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Attorno alla minacciata esecuzione di Tarik Aziz

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Ci scrive - scrive a tutta la stampa nazionale - un testimone che ha conosciuto direttamente Tarik Aziz, quel ministro degli esteri di Saddam Hussein del quale pure, in questi giorni, viene minacciata l'esecuzione. Si tratta di Rosario Amico Roxas, scrittore, studioso ed editorialista che si legge su svariati organi di comunicazione. Pubblichiamo la sua lettura dei fatti di politica internazionale che hanno portato, tra l'altro, alle due guerre del Golfo e che potrebbero portare, sempre secondo il suo punto di vista, a prossimi conflitti nella medesima area. L'introduzione che subito segue è dello stesso autore.

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Vi invio questa nota, troppo lunga per essere inserita nei commenti, ma indispensabile per consentire una chiara comprensione dei fatti del Kuwait e della brutalità della minacciata esecuzione di Tarak Aziz. Ebbi modo di parlare a lungo con Tarak Aziz in visita a Tunisia ai profughi di Sabra e Shatila, ospitati in un villaggio messo a disposizione dal governo tunisino ad Hammam Liff, 15 km. A sud di Tunisi. Parlammo a lungo in francese; egli entrò subito nell’argomento che gli premeva, affinchè me ne facessi portavoce. Oggi lo si vuole condannare a morte, ma solo per farlo tacere, per non tenere in vita un testimone diretto delle menzogne americane e delle brutture ordinate dai due Bush, padre e figlio.

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Anche per la prima guerra del Golfo gli USA ebbero bisogno di organizzare una ragione necessaria e sufficiente a giustificare il loro intervento. Fu lo stesso Saddam a fornire la motivazione, quando ritenne di meritare, stante i servizi resi agli USA in chiave anti iraniana, di potersi annettere il Kuwait.

Nelle more Saddam era stato insignito della cittadinanza onoraria di Detroit, la capitale mondiale delle auto, ed era ricevuto e trattato da inglesi ed americani come un amico e fedele alleato.

Dal 1922 tutti i governi iracheni avevano avanzato rivendicazioni sul Kuwait, che per 2.000 anni aveva fatto parte integrante dell’Iraq; lo fece anche Saddam, ritenendolo un riconoscimento per i servizi resi agli USA nella guerra Iran-Iraq. Ma, timoroso della reazione americana, alla cui protezione teneva molto, incontrò l’ambasciatore Usa a Baghdad April Glaspie, una donna molto energica, ma di discussa reputazione, la quale comprese l’esigenza di Saddam di unificare l’Iraq; dopo avere informato la Casa Bianca e averne ottenuto il nulla osta, dette il suo assenso all’invasione del Kuwait.

Era l’occasione tanto attesa per portare le truppe in quell’angolo del pianeta che galleggiava letteralmente sul petrolio.

La conferma dell’autorizzazione da parte dell’ambasciatore americano, la ebbi personalmente a Tunisi, quando degli amici palestinesi mi fecero incontrare Tarak Aziz, il n. 2 del regime iracheno, che si trovava a Tunisi (poco prima di recarsi al Vaticano a perorare la causa dell’Iraq, che stava per essere invaso, bombardato dagli eserciti anglo-americani).

Si trovava a Tunisi, ufficialmente per portare aiuti economici a profughi palestinesi che vivevano ad Hammam Liff, alla periferia sud della capitale.

Mi spiegò di aver capito tardivamente che quell’autorizzazione ad invadere il Kuwait non era altro che un tranello per giustificare l’aggressione della “prima guerra del golfo”.

Il 2 agosto 1990 il Kuwait fu invaso senza combattere; la famiglia che governava il paese, gli al-Sabah, abbandonarono Kuwait City per recarsi nell’esilio dorato in Costa Azzurra, dove avevano prenotato tre piani del più lussuoso albergo, il Negresco, nella Promenade des Englais a Nizza. (N.d.R.)

La contropartita richiesta a Saddam dall’ambasciatore April Glaspie fu quella di effettuare, immediatamente dopo la conquista del territorio, libere elezioni, e affidare ad un parlamento liberamente eletto la conduzione del Kuwait, sia pure come provincia dell’Iraq. Saddam non lo fece; non poteva usare pesi e misure diverse nello stesso paese; gli intellettuali iracheni, specie quelli di fede sunnita e quindi più vicini al rais, premevano, infatti, perché si svolgessero in tutto l’Iraq libere elezioni.

I mass media americani iniziarono subito la campagna anti-Saddam, etichettandolo come Hitler arabo. Saddam non aveva capito che la sua violazione dell’altrui sovranità doveva essere punita; non aveva capito che le violazioni dell’altrui sovranità potevano restare impunite solo se commesse dal potere del più forte o con il suo assenso.

Anche questa prima guerra del Golfo, voluta da Bush senior, fu presentata al popolo americano come l’esportazione della democrazia in un paese dominato da un dittatore crudele. Ovviamente Bush senior trascurò di ammettere che quel dittatore crudele era stato sostenuto, armato, foraggiato dagli USA nel corso della guerra Iran-Iraq, e che gli USA avevano tollerato (o sollecitato) che la ferocia del rais si scatenasse contro i Curdi, ritenendo il massacro di quel popolo un fatto interno dell’Iraq, per cui non ritennero opportuno intervenire o consentire che intervenisse l’ONU, opponendosi con il VETO.

La cantilena della esportazione della democrazia iniziò il suo cerimoniale quando gli interessi diretti degli USA furono messi a repentaglio con l’occupazione, peraltro autorizzata dagli USA, del ricchissimo Kuwait. Subito dopo la liberazione dalle truppe irachene, il Kuwait rientrò nell’orbita americana; gli interessi petroliferi erano stati salvati, mentre una consistente flotta americana si accingeva a bivaccare in permanenza nel porto di Kuwait City. Il problema della esportazione della democrazia divenne un accessorio superfluo, anche se molti intellettuali iracheni ci avevano creduto. Ci credette anche un gruppo di militari iracheni stanziati al Nord, dove si trovavano al comando di truppe curde; proprio quei curdi che erano stati inviati in prima linea al Sud per contrastare l’eventuale avanzata americana e che si arrendevano anche agli operatori televisivi che li riprendevano con le telecamere. Non intendevano combattere per quel rais che pochi anni prima aveva sterminato la popolazione curda. Quegli ufficiali al comando delle truppe curde si inventarono una marcia su Baghdad, con un totale di 13.000 uomini, poco armati e privi di ogni forma di normale sostegno logistico, per liberare l’Iraq dal dittatore.

Erano convinti che dovevano essere i principali artefici del programma di libertà della loro Patria, come i ragazzi delle pietre dell’intifada; erano anche fiduciosi che avrebbero incontrato, alle porte di Baghdad, le truppe angloamericane, per sconfiggere definitivamente il rais, per inaugurare la promessa democrazia.

Incassarono l’impegno angloamericano di copertura aerea, che sarebbe dovuta intervenire partendo dalle basi turche, ma, quando furono di fronte alle truppe scelte di Saddam che li attendevano nella pianura antistante Baghdad a Nord-Ovest della capitale, si ritrovarono isolati, l’esercito angloamericano stava già sbaraccando dal Kuwait, la copertura aerea non arrivò, gli alleati non manifestarono alcun interesse a defenestrare Saddam.

L’esportazione della democrazia decantata da Bush divenne un optional superato.

Fu il massacro, che continuò con quegli intellettuali che avevano sperato nella ipotesi di una integrazione democratica, sotto il controllo di quelli che si dichiaravano sostenitori ed esportatori di democrazia. Pochissimi riuscirono a salvarsi rifugiandosi in Giordania, spostandosi, successivamente in paesi a cultura avanzata come la Tunisia e il Nord-Est dell’Algeria e Egitto.

Fu così subito chiaro che né gli americani né i fedeli clienti dell’Arabia saudita né gli emiri e gli sceicchi degli Emirati Arabi Uniti erano realmente interessati a instaurare la democrazia. Saddam aveva avuto la sua lezione, ma fu lasciato al suo posto, in grado di effettuare tutte le ritorsioni che la sua mente violenta poteva partorire.

Continuò ad essere l’uomo di Washington nello scacchiere, anche se guardato a vista e sottoposto a un tipo di embargo che danneggiava solamente il popolo iracheno, non gli interessi dei petrolieri americani né quelli dello stesso Saddam.

L’idea di instaurare una democrazia in Iraq era inoltre intollerabile per gli alleati sauditi, che mantenevano (e mantengono ancora) nel loro regno uno stato di terrore e di miseria, malgrado le immense ricchezze provenienti dal petrolio.

L’Arabia Saudita continua ad essere una nazione priva di una Costituzione, ma questo ai democratici americani non interessa, in cambio del petrolio sono disponibili a dare la patente di democraticità a chiunque.

Prima della guerra l’Iraq aveva un reddito pro capite di tremila dollari annui per abitante, dopo la I guerra e l’embargo, non arriva nemmeno a 500 dollari annui, diventando uno dei paesi più poveri della terra, potendo disporre di appena un dollaro e trenta centesimi al giorno per persona. Oggi, dopo la II Guerra, anch’essa fallita nell’intento di neutralizzare definitivamente il rais, la situazione generale è ancora peggiorata; negli ultimi sei mesi sono nati 230.000 bambini, nessuno dei quali è stato vaccinato; paradossalmente manca anche la benzina nel secondo paese produttore di petrolio.

Fu così che venne devastata una terra che aveva un sistema sanitario avanzato, un'economia stabile, alti livelli di alfabetizzazione, che sarebbe giunta, con la naturale evoluzione dei tempi, alla conquista spontanea di una sua libertà.

Alla fine della prima guerra contro Saddam fu stabilito l’embargo contro l’Iraq: a partire dal 1991 i decessi dei bambini per malattie o denutrizione fu stimato in trecentomila; nel 1997 l’UNICEF riferì che in Iraq morivano 4.500 bambini al giorno.

“Le cifre dell’UNICEF sulla mortalità infantile in Iraq rappresentano solo la punta di un iceberg se messe in relazione agli enormi danni provocati sui pochi iracheni che sopravvivono al loro quinto anno” (Richard Garfield – docente di infermieristica clinica internazionale alla Columbia University- The Public Healt Impact of Santions - Middle East Report, n. 215, Estate 2000).

La prima guerra del Golfo non finì mai di finire; periodicamente inglesi e americani, quando si ritrovavano ad avere un esubero di bombe nei loro arsenali armi pesanti che l’industria bellica produceva a ritmo costante andavano a scaricarle in territorio iracheno.

Il 16 dicembre del 1998, alla vigilia del voto presso la Camera dei Rappresentanti degli USA, che accusava il presidente Clinton di spergiuro e di ostacolare la giustizia, in occasione del noto scandalo della macchiolina sulla verginale gonna della stagista presso la Casa Bianca Monica Lewinsky, venne scatenato un attacco aereo contro l’Iraq, ufficialmente per punire l’Iraq della mancata collaborazione con gli ispettori dell’ONU alla ricerca di armi di distruzione di massa, ma in realtà per ritardare e affievolire il clamore dello scandalo nel quale il presidente era coinvolto e cercare di evitare l’impeachment.

L’operazione, denominata Desert Fox (la volpe del deserto, lo stesso nome di battaglia del generale nazista Rommel) durò 72 ore; non sono mai stati forniti dati relativi alle vittime di questi attacchi a sorpresa.

Il 13 agosto del 1999 il New York Times in una nota del commentatore politico Steven Lee Myers così commentava:

“Gli aerei americani stanno attaccando l’Iraq metodicamente e senza alcuna vera discussione pubblica. Negli ultimi otto mesi piloti americani e inglesi hanno lanciato più di 1.100 missili contro 359 obiettivi in Iraq. E’ il triplo degli obiettivi colpiti in quattro giorni di attacchi furiosi in dicembre…. Secondo un altro parametro i piloti hanno compiuto circa i due terzi delle missioni che i piloti della NATO hanno condotto sulla Yugoslavia nei 78 giorni di quella guerra”.

Anche il ministro della difesa inglese Geoff Hoon, a seguito di un'interrogazione urgente alla Camera dei Comuni, fu costretto ad ammettere che l’aviazione inglese non aveva mai smesso di bombardare l’Iraq e che

…tra il 20 dicembre del 1998 e il 17 maggio del 2000, l’aviazione inglese aveva sganciato 78 tonnellate di artiglieria pesante nelle zone interdette dall’ONU al volo (no fly zone), con una media di cinque tonnellate al mese. (Hansard 24 maggio 2000).

Se il periodo dell’embargo distrusse l’economia irachena e provocò centinaia di migliaia di morti sia per denutrizione che a causa degli estemporanei bombardamenti, specie nelle fasce più deboli della popolazione, non fu lo stesso per il rais e il suo entourage. La vendita del petrolio continuò senza sosta, attraverso il Kurdistan iracheno, al confine con la Turchia, che divenne la capitale mondiale del petrolio di contrabbando. Saddam vendeva il petrolio iracheno ai petrolieri americani, ottenendo dollari, oro e armi.

Il secondo tempo della guerra del Golfo, ripropose l’antica cantilena della esportazione della democrazia e della lotta al terrorismo.

La Democrazia non è un bene di consumo che può essere esportato quando si ha un esubero, è un prodotto della lenta evoluzione della Storia e della Cultura, può essere, discretamente propagandato, ma mai imposto con le armi, con il terrore, con la tortura.

Sia con la guerra in Afghanistan che con quella in Iraq, non fu raggiunto nessuno degli scopi principali che gli alleati avevano programmato di raggiungere: la cattura di Bin Laden con lo il mullah Omar.

Non ci è dato sapere se accordi sottobanco con gli antichi datori di lavoro non prevedessero una sorta di salvacondotto, o altre garanzie, quale liquidazione per i servizi resi; fatto sta che ancora una volta la CIA ha dimostrato inefficienza, oppure, secondo voci insistenti che circolano negli ambienti culturali islamici di estrazione moderata, una connivenza passiva, in attesa di possibili altri eventi, come la programmata guerra contro la Siria, con successivo allargamento del conflitto all’Iran, o viceversa, che purtroppo non tarderanno a essere scatenate (n.d.r.).

(Rosario Amico Roxas)

2 COMMENTS

  1. Uno storico imparziale
    Non c’è alcun dubbio. La ricostruzione di
    Roxas non è tendenziosa. Lo raccomanderemo per un ruolo in un prossimo film di Moore e per un posto in una raccolta di studi curata da Giulietto Chiesa. Nel frattempo organizzeremo una fiaccolata per la liberazione di Tarek Aziz.

    (Francesco Tondelli)

  2. Non partire prevenuti
    Faccio fatica a comprendere il commento di Tondelli. Seppur Tarik Aziz sia un criminale resta comunque che sia stata una pedina importante dello scenario mondiale. Forse pensare che gli USA siano i buoni e tutti gli altri i cattivi non è corretto. Sicuramente Aziz potrebbe avere cose molto importanti da dire, da raccontare. Cose che probabilmente noi non sapremo mai. A vedere lo scacchiere mi sembra di rileggere @C1984#C di Orwell. Quelli che ieri erano amici oggi sono nemici. Quelli a cui ieri abbiamo venduto le armi oggi diciamo che ce le hanno rubate. In questi casi partire prevenuti è sbagliato.

    (Alessandro Torri Giorgi)