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Intervista a Maria Rosa Jijon, sguardo d’artista sui nuovi italiani

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Maria Rosa Jijon nasce nel 1968 a Quito, in Ecuador. Ben presto sceglie di dedicare la sua vita all’arte, formandosi anche a livello accademico prima nel suo Paese, poi a Cuba e a Stoccolma. Le sue opere, inizialmente incisioni, poi fotografie digitali e, più recentemente, video, sono state esposte nelle gallerie delle più importanti metropoli del Vecchio e del Nuovo Continente: Roma, Lima, L’Havana, Cuenca, Houston, Buenos Aires, Cuzco, New York, Bucarest, Stoccolma, Madrid, Palermo, Asuncion, solo per citarne alcune.
Ora vive e lavora a Roma: già a partire da queste brevi note di curriculum, mi sembra palese la sua dimensione di apertura al mondo e al movimento, nella professione come nella vita. Artista di mondo, la sua valigia è sempre aperta all’impegno sociale, che siano i diritti delle donne, quelli dei migranti o altri ancora.

Lei che di seconda generazione non può essere considerata, da qualche mese a questa parte ha messo in atto una interessante collaborazione coi ragazzi della rete G2, i giovani figli di immigrati, nati qua o altrove, che qui in Italia pensano il loro futuro, e che per questo combattono per il riconoscimento dei giusti diritti e delle loro particolari identità. Nato a Roma, presso la stazione Termini, il movimento G2 si è progressivamente diffuso anche in altre città, trovando nella rete Internet un importante mezzo di comunicazione, pur non rinunciando a periodici incontri e interessanti iniziative. Proprio in questi momenti Maria Rosa Jijon mette al servizio il proprio talento di videoartista, realizzando cortometraggi che collocano al centro questi ragazzi, col loro carico di pensieri, preoccupazioni, sentimenti, recriminazioni, vita. Particolare successo ha ottenuto il cortometraggio “G2”, vincitore del “Premio Mostafà Souhir per la multiculturalità nei media” come miglior video.

Ormai saturo delle banalità, dei pregiudizi e dei luoghi comuni che pullulano nell’aria come polline d’aprile, ho finalmente trovato in Maria Rosa Jijon la giusta interlocutrice per poter parlare in modo obiettivo e sincero, con la profondità e la chiarezza che solo gli artisti sanno conferire alle cose, di quanto sia rivoluzionario e stimolante condividere coi ragazzi dalle radici lontane questo nostro piccolo Paese agonizzante, più che mai bisognoso di linfa nuova.
Il tutto, a partire dalla sua esperienza.

Cominciamo dall’inizio del suo sodalizio. Come ha incontrato i ragazzi della rete G2?
Conoscevo Paula Baudet ivano per altre attività che svolgiamo insieme con donne migranti a Roma. Mi aveva invitato ad una riunione dei G2 a Termini. Ho partecipato ad alcune riunioni e poi ho proposto ai G2 di Roma di iniziare a filmare i loro incontri, per vedere cosa veniva fuori, senza alcun proposito specifico.

A Ferrara, durante un convegno, ha detto che non chiamerebbe “immigrati” i ragazzi di seconda generazione, ma “figli di migranti”, e che in loro il disagio di identità sarebbe più forte: potrebbe approfondire questa opinione?
Le seconde generazioni non amano definirsi immigrati, perché non sono loro che hanno intrapreso un progetto migratorio, non erano loro in prima persona quelli che avevano deciso o si videro obbligati a lasciare i loro paesi di origine per cercare lavoro o tranquillità. I figli degli immigrati, come preferiscono essere chiamati, furono portati in questo paese o sono nati qui, molti di loro non si sono mai mossi dall’Italia e non conoscono il paese di origine dei loro genitori, ma non rinunciano alla parola immigrato, (figli di immigrati) perché quella è la loro origine, ed è un tributo al sacrificio ed agli sforzi dei loro genitori.
L’identità è una cosa che si costruisce progressivamente, che ci identifica con un luogo, con una cultura, con un modo di essere, con una lingua, una storia o la fusione di varie culture. Le Seconde Generazioni sono portatrici di almeno due culture. In un paese nazionalista come l’Italia, in un continente vecchio come l’Europa, far confluire queste culture non è sempre facile e, quando sei piccolo e ti confronti con la discriminazione, il razzismo e i luoghi comuni, la tua identità mista potrebbe trasformarsi in un problema.
Quando invece si emigra a una età adulta, i processi di affermazione personale e culturale sono maturi, e ci si difende conoscendo bene i limiti e le proprie capacità, cosa diversa per un bambino o un adolescente. In questo caso esiste già una questione di affermazione della propria identità individuale, connaturata alla fase di crescita, immaginiamoci poi se a questa si aggiungono differenze culturali o di caratteristiche fisiche.

Nei suoi video, come cerca di mettere in risalto la questione dell’identità?
Credo che ciò che cerco di fare nei miei video è di dare creatività e visualità a contenuti che già sono molto ricchi. Non credo che i lavori fatti con persone siano una mia opera, sono una collaborazione, ognuno ci mette quello che ha, io un po’ di tecnica, qualcosa di immagine, però sono i personaggi a dar vita al prodotto, ci mettono l’entusiasmo, l’ immaginazione, l’energia. Nessun artista può costruire l’identità. Tutt’al più può facilitare l’uso del linguaggio audiovisuale, la lettura e la fruizione dei contenuti.

Videocamera, fotocamera, Internet: quale è l’importanza di questi strumenti? Come usarli per favorire incontro e integrazione?
La comunicazione è fondamentale in qualsiasi lotta politica o culturale. Viviamo in un mondo mediatizzato, senza questi strumenti semplicemente non esisti. L’integrazione è una parola che non mi piace, le seconde generazioni sono già integrate, già sono parte del tessuto sociale di questo paese, e fanno affidamento agli strumenti culturali per poterci vivere. Quello di cui vogliamo parlare è altro, sono i diritti civili, l’accesso ai diritti di cittadinanza, all’eguaglianza delle opportunità, ed in questo senso credo che gli strumenti di comunicazione, come il video e l’internet, siano molto importanti e si deve imparare ad usarli.

Un suo video si apre con la citazione : “Quando quella che senti casa tua è piena di porte, chiuse da miliardi di lucchetti, e tu non hai le chiavi, come si fa? È sempre casa tua? O dovresti a questo punto cambiare casa?”
Questa frase fu detta da uno dei membri della rete, l’ho presa dalla pagina web dei G2, www.secondegenerazioni.it. Credo che usare le parole delle persone, la musica, le immagini delle persone coinvolte nel progetto sia molto più efficace che inventarsi cose e cercare di generare poetiche artificiali. E’ una frase che ritrae molto efficacemente la realtà quotidiana di tanti figli e figlie di immigranti che nascono o arrivano bambini in Italia, crescono qui con la stessa educazione e formazione dei loro coetanei italiani, e poi si trovano in una situazione di precarietà dei diritti e si sentono come cacciati fuori di casa. E’ una riflessione molto intima, ma che ti arriva al profondo del cuore.

Ho visto la sua serie di fotografie “Rojo”, molto bella, e mi verrebbe di accostarla al tema dell’immigrazione di prima generazione, quella dei padri e delle madri.
Il mio lavoro di artista inizia quasi 15 anni fa. Solo quando sono arrivata in Italia ho iniziato a lavorare sul fenomeno della migrazione, in parte per meglio comprendere la mia condizione, una sorta di autoritratto proiettato all’esterno. Poi ho cominciato a lavorare in una associazione di donne migranti, e di lì è nata Rojo, una serie di ritratti di donne straniere che vivono o sono passate per l’Italia e la cui attività nell’ambito dell’attivismo o della politica le ha fatte diventare leader delle proprie comunità. Non mi interessa l’immagine dell’immigrato come infelice, vulnerabile, o vittima, preferisco concentrarmi sulle potenzialità della persona, sulla sua capacità di prendere le redini della propria vita, di prendere decisioni, impegnarsi, aggregarsi, unire le forze e rivendicare i propri diritti.

Ringrazio Rosa per le sue parole.
Invito tutti a guardare le sue foto e i suoi video, la sua arte al servizio della società, affinché questo polline del pregiudizio non possa mai mutarsi in veleno letale, ma che, al contrario, si posi a terra con nuove proprietà, perché possa fare nascere una nuova Primavera.