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Teatro Bismantova, l’omaggio a Schubert

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"Se la fecondità è una caratteristica principale del genio, Franz Schubert appartiene ai genî più grandi. Non oltrepassò di molto i trent'anni, ma scrisse tanto da far stupire [...] Dove toccava sprizzava fuori della musica". (Robert Schumann -1838).

Attivo nei primi decenni dell'Ottocento a Vienna, capitale dell’impero degli Asburgo, uno dei centri culturali più fervidi d’Europa e culla del classicismo musicale, Schubert si dedicò alla composizione per circa quindici anni: molto preciso e rigoroso, componeva dalle sei del mattino all'una, per sette ore al giorno. Per dedicarsi alla musica si dimenticava qualsiasi altra attività, anche di lavarsi, vestirsi e mangiare.

E così in circa trentamila ore di lavoro produce un opus per ampiezza paragonabile a quello di Beethoven, dedicandosi ai più vari generi musicali dell'epoca ed emergendo in particolare nel lied con una produzione di circa 600 pezzi. Riservato e schivo, rifuggiva la vita culturale ufficiale, ebbe solo sporadici contatti con la società aristocratica viennese e fu apprezzato entro ristrette cerchie di amici solo negli ultimi mesi della sua breve vita, che si concluse a trentun anni nel 1828.

Il periodo più prolifico della sua attività si concentra negli anni 1815 e 1816 in cui nacquero 4 sinfonie, le sonatine per violino e pianoforte, musica sacra, opere per il teatro, 250 lieder e il trio per archi D 471 in si bem. magg. Si tratta di un pezzo in un unico movimento (si conoscono solo abbozzi incompleti del secondo tempo) per violino, violoncello e pianoforte, una formazione di stampo classico che ha destato l'interesse di Schubert soprattutto negli anni della maturità con i due grandi trii op. 99 e 100 composti nel 1827.

L'allegro D 471 è invece un lavoro di Schubert diciannovenne, in cui però sono già individuabili, oltre ai rimandi allo stile classico, i tratti della sua personalità e della sua sensibilità armonica. La musica da camera è sempre stata al centro degli interessi del compositore che la pratica ampiamente in tutto il suo arco produttivo. Tra i più consueti organici del trio, quartetto, quintetto si colloca una composizione del tutto particolare, l'ottetto in Fa magg. op. 166 per clarinetto, fagotto, corno, due violini, viola, violoncello, contrabbasso.

Risale al 1824, anno in cui si riaccese in Schubert il meglio della sua vena creativa ma al tempo stesso momento di crisi profonda, espressa ancor più chiaramente in una lettera scritta nel marzo ad un amico: "Mi sento l'essere più infelice e più miserabile del mondo. Immagina un uomo la cui salute non si ristabilirà mai più e che, disperato, commette un errore dopo l'altro. [...] Ogni notte quando mi addormento non vorrei più svegliarmi...".

Tanta amarezza, tanto dolore profondo hanno espressione in una musica dai molteplici risvolti, ben evidenti nei sei articolati tempi dell'ottetto, che trovano il loro fulcro nell'andante centrale, basato sulla grazia di un tema tratto dal singspiel Die Freunde von Salamanka (1815) e dalla abilità delle successive variazioni. Il pezzo, tra i più celebri e apprezzati nella produzione di Schubert, fu commissionato dal conte Ferdinand Troyer, clarinettista dilettante, intendente dell'arciduca Rodolfo con lo scopo, seppur non palese, di realizzare un'opera con la fragranza tematica ed il gusto classico del popolarissimo settimino di Beethoven, per i viennesi simbolo della perfezione e della purezza di stile.

In effetti la vicinanza con l'opera beethoveniana emerge nel piano tonale pressocchè identico, nella successione analoga di sei movimenti legati tra loro da un elemento tematico comune (la cellula con ritmo puntato dell'introduzione) e nella strumentazione in cui l'unica leggera modifica è il raddoppio del violino. Ma se in parte Schubert riprende una struttura vicina al divertimento di stile settecentesco, con un elevato numero di tempi disposti nel solco della suite "campestre" fra allusioni militari, minuetti e rondò, d'altro lato i caratteri della serenata, dei notturni e delle cassazioni all'aria aperta si innestano sul terreno imborghesito e "cittadino" della musica da camera e della più alta tradizione sinfonica.

Nello spiccato ruolo solistico affidato al clarinetto si coglie in modo evidente il senso di appartenenza profonda allo spirito dialogante del repertorio da camera, mentre alcuni momenti come l'apertura dell'ultimo movimento (Andante molto), con i tremoli degli archi e i passaggi improvvisi dal fortissimo al pianissimo prefigurano un'atmosfera carica di tensione sinfonica, tracciando quasi uno studio preparatorio alla più vasta dimensione orchestrale. L'ottetto non è quindi ricalco di uno stile, né parodia di una forma ormai desueta, ma risulta una delle opere più riuscite di Schubert, un capolavoro assoluto, nel quale coabitano stili, e sentimenti diversi e talvolta contrastanti: i malinconici abbandoni e la sofferenza interiore si alternano al semplice gusto popolare pervaso da atmosfere festive e confidenziali e ben rispecchiano l'animo del compositore, così descritto dall'amico Bauernfeld: "Schubert era in qualche modo una natura doppia che alla gaiezza viennese associava un sospetto di malinconia nobile e profonda; nel suo intimo era un poeta, all'esterno un ragazzo di compagnia".

(*) L'autrice è insegnante di storia della musica all'Istituto musicale pareggiato "C. Merulo" di Castelnovo ne' Monti