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Il vero educatore non sta coi giovani per obbligo d’orario

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Molti genitori ed educatori hanno la tentazione di fuggire dall’educare. Temo che sia perché non credono nel Cristo Risorto. Lo pensano come un grande personaggio del passato, un fallito, guardando ai risultati e lasciando in disparte quanto dice “la teologia del fallimento”: l’albero della Croce canta la liturgia pasquale, è albero della Vita, e la colpa è la “felix culpa”, che ci ha permesso di misurare l’amore infinito di Dio e di essere parte del popolo dei salvati.

Se si parla della nostra risurrezione i dubbi aumentano! Una signora, che ha sempre frequentato la Messa, alla morte del marito, a 78 anni sui campi di golf, mi domandava con insistenza: “Dove sarà adesso? Ma è proprio vero che risorgeremo tutti?”. Molto meglio mio zio, che non ho mai visto in chiesa e che teneva nel suo portafoglio, con la tessera del partito, l’immagine di don Bosco: “Se il Paradiso esiste, don Bosco mi darà un mano ad entrarci; se non esiste; ma esiste, se no perché fai il prete con i Barabitt?”.

La gente semplice, la gente che vive l’amore in grande, pur trovandosi di fronte al mistero della morte, non stenta ad accettare il mistero, altrettanto grande, della Risurrezione: il Cristo risorto è la loro speranza. Un Cristo morto, un Cristo dimezzato non offre nessuna garanzia di futuro. Il mistero pasquale illumina la vita dell’uomo, della donna, che è stata la prima a incontrare il Cristo della Risurrezione! Dà luce nuova anche ai rapporti umani, fonda la pedagogia della speranza, la libera da ogni forma di pessimismo, dalla bestemmia pedagogica del “con quel ragazzo lì non c’è più niente da fare”.

L’educatore che non sta tra i giovani “per obbligo d’orario”, “per mestiere”, ma “per amore”, come dovrebbero essere i genitori, sa che il suo lavoro non è inutile, che seminando generosamente a larghe mani, a cuore aperto, con sacrificio, con pazienza, i frutti non mancheranno, anche quando gli sembra che tutto il suo lavoro non abbia prodotto che fallimenti.

La fede nel Risorto ci dice che nessuno è definitivamente perso. “Ogni giovane, scriveva don Juan Vecchi, ottavo successore di don Bosco, porta nel suo interno il segno del piano di salvezza, nel quale c’è una promessa di vita piena e felice”. Di questo piano dobbiamo essere profondi collaboratori, vivendo le virtù teologali della fede e della speranza, della carità operosa, che fonda le capacità del seminatore, che non si stanca mai di gettare la semente, superando ogni grettezza, offrendo sempre nuove opportunità di cambio.

Una certezza accompagna il lavoro educativo: la Grazia di Dio, che fa anche lei il suo compito, non si tira mai indietro.

L’educatore-seminatore evangelico non dice mai basta, non si arrende mai, trova gioia non solo nel proporre una meta chi è capace di volare alto, ma di “salvare”, prendere da livello più basso, un ragazzo, una ragazza e aiutarli a fare un passo verso l’alto. Così partecipa all’opera di Dio educatore che, nel suo ottimismo, ha mandato suo Figlio tra noi per alimentare la nostra speranza e fiducia nel lavoro con i giovani.

In questi giorni ho incontrato, in momenti diversi, due dei miei ex-barabitt. Tutti e due sembravano segnati dal fallimento: noi educatori eravamo preoccupati del loro ritorno a casa, in famiglie che si presentavano con gravi difficoltà. Dopo tre anni e li siamo ritrovati al Centro: “Siamo tornati per respirare aria di casa!”, hanno detto entrambi. Il primo lavora e frequenta l’Università, con buoni risultati; l’altro è meccanico, non continua gli studi perché gli pesano troppo, ma è sereno con la sua ragazza, che gli dà molta tranquillità. E dire che su di loro non scommettevamo più di tanto.