a ogni costo. Così si chiude questo circolo “intossicato”. Alla luce di tutto quello che ci siamo raccontati, ha voglia di lanciare un ultimo messaggio?
“Ritengo fondamentale la questione di come aiutare le famiglie nei momenti in cui gli adolescenti entrano in contatto con le prime esperienze di droga, alcol e fumo. In questo senso, siamo ancora carenti, e credo sia necessaria l’istituzione di alcuni centri di ascolto per famiglie sul nostro territorio”.

di Federico Zannoni

Il SerT di Castelnovo ne Monti

Alle dipendenze dell’Azienda sanitaria locale, il SerT è inserito nella rete dei servizi che si occupano di dipendenze legali (alcol e tabacco) e illegali (eroina, cocaina e altre droghe), in un sistema coordinato che coinvolge pubblico e privato.
Sono attualmente presenti in Italia 557 SerT. L’unità operativa di Castelnovo Monti è diretta dal dottor Benedetto Valdesalici e copre dieci comuni della montagna, col relativo bacino di utenza di 34.000 abitanti; vi lavorano quattro operatori (un neuropsichiatra, due educatori professionali, un assistente sociale e un infermiere professionale), cui presto si aggiungerà anche un medico internista.
In collaborazione con il Ceis di Reggio Emilia, il SerT di Castelnovo Monti gestisce il funzionamento della casa di disintossicazione di Carpineti, realtà unica in Italia. Dalla sua apertura, sei anni fa, vi sono transitate più di 500 persone provenienti da tutta Italia, con una percentuale di successo pari all’80%.
Per qualunque esigenza o approfondimento, il SerT di Castelnovo ne Monti è reperibile al numero telefonico 0522/617177

articolo a Gentile concessione di TuttoMontagna