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Messaggio del Vescovo per il nuovo anno scolastico

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In questi giorni in cui la scuola si mette in cammino, desidero rivolgere il mio augurio a tutti quei ragazzi e giovani che entrano in classe, chi per la prima volta, chi per riprendere quel pezzo di strada che le vacanze avevano momentaneamente interrotto.

E nello stesso tempo vorrei esprimere tutta la mia vicinanza ai dirigenti e ai docenti che si mettono accanto a queste nuove generazioni per accompagnarle nel loro cammino di crescita.

Così pure condivido l’ansia e la preoccupazione di tanti genitori che non solo si sentono coinvolti in questa esperienza di educazione dei propri figli, ma che, nello stesso tempo, di fronte ai continui cambiamenti e al contesto sociale e culturale, si pongono la domanda: quello che i figli apprenderanno, le relazioni che instaureranno, il tempo che trascorreranno nell’ambiente scolastico, saranno sufficienti per farli diventare capaci di costruirsi un futuro degno di essere vissuto?

L’inizio di un nuovo anno scolastico, pertanto, è motivo di riflessione non solo per le Istituzioni ad esso deputate, ma per l’intera società, la quale non può non riporre tutte le sue risorse nel processo educativo.
Senza un “educare” una società non regge, diventa una schiavitù, rischia di essere “selvaggia”, dove la legge del più forte ha il sopravvento, e dove le differenze, invece di essere un arricchimento, sono motivo di divisione e di sopraffazione.

E la scuola è il luogo dove la conoscenza del patrimonio culturale che ci è stato trasmesso, l’offerta dei tratti di un concreto progetto di vita, la formazione della coscienza si incontrano, fanno sintesi e, se accolti, diventano la “spina dorsale” che permette ad un ragazzo, a un giovane di camminare in questo mondo superando tutte le sfide che esso presenta.

Perché, come ho detto nella mia Lettera pastorale Educare insieme, “un sapere che concorra alla crescita personale non può prescindere dalle domande che sono collegate al senso ultimo della vita”.

Un compito impegnativo per la scuola; per questo, competenza e serietà, professionalità e adeguatezza di strutture, testimonianza personale e ambiente di vita serena dovrebbero caratterizzare questo luogo e in prima istanza coloro che hanno il ruolo di educatori.

Un ruolo che non ammette sconti, un lavoro che non può esser “part-time”; un servizio che esige sì preparazione culturale, ma anche capacità di sapersi relazionare, perché educare vuol anche dire comunicare, entrare in comunione, rendersi partecipi delle gioie e delle sofferenze, dei sogni e delle disavventure, dei desideri e delle illusioni che ogni crescita umana presenta.

Questo richiede che la scuola sia anche il luogo dell’ascolto. Il ragazzo, il bambino anche il più piccolo, non è un semplice spettatore, nemmeno un qualsiasi fruitore o l’abitudinario cliente, ma il soggetto che porta nella scuola il proprio vissuto e si lascia interpellare, modellare, formare dal vissuto di chi è chiamato ad essere un soggetto che ha qualcosa di autentico, di vero, di giusto, di bello da dire e da comunicare.

Allora la scuola è scuola di vita e la famiglia, primo soggetto educante, può trovare in essa veramente una complementarietà così necessaria perché il processo educativo raggiunga il suo compimento.

Non vi nascondo che le difficoltà che la scuola incontra e le preoccupazioni che la famiglia manifesta, hanno a monte il problema della questione antropologica, cioè la domanda: a quale uomo educare? E nella ricerca di un’adeguata risposta, la fede cristiana può dare un prezioso e salutare contributo.

Per questo spero che siano sempre fruttuosi il dialogo e la collaborazione tra le varie agenzie educative: Famiglia, Chiesa, Scuola.

E buon cammino, con la benedizione di Colui che dall’Alto ci educa tutti.

(Adriano Vescovo)