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Il lupo sbrana le pecore. E finisce strumentalizzato

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Un allevatore dell’Appennino Modenese decide di sfogarsi in web. E sul sito dell’azienda e in una mail che sta circolando come una catena, manda un suo collage fotografico (a colori) di pecore sbranate dal lupo, e corredate da un commento ironico.

“Il lupo è tornato nei nostri boschi – scrive l’azienda agricola Casa Capuzzola di Verica di Pavullo nel Frignano – questo splendido animale si nutre molto volentieri di pecore. Le nostr pecore. Vogliamo condividere con tutti i cittadini ambientalisti la nostra gioia per averlo nutrito in questi ultimi anni. Per tutti loro c’è ora una impedibile opportunità: allevare pecore a distanza nella nostra azienda agricola. Quando la ‘vostra’ pecora sarà stata mangiata o uccisa, noi vi manderemo la prova ed il ‘certificato veterinario di morte sbranata’”.
Il tutto con tanto di recapito cellulare e rimandi al sito web dell’azienda.

Che succede? Lo chiediamo al Willy Reggioni, esperto del Paco Nazionale Appennino Tosco Emiliano in fatto di conservazione della natura e biodiversità.
“Una efficace gestione del conflitto tra Lupo (o altri grandi carnivori) e zootecnia costituisce in Italia come in altre parti d'Europa uno degli elementi principali di una strategia moderna e funzionale di conservazione della specie”, risponde l’esperto. “Rispetto anche al più recente passato la nostra società oggi dimostra di voler riconoscere i valori positivi dei grandi carnivori”.

Stiamo parlando di animali protetti?
“Sì. lupo, orso, lince godono (anche se essenzialmente a livello teorico) di protezione legale a livello regionale, nazionale, comunitario ed internazionale. Per quanto riguarda il lupo, in seguito all'incremento numerico e d'areale osservato nel nostro Paese a partire dalla fine degli anni Settanta il conflitto lupo-zootecnia si è riproposto con grande intensità e diffusione. Si tratta di un problema ad oggi ancora troppo trascurato e che continua a non essere affrontato in maniera coerente con le più moderne aspettative di conservazione”.

Eppure gli allevatori, come nel caso citato, risentono di danni, a volte certo non trascurabili.
“Per il singolo allevatore, oltre alle perdite di carattere economico, la predazione comporta riflessi negativi più generali: carico di lavoro e qualità stessa della vita. Se infatti gran parte della società moderna oggi vuole la protezione del lupo, per ogni singolo allevatore la presenza del predatore comporta la necessità di dotarsi di accorgimenti mirati ad aumentare la difesa degli armenti che sono difficili, economicamente svantaggiosi, comportano un carico di lavoro addizionale e non sempre si mostrano applicabili e funzionali”.

La soluzione?
“Oggi, più di ieri le implicazioni sociali ed economiche del conflitto sono più articolate e rendono particolarmente complessa l'elaborazione di una adeguata strategia gestionale. Il problema viene vissuto in un contesto sociale, culturale e normativo molto diverso rispetto anche al più recente passato che sottende un contrasto tra valori e culture differenti. Dal punto di vista dell'allevatore il lupo rischia di diventare il simbolo di un'epoca in cui le proprie tradizioni, diritti e interessi vengono subordinati ai valori di una cultura di matrice essenzialmente urbana. La predazione sul bestiame non è solo causa di perdite economiche ma (come risulta chiaramente dall'iniziativa intrapresa) alimenta una tensione sociale preesistente che, troppo strumentalizzata dai media locali, si traduce in un movente condiviso per interventi illeciti di controllo”.

Il bracconaggio. Un rischio reale, da scongiurare.
“Sì. Ma è bene evidenziare che tutto ciò influenza ovviamente anche la sfera politica e sociale: si va da articoli in prima pagina di propaganda di comitati anti-lupo fino alla richiesta da parte di amministrazioni pubbliche di deroghe all'attuale stato di protezione del lupo”.

Insomma, una bella sfida.
“La convivenza possibile tra grandi carnivori e zootecnia – conclude l’esperto - implica una gestione del conflitto efficace e socialmente accettabile e rappresenta una tra le sfide più impegnative nel campo della conservazione. Purtroppo è evidente che le amministrazioni non sembrano prestare la necessaria attenzione al problema sia in termini di continuità che di impegno e competenza”.

(Studio Arlotti Comunicazione)