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“Noi crediamo, per questo parliamo”

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Di ritorno da Lourdes, a pochi giorni dal pellegrinaggio nel 150simo anniversario delle Apparizioni della Vergine Maria alla piccola Bernardette, non posso dimenticare la grazia di quei giorni.
È stato veramente un bel dono potere celebrare l’Eucaristia vicini alla Grotta di Massabielle, attirati tutti dallo sguardo della Vergine, destinatari tutti dello stesso messaggio.
E qual è il messaggio che Lourdes riesce a comunicare ogni volta che là si va, e da là si ritorna a casa?

Il Dio vicino all’uomo

Il messaggio è quello del Dio vicino all’uomo. È il messaggio che ancora oggi il Vangelo, il Vangelo dell’annunciazione a Giuseppe, vuole trasmettere: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo… Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1,20.23).

Lo sappiamo che il Dio in cui crediamo è un Dio vicino all’uomo, ma abbiamo bisogno di sentirlo confermato, testimoniato, quasi messo sotto i nostri occhi, per non dimenticarlo:
quando si è giovani e quando si invecchia,
quando si è sani e quando si cade malati,
quando le nostre Messe sono piene e partecipate,
e quando invece sono rarefatte e disertate.

Credere in un Dio vicino all’uomo non è facile. Non posso dimenticare quello che una donna mi ha detto, mentre sostava proprio il giorno di Natale davanti alla grotta del Presepio allestito in una cappella della mia parrocchia: “Mi aiuti a credere. Voglio essere sincera: io credo in Dio, ma non riesco a credere che Dio abbia preso questa nostra carne. Come è possibile questo?”.

Come è possibile questo? È la domanda che Maria, all’annuncio della sua prossima maternità, ha rivolto all’angelo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e Figlio dell’Altissimo” (Lc 1,31). È bello pensare, ascoltando il Vangelo di Luca, che la prima a credere alla buona notizia del Dio vicino all’uomo, sia stata Maria: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).

Maria ha creduto per prima a questa inaudita novità della prossimità di Dio all’uomo. Maria ha creduto, quando nessuno attorno a lei credeva: non solo a Betlemme, dove Gesù nasce; non solo in città a Gerusalemme, ma anche a Nazaret tra i suoi stessi familiari e compaesani. E c’è stato un momento in cui anche Giuseppe ha pensato di licenziarla in segreto, come abbiamo ascoltato prima nel Vangelo. Anche Bernardette ha creduto, quando nessuno attorno a lei credeva: né le amiche, né i familiari, nemmeno il parroco del paese e il vescovo diocesano Laurence, almeno inizialmente.

Noi crediamo, e per questo parliamo

Sono passati 150 anni da quei giorni di luce. Oggi, con Maria, con Bernardette c’è tutta una Chiesa che crede nel Dio vicino all’uomo. C’è la nostra Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla. C’è il Vescovo con il suo Ausiliare, ci sono i sacerdoti e diaconi, i seminaristi, le persone consacrate, le Case della Carità, i malati chi nel corpo e chi più ancora nello spirito.

Anche noi con il pellegrinaggio alla grotta di Lourdes abbiamo voluto confermare la nostra fede, fare nostra la fede di Maria: “Ecco, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E oggi, di ritorno da Lourdes, alle nostre case e parrocchie e paesi, vogliamo iniziare nel nostro santuario della Madonna della Ghiara il nuovo anno pastorale. Saremo chiamati, seguendo la nuova Lettera pastorale, a “comunicare la fede, oggi, in un contesto di pluralismo religioso e culturale”.

“Noi crediamo e per questo parliamo”, è il titolo che ho pensato di dare a questa Lettera pastorale, facendo mio quanto l’apostolo Paolo scrive nella seconda lettera ai Corinti e abbiamo ascoltato nella odierna seconda lettura: “Sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo” (2 Cor 4,13). L’Apostolo, di cui quest’anno ricorre il bimillenario della nascita, testimonia il legame profondo tra il credere e il comunicare. Sì, comunicare la fede nel nostro tempo richiede anzitutto di conoscere ciò in cui si crede, e di saperlo vedere nella sua verità e originalità, senza confusioni di sorta.

Anche il dialogo, che particolarmente impegna i cristiani del nostro tempo con quanti non condividono la stessa fede, non è un impedimento, ma una provocazione a verificare le stesse ragioni del credere. Non è un caso che Paolo VI, nella lettera programmatica del suo pontificato, l’enciclica Ecclesiam suam, prima del dialogo parla dell’identità cristiana e del rinnovamento della vita cristiana, vere premesse per un dialogo sincero e autentico.

Non solo comunicare la fede chiede di conoscere ciò in cui si crede, ma impegna a diffonderla. San Paolo è convinto che quanti sono venuti alla fede hanno la responsabilità di comunicarla ad altri. Credere è per sua natura un atto comunitario, e non potrebbe mai ridursi a fatto privato, individualistico, chiuso in se stesso. L’acqua che trabocca dalla sorgente ha bisogno di scorrere sul terreno, diversamente diventerebbe stagnante e alla fine imbevibile.

Come Vescovo mi domando spesso: è possibile comunicare la fede, nelle nostre terre? La comunicazione della fede, che pure è un compito primario della comunità cristiana, appare spesso titubante e incerta. I genitori fanno fatica a comunicare la loro fede ai figli, specialmente dopo una certa età, e i credenti sono imbarazzati a parlare di fede ai non credenti. I preti stessi hanno l’impressione di non riuscire più a comunicare con l’ambiente dentro il quale vivono il loro ministero e fatichiamo anche a trasmettere ad altri giovani le ragioni e la bellezza della nostra stessa vocazione .

È questo uno dei problemi più drammatici della nostra Chiesa occidentale, che sembra entrata in un certo “mutismo della fede”. Già il poeta E. Montale lamentava questa condizione babelica, quando scriveva: “Siamo a Pentecoste e non c’è modo che scendano dal cielo lingue di fuoco”.

“Guai a me se non predicassi il Vangelo”, scrive l’apostolo Paolo alla comunità di Corinto (1 Cor 9,16). Predicare il Vangelo e comunicare la fede non è solo il compito dell’apostolo, ma la ragione dell’esistenza stessa della Chiesa. L’evangelizzazione è così il problema della Chiesa, nel senso che è il problema stesso dell’esserci della Chiesa: fuori dall’evangelizzazione non c’è azione di Chiesa, e neppure c’è la Chiesa.

Sono prime sollecitazioni, queste, che mi inducono a dedicare un biennio del nostro cammino di Chiesa al tema del “comunicare”. Non è un tema accessorio o di lusso. Si tratta della condizione del nostro essere cristiani, e dell’esserci stesso della Chiesa.

In questo nuovo anno pastorale diocesano ritorneremo alla Cattedrale: non solo per restituire a tutti, Chiesa e città, il simbolo più significativo del loro patrimonio storico-artistico e culturale, ma per dare alla intera Diocesi la sua Chiesa madre: dove il vescovo ha la cattedra, presiede le celebrazioni lungo l’anno, le ordinazioni presbiterali e diaconali (speriamo numerose!), e dove la comunità ascolta, celebra, prega, trova spazi di silenzio diventati sempre più rari in città, e si fa attenta ai suoi poveri.

La città avrà, ultimo tra i Vicariati, la Visita pastorale del vescovo alle parrocchie, alle diverse realtà di scuola, lavoro, agli ambienti di cura della malattia, di vita comune e associata. Sarà l’avvio di una nuova missione per la nostra città. Sono convinto che anche la città possa riscoprire un’anima, vivere esperienze di coralità, sentirsi un popolo proprio attorno alla sua cattedrale.

Affidamento a Maria

Affidiamo a Maria, Madre della Chiesa, a partire da questa solennità della Natività, che ha segnato l’inizio della nostra salvezza, la nostra sincera volontà di essere Chiesa che desidera parlare a tutti al mondo d’oggi, alla cultura, alle diverse civiltà, con la parola semplice del Vangelo, e ogni nostro proposito nel cammino che ci attende.

+ Adriano VESCOVO

Reggio Emilia – Basilica B. V. della Ghiara, 8 settembre 2008