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La visita del vescovo Adriano ai vicariati della montagna

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“Guai a me se non predicassi il vangelo” (1 Cor 9,16) ammonisce l’apostolo Paolo, di cui ricorre quest’anno (Anno Paolino) il bimillenario della nascita. Sulla scia di questo monito che la Chiesa da duemila anni fa suo in obbedienza al comando di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15), il vescovo, Mons. Adriano Caprioli, ha nuovamente incontrato, venerdì 17 ottobre, la comunità di Castelnovo all’oratorio della Pieve per presentare alla montagna la lettera: “Chiesa Missionaria: un’eredità per il futuro”, a 40 anni dalla “scelta missionaria” dell’allora Vescovo Gilberto Baroni.

Sala gremita, grazie anche alla massiva presenza dei nostri giovani, diversi i sacerdoti del vicariato, nonché i diaconi e i laici impegnati nei vari settori della pastorale ordinaria.

Dopo l‘introduzione del direttore del Centro Missionario diocesano, don Emanuele Benatti, terminata con l’affidamento alla Beata Vergine di Bismantova, “perché ci aiuti a comunicare la fede in Gesù Cristo e ad essere missionari in ogni iniziativa che programmiamo e realizziamo nelle nostre comunità”, si è passati all’ascolto della Parola di Dio tratta dal Vangelo di Luca (Lc 10,1-11), brano noto anche come “La missione dei settantadue discepoli” (numero che suggerisce l’universalità in quanto settantadue erano gli antichi capi di Israele ed altrettante le nazioni pagane, cfr. Nm 11,24 -29 e Gen 10).

Il Vescovo ha commentato brevemente il testo dicendo che nel racconto della missione dei settantadue (che appartiene unicamente a Luca) emerge il fatto che la missione non è unicamente affidata allo stretto gruppo degli apostoli, ma alla cerchia più allargata dei discepoli.

Andare in missione, ha proseguito, chiede di aver fiducia nella Parola del Vangelo, la missione si basa sulla forza del Vangelo e non (o non unicamente) sulle proprie forze. C’è un’evidente sproporzione tra la ricchezza del Vangelo e la nostra povertà. La povertà di mezzi (“non portate borsa, né bisaccia, né sandali… ”), il non partire con troppi bagagli è una scelta di libertà. La missione è relazione con le persone, è accoglienza come in una famiglia e ti cambia la vita, è un fuoco che arde dentro e che non puoi trattenere.

Sono stati poi ricordati dal presule (i cui nomi sono stati applauditi con riconoscenza dalla platea) i sacerdoti della montagna “fidei donum” inviati in missione dalla diocesi: Don Pietro Ganapini, il primo nostro missionario, una vita per il Madagascar (un amore così grande alla “sua Africa” da aver espresso il desiderio di poter morir là!) e il nostro ultimo inviato, Don Marco Ferrari attualmente in Brasile. Un applauso è andato anche ai sacerdoti montanari già in missione ed attualmente tornati in patria.

Ha fatto seguito, ad opera di Don Emanuele, la presentazione della lettera di mons. Adriano Caprioli, consegnata in occasione del Giovedì Santo, 20 marzo 2008, in S. Prospero. Il testo è suddiviso in 10 paragrafi (ne enumererò solo 9 perché del 6 § ovvero “La missione dei settantadue” si è già accennato) il cui contenuto sinteticamente è il seguente.

1. La scelta storica delle missioni

La Chiesa di Reggio Emilia annovera nel suo seno figure illustri di missionari.
Mi piace ricordare, tra i tanti, per l’importanza storica (anche se non menzionato nella lettera) S. Alberto di Gerusalemme (o Avogadro),vescovo ben noto ai Carmelitani per aver scritto la loro prima “Regola”di vita ( lettera al priore S.Brocardo tra il 1206 e il 1209 ).
Nato in territorio guastallese a Castrum Gualtierii (odierno Castel Gualtieri) nel 1150, fu nominato Patriarca latino di Gerusalemme da Papa Innocenzo III nel 1205 con l’ufficio di Legato papale per la Terrasanta.
Si stabilì a S. Giovanni d’Acri (Accom) nel 1206 (Galilea occidentale, oggi distretto nord dello stato di Israele) dato che Gerusalemme era occupata dai Saraceni e lì visse fino alla sua morte avvenuta nel 1214 per mano del Maestro dell’Ospedale di S. Spirito, da lui rimproverato e deposto per la sua vita riprovevole.
Ma passiamo dal periodo della Quarta Crociata ai giorni nostri.
Alla fine degli anni ’50 , il Vescovo Mons. Socche , accogliendo lo spirito della lettera “Fidei Donum” di Pio XII, benediceva la partenza per l’India di una laica, la dottoressa Morelli e di due sacerdoti, don Ganapini e don Gualdi, per il Madagascar.
Il 24 novembre 1968, dopo il Concilio Vaticano II, Mons. Baroni scriveva la Lettera pastorale “ La Chiesa diocesana in stato di missione “ ( aveva appena effettuato il suo primo viaggio missionario in Brasile e un anno prima era partita per il Madacascar la prima equipe missionaria) dando inizio ad una prospera fase missionaria che da allora dura tutt’ora. Molta strada è stata fatta : dal Madagascar, al Brasile, all’ India, proseguendo poi ( da una decina d’anni) per il Rwanda, l’Albania e il Kossovo con un ricambio dai territori missionari di sacerdoti, religiosi, di laici, sposati, celibi, consacrati secolari, per periodi più o meno lunghi.

2. Le Missioni, Libro da tenere aperto

A tenere aperto il libro delle missioni sono ancora la necessità e il bisogno, ma non solo. Non è un caso che si parli ora nella Chiesa italiana non solo di “cooperazione tra le Chiese”, ma di vero e proprio “scambio di doni”. Oggi grazie all’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, la missione della Chiesa investe tutto il popolo di Dio, dal prete al laico. E di fatto, dopo il Concilio, sono sorti carismi e istituzioni laicali con propensione missionaria.

3. Missioni , scambio di doni

Parlare di “cooperazione tra le Chiese” può far pensare ancora in termini di una Chiesa “ricca” di soldi, di mezzi, di risorse umane che va ad una Chiesa “povera” e bisognosa di risorse. Chiesa in missione vorrebbe dire, da una parte, una Chiesa che ha tutto da dare, e dall’altra una Chiesa che ha solo da ricevere. Ma le cose non stanno così, e non sono mai state così. In realtà c’è piuttosto un rapporto di “dare e ricevere”. Ad andare in missione nessuno ci perde, ma tutti ci guadagnano: la Chiesa che manda e la Chiesa che accoglie. Basti pensare dal punto di vista umano la missione vissuta come una scuola, soprattutto per lo stile di vita più sobrio ed essenziale, meno protetto; per le relazioni interpersonali e con la gente, fatte di vicinanza, condivisione e cammino comune.
“Nessuno è così povero da non avere niente da dare, e nessuno è così ricco da non avere niente da ricevere”, diceva Madre Teresa di Calcutta.

4. Missione, modo di essere Chiesa qui

All’attività o cura pastorale che viene svolta tradizionalmente nelle nostre parrocchie si contrappone una situazione, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede: battezzati dimentichi quasi del loro Battesimo. Non mancano poi , anzi crescono, i non battezzati.
Aggiungo, poiché lo ritengo significativo, traendolo dal documento a cura del Centro Missionario del 2005 ( dall’analogo titolo dell’attuale Lettera del Vescovo) che :
“ una Chiesa non missionaria, non è Chiesa e che un cattolico non missionario, non è cristiano. Crediamo anche che tutta la vita del credente e della comunità debba essere missionaria, perché la salvezza totale, definitiva ed eterna di ogni persona è il vero obiettivo di tutta la liturgia, della catechesi, della carità, di tutte le attività e di tutto l’impegno sociale e politico della Chiesa e dei cristiani.
In questo senso, assai più che di una pastorale missionaria, abbiamo bisogno di rendere più missionaria tutta la pastorale”.
Da qui la domanda del Vescovo : come fare perché la missione faccia parte del progetto pastorale della nostra Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla?

5. L’Eucaristia al centro

Possibile prima importante risposta : la testimonianza dei nostri missionari ci insegna che i passi più importanti del loro cammino a fianco dei poveri sono iniziati davanti al tabernacolo, attorno all’altare, con in mano il Vangelo. Non è un caso che già a partire dagli anni Settanta — e mai interrotta nonostante il mutare dei tempi — don Mario Prandi abbia promosso la Messa “missionaria” del giovedì sera in S. Girolamo, simbolo ideale della centralità dell’Eucaristia ( reale presenza di Gesù vivo e risorto in mezzo a noi !) nella nostra vita missionaria , confermato dalla testimonianza di molti amici missionari anche in terra di missione. La consapevolezza di questa presenza, invisibile e misteriosa, ma reale tanto da essere stata la vera forza dei santi e di quanti hanno preso sul serio il Vangelo non potrà non produrre i sui frutti . Se vivremo così la Messa non sarà più per dovere o precetto né per sentirsi a posto con il Signore, né per fare festa insieme con quelli del proprio gruppo, o neanche per avere dei vantaggi materiali o consenso personale nella professione o in politica , ma per essere testimoni di Gesù (At 1,8) : “ avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra»

7. Lo stile dell’accoglienza, via della missione

L’opera di evangelizzazione, anche nei nostri territori, non dovrebbe richiedere strutture particolari. Per l’evangelizzazione fondamentale è la comunicazione della fede dal credente al non credente, da persona a persona. L’evangelizzazione è essenzialmente affidata ai credenti nelle loro relazioni interpersonali. È quanto succede in missione. Alla domanda fatta a un missionario di Hong Kong, dove c’è una Chiesa molto vivace, dove si celebrano molti Battesimi di adulti e ci sono diverse conversioni, la risposta è stata: “Le persone arrivano alla fede perché un amico, il collega, la fidanzata hanno loro parlato di Gesù e del Vangelo”. Questa è l’evangelizzazione da promuovere.
Solo a partire da una buona qualità dei rapporti umani sarà possibile far risuonare nei nostri interlocutori l’annuncio del Vangelo: essi l’hanno ascoltato, ma magari sonnecchia nei loro cuori in attesa di qualcuno o di qualcosa che ravvivi in loro il fuoco della fede e dell’amore.
Oggi, lo stile missionario ha poi nel diaconato permanente e nei ministeri istituiti una grande nuova risorsa. La presenza del diacono nella professione, nella vita familiare, negli impegni caritativi e amministrativi della comunità, nell’animazione dei gruppi di Vangelo nelle case, nella preparazione di liturgie domenicali meglio partecipate, sono occasioni preziose per dilatare l’influenza del Vangelo.
La Chiesa Reggiana anche in questo campo vanta una tradizione importante a livello nazionale ad opera del famoso Don Alberto Altana, promotore illuminato del diaconato.

8. Educare alla mondialità

Anche per il futuro, vocazioni al ministero e alla missionarietà, saranno suscitate e incoraggiate, rafforzate e guidate in maniera decisiva da modelli di vita concreti: da preti testimoni di vita anche umanamente piena ed appagante, dedicando tutto sé stessi a Cristo; da missionari, che ritornano tra di noi per educarci alla mondialità — nel linguaggio cristiano si direbbe meglio alla “cattolicità” —, ad “allargare i pali della tenda” della nostra Chiesa particolare, evitando di “trattenere” i giovani da scelte coraggiose per interessi e necessità parrocchiali e locali.
Non mancano nella nostra Diocesi i luoghi per una formazione orientata alla missione: il Centro Missionario , Reggio Terzo Mondo , la Caritas, i campi estivi promossi dai vari gruppi, le Case della Carità, dove l’impegno verso i poveri parte dall’Eucaristia celebrata e adorata, messa a fondamento di ogni giornata di servizio!
L’invito ai giovani è a vedere sempre più il servizio della missione in prospettiva vocazionale.

9. Andare sul territorio

Le lettere scritte non servono, se non vengono accompagnate, andando sul vasto territorio diocesano, là dove la comunità cristiana e in concreto le parrocchie sono chiamate a riscoprire il loro volto missionario. È dunque nella pastorale ordinaria che anche questa lettera sulla “Chiesa missionaria: un’eredità per il futuro” sta o cade, trova il terreno per germogliare o restare sotterrata come il talento evangelico.
Le modalità di accompagnamento possono essere diverse. È per questo che il Vescovo sta visitando con l’équipe responsabile del Centro Missionario Diocesano, in particolare con don Emanuele Benatti, i Vicariati, incontrando i Consigli pastorali, i gruppi missionari e di volontariato, anche quelli laici, i giovani, vicini e lontani, tutti i giovani della nuova generazione, anche quelli che non frequentano o si incontrano solo saltuariamente.

10. Ai preti, diaconi, seminaristi … (e a tutti !)

Al cuore di questa dimensione missionaria della stessa pastorale ordinaria, insieme alle persone consacrate e i laici, c’è sempre il Vescovo con i suoi preti, diaconi e seminaristi. Pur assillati dal grave problema della diminuzione e della età avanzata del clero, non è stata diminuita la nostra presenza e il nostro impegno nelle terre di missione.
L’apertura anzi di alcune nuove missioni (Rwanda, Albania e Kossovo) testimonia una volontà missionaria ancora intatta, avvalorata anche dall’introduzione del corso di missionologia presso lo Studio Teologico con approfondimento delle motivazioni bibliche ed ecclesiologiche.
Il Vescovo ha raccontato poi che incontrando un sacerdote che gli confermava la sua disponibilità a partire per le missioni pur in età avanzata, alla sua domanda su “che cosa lo spingesse si è sentito rispondere: “C’è un tempo per partire e un tempo per tornare… e bisogna essere attenti a non lasciarlo passare invano!”. Sì, c’è un tempo per osare senza calcolare troppo, coltivare il sogno e consegnarsi al compito, “prima che sia troppo tardi!”.
La Lettera termina con il testo scritto dall’ Equipe missionaria in Madagascar alla nostra Chiesa il novembre scorso, in occasione del 40° dell’avvio della missione malgascia :

«Voi malati e sofferenti, non abbiate paura quando il vostro dolore vi sembra inutile e le vostre preghiere non ascoltate: forse ci sono benefici nascosti, magari a 9000 km di distanza, che nel misterioso disegno di Dio producono un sacco di bene.
«Voi bambini non abbiate paura a sognare un mondo nuovo, anche se i grandi a volte non capiscono: è lo stesso sogno di Dio, e con lui potete realizzarlo.
«Voi giovani non abbiate paura a donare tutto voi stessi per amore, a Dio e ai fratelli, magari partendo anche per la missione: ogni cosa che doniamo a Gesù e ai fratelli con generosità e gioia, ci ritornerà cento volte tanto in pace e beatitudine. Servire per amore è il segreto della felicità.
«Voi famiglie non abbiate paura a partire o a lasciar partire i vostri cari: sono investimenti nel Regno dei cieli!
«Voi parrocchie non abbiate paura se qualcuno parte (un prete, una suora o un laico impegnato) o se vi sembra vi mancherà qualcuno o qualcosa: donare vi allarga il cuore e le braccia, e godrete così di una vitalità nuova che nemmeno immaginate.
«Voi religiosi/e e preti, non abbiate paura a partire personalmente o tramite qualcuno della vostra congregazione, anche se vi sembra di essere troppo in pochi, vecchi, malati e che i bisogni siano troppi: il "tentare" la Provvidenza è un farla contenta, perché può regalare i suoi tesori, e questa disponibilità sarà sicuro seme di vocazioni e di santità».