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Il soffio secolare di Marola nell’addio a Monsignor Mora

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Si sono svolti stamane, lunedì 23 giugno, le esequie di monsignor Giuseppe Mora, di anni 92, la cui figura è particolarmente cara alla storia della montagna, oltre che di tutta la Diocesi, essendo stato per 26 anni vicerettore del Seminario di Marola, oltre che amico di Monsignor Francesco Milani.

La morte lo ha colto sabato 21 giugno, alle ore 4, a Casalgrande nella Casa Famiglia Mattioli Garavini, dove è stato ospite per sei anni.

Il funerale si è svolto nella basilica di S. Prospero a Reggio. Oltre al vescovo Adriano Caprioli, che ha tenuto l'omelia, erano presenti tantissimi sacerdoti, molti dei quali scesi proprio dall'Appennino per l'ultimo saluto, nell'attesa della Risurrezione. Davanti al feretro, un Vangelo aperto. Nel funerale un'atmosfera composta degna dei silenzi di oggi dei lunghi corridoi del seminario di Marola.

Monsignor Francesco Marmiroli ha letto un toccante ricordo di Monsignor Mora: ringraziando per i vari messaggi giunti, ha letto solo il telegramma del Cardinale Camillo Ruini.

La salma, benedetta e incensata dal precedente vescovo Gibertini, è stata trasportata dai medesimi sacerdoti all'interno della chiesa che dà su 'piazza dei Leoni'.

Dopo il rito funebre, il feretro è stato portato nella chiesa di Sant’Ilario d’Enza, dove alle 15 si è svolta la Messa per accompagnare poi la salma al cimitero locale.

IL PROFILO DI MONSIGNOR GIUSEPPE MORA

Monsignor Giuseppe Mora era nato il 16.1.1916 a Gattatico e venne ordinato sacerdote il 9 giugno 1940. Era l’ultimo sacerdote vivente di quella numerosa classe di ordinazione: ben 21 preti, ordinati con qualche settimana di anticipo, d’urgenza per il pericolo imminente: l’Italia, il giorno successivo sarebbe entrata in guerra.

Per oltre venticinque anni è stato vice-rettore nel Seminario di Marola (1940-1966). Nel 1966 il Vescovo Gilberto Baroni, a neanche un anno dall’ingresso a Reggio, lo ha nominato Vicario generale della diocesi, incarico svolto per 23 anni fino al termine dell’episcopato di Baroni (1989), e confermatogli per altri 6 anni dal Vescovo Gibertini, cioè fino al 1995.

È stato presidente della Commissione diocesana per l’arte sacra (1966-1996) - Vicario episcopale con incarichi particolari (1995-1998) - Delegato per l’amministrazione del Sacramento della Confermazione (1978-2001) - Canonico della Cattedrale dal 1978.

Alla fine del luglio 2002, dopo un ricovero in ospedale, si è resa necessaria una particolare assistenza. È stato accolto nella Casa Famiglia “Mattioli Garavini” a Casalgrande dal 2002, dove sono presenti le Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret (quelle che a Reggio sono chiamate le Suore di San Vincenzo), che egli ben conosceva. Là è stato ogni giorno assistito in particolare dal diacono permanente di Rubiera, Silvano Ferrari.

Mons. Mora ha trascorso sei anni sulla carrozzella, con straordinaria serenità d’animo. Ultimamente le sue condizioni di salute sono andate peggiorando. Ugualmente, domenica scorsa 15 giugno ha potuto concelebrare la Messa. Dopo alcuni giorni di assopimento, sabato mattina 21 giugno alle ore 4, all’età di 92 anni, ha concluso la sua lunga giornata terrena.

Mons. Mora è stato una figura di primo piano nella diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, soprattutto nel ruolo di vicario generale.

Dotato di acuta intelligenza, aveva competenze varie anche in ambito artistico.

Schivo, non si è mai messo in vista e non si è mai sottratto alle richieste dei suoi vescovi e in generale alle necessità della diocesi.

Ha saputo unire un’intensa attività a una profonda spiritualità, che traspariva nella predicazione e nel ruolo di confessore e guida spirituale.

Sebbene pressato da molti impegni, la sua giornata incominciava sempre con un prolungato tempo dedicato alla meditazione e alla preghiera. Erano quotidiane le sue soste nella chiesa di San Giorgio a Reggio, la chiesa dell’adorazione eucaristica.

La grandezza spirituale di Mons. Mora si è fatta ancora più luminosa negli anni della malattia che progressivamente lo ha costretto sulla carrozzella. E questo per tutti i sei anni nella Casa di Casalgrande. Personale ed ospiti ammiravano la sua pace interiore; non lo hanno mai sentito lamentarsi di alcunché. L’hanno visto ogni giorno sostare a lungo nella cappella.

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L'OMELIA DEL VESCOVO

Ricordo e ringraziamento prima dell’ultimo commiato

Prima del commiato liturgico è doveroso ricordare tanti messaggi di partecipazione a questo rito;

e quindi è doveroso ringraziare quanti hanno espresso le condoglianze e i sensi di profonda stima ai familiari e alla Diocesi.

Credo però sia ancora più doveroso un ringraziamento della Diocesi (e di noi preti e diaconi) a questo suo sacerdote per il suo servizio e il suo amore a questa nostra Chiesa.

Mons. Mora era una “persona imperturbabile”. Almeno così ci appariva. Ma siccome è apparso così per tutta la vita, dobbiamo pensare che questo non fosse solo un modo di atteggiarsi.

Mi pare opportuno ricordarlo perché una persona riesce a non scomporsi quando sa chi è e sa cosa vuole. Ecco Mons. Mora: una persona lineare che non si smuove dalle sue solide convinzioni; un sacerdote che sapeva dare ragione di quello che faceva, di quello che chiedeva, di quello che suggeriva.

Mi pare questa la prima consegna che lascia e utile sia ai preti che ai laici; due qualità preziose perché all’opposto stanno la fragilità e la superficialità, due piaghe del nostro tempo.

A questa fermezza interiore e a questa profondità razionale credo fosse legata una caratteristica del tratto: la sincerità con cui doveva correggere situazioni delicate non ha mai intaccato la stima delle persone e mai lasciava trapelare il giudizio sulle loro intenzioni.

Proprio questa chiarezza interiore, unita alla sua cultura, credo sia il motivo della stima delle istituzioni civili nei suoi confronti.

Mons. Mora “è sempre stato dove lo hanno messo”. Non per piaggeria ma perché uomo di fede. “Chi di voi vuole essere il primo si faccia servo di tutti” (cf. Mc 9,35).

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IL RICORDO DI MONSIGNOR FRANCESCO MARMIROLI

Ricordo e ringraziamento prima dell’ultimo commiato

Prima del commiato liturgico è doveroso ricordare tanti messaggi di partecipazione a questo rito;

e quindi è doveroso ringraziare quanti hanno espresso le condoglianze e i sensi di profonda stima ai familiari e alla Diocesi.

Credo però sia ancora più doveroso un ringraziamento della Diocesi (e di noi preti e diaconi) a questo suo sacerdote per il suo servizio e il suo amore a questa nostra Chiesa.

Mons. Mora era una “persona imperturbabile”. Almeno così ci appariva. Ma siccome è apparso così per tutta la vita, dobbiamo pensare che questo non fosse solo un modo di atteggiarsi.

Mi pare opportuno ricordarlo perché una persona riesce a non scomporsi quando sa chi è e sa cosa vuole. Ecco Mons. Mora: una persona lineare che non si smuove dalle sue solide convinzioni; un sacerdote che sapeva dare ragione di quello che faceva, di quello che chiedeva, di quello che suggeriva.

Mi pare questa la prima consegna che lascia e utile sia ai preti che ai laici; due qualità preziose perché all’opposto stanno la fragilità e la superficialità, due piaghe del nostro tempo.

A questa fermezza interiore e a questa profondità razionale credo fosse legata una caratteristica del tratto: la sincerità con cui doveva correggere situazioni delicate non ha mai intaccato la stima delle persone e mai lasciava trapelare il giudizio sulle loro intenzioni.

Proprio questa chiarezza interiore, unita alla sua cultura, credo sia il motivo della stima delle istituzioni civili nei suoi confronti.

Mons. Mora “è sempre stato dove lo hanno messo”. Non per piaggeria ma perché uomo di fede. “Chi di voi vuole essere il primo si faccia servo di tutti” (cf. Mc 9,35). Mons. Mora non ha mai voluto sentirsi il primo, ma ha sempre usato la sua posizione come un servizio.

A Marola non era solo il Vicerettore: era lui il Seminario! Sempre vicino ai ragazzi e … fin troppo presente, sempre capace di arrivare sui problemi con la risorsa dell’occhio intelligente e delle capacità che non si risparmiano. La tenacia con cui nulla passava inosservato, sul momento sembrava intransigenza, ma col passare del tempo appariva sempre più chiaramente la risposta radicale al servizio che la Chiesa gli affidava.

Per noi preti è facile lamentarsi di avere superiori che non sono mai stati parroci. In questo c’è un fondo di verità, perché la concretezza aiuta molto anche la teoria. Mons. Mora, Vicario generale, non era mai stato parroco, ma risposte concrete ne ha date tante. Il continuo abbinare le ore di ufficio con un servizio pastorale stabile, le ore di confessionale con orari abituali quotidiani, la direzione spirituale a tante persone, la visita ai preti ammalati anche nelle ore più inusuali, l’attenzione ai problemi concreti delle parrocchie, ne sono la conferma.

In mezzo a tanta varietà di impegni e di problemi, come inesorabilmente comporta il servizio di Vicario generale, mons. Mora ha sempre sorpreso con il suo modo così pacato di dare tempo alla preghiera. È la conferma che solo una vita spirituale forte può essere la carica adeguata per una austerità serena e una vita sacerdotale intensa.

Ci ha insegnato ad essere preti del tutto, ad essere preti per gli altri; e che si è per gli altri se si da tutto quello che si è, tutto quello che si ha.

Grazie Mons. Mora!