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Traforo del Cerreto, continua lo scambio di pareri

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Riceviamo e pubblichiamo il seguente intervento indirizzato dai consiglieri capigruppo delle minoranze in Comunità montana alla presidente dell'ente.

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Nello scorrere la risposta di codesta giunta comunitaria alla nostra lettera aperta del 12 febbraio scorso sul traforo del Cerreto viene in primo luogo da pensare che il suo estensore, o ispiratore, fosse totalmente all’oscuro dei nostri precedenti in tema di viabilità montana (e si ha inoltre l’impressione che non fosse neppure presente alla seduta consiliare dello scorso 5 dicembre).

Non sapremmo spiegarci diversamente il rilievo che ci iene mosso, quello cioè di non aver usato da parte nostra una interpellanza, interrogazione o mozione, prediligendo invece la via della lettera aperta, sostanzialmente al fine di montare una polemica pre-elettorale.

Un rimprovero che suona abbastanza improprio e stonato, dal momento che noi abbiamo utilizzato la lettera aperta (che, in quanto a stile relazionale, è comunque preferibile alla freddezza di un comunicato, affidato peraltro all’ufficio stampa) dopo aver percorso senza fortuna le altre strade, da ultimo la mozione avanzata ad inizio novembre, e che venne poi respinta dalla maggioranza nel Consiglio del 5 dicembre.

Non occorreva d’altronde ricorrere ad alcuna interpellanza, e similari, per ribadire da parte nostra il principio che la pianificazione territoriale deve avvenire attraverso un percorso collegiale, e non già tramite azioni monocratiche e autoreferenziali, ovvero a mezzo di annunci di singoli amministratori, per quanto autorevole possa essere il loro ruolo.

Il territorio è infatti un bene irripetibile, un patrimonio di inestimabile valore, il cui utilizzo richiede di confrontare le varie esigenze ed esperienze in campo, soppesando le priorità e l’insieme delle compatibilità. Anche i punti di vista divergenti non vanno sempre visti come una inutile pastoia, perché possono aiutarci ad evitare i “guasti” ambientali che nel tempo si sono andati determinando, e possibilmente rimediarvi.

Per dette ragioni anche l’ipotesi del traforo del Cerreto, similmente alle altre opere di pari significato, andava inserita nel quadro più complessivo della programmazione territoriale, e doveva quindi entrare nel processo di formulazione del P.T.C.P. (piano territoriale di coordinamento provinciale).

Non abbiamo perciò condiviso il fatto che la presidente della Provincia ne abbia parlato, con una qualche innegabile enfasi, solo ad inizio febbraio, seguita a ruota dall’entusiastico consenso dei vertici della Comunità montana, quando fra l’altro erano già scaduti (dal 18 gennaio) i termini per la presentazione delle eventuali osservazioni al P.T.C.P.; così come sarebbe risultata tardiva la convocazione di un apposito Consiglio comunitario dopo tale data (il che ci portò a non ritirare la nostra mozione, visto che la stessa cadeva in tempo utile).

Del resto non è da adesso che si ragiona di galleria di valico, come abbiamo ricordato nelle nostre righe del 12 febbraio. A ulteriore conferma, proprio in questi giorni ci è venuto tra le mani un articolo di stampa del luglio 1996 in cui l’allora sindaco di Collagna caldeggiava la Reggio-mare, e se ora qualcuno volesse farla passare per una novità, ed una propria esclusiva, verrebbe da rispolverare la classica frase, ossia che la montagna ha partorito il topolino.

Andando sul concreto, vi è stato tutto il tempo per approfondire questo argomento, e valutane più compiutamente la reale fattibilità. A loro volta, gli attuali sostenitori del progetto, al di là della sua primogenitura, potevano farlo entrare tra le opzioni esaminabili all’interno del P.T.C.P., vuoi per sottoporlo al necessario avallo tecnico-economico, vuoi per acquisire il parere di quei corpi sociali che hanno a cuore il futuro del nostro comprensorio (anche perché vanno messe in fila le cose da fare, partendo verosimilmente dalla manutenzione dell’esistente).

Visto che gli amministratori (di maggioranza o di minoranza) non sono per solito dei tuttologi, e dovrebbero guardarsi bene dall’improvvisarsi tali, il vaglio appena menzionato diviene imprescindibile, se non si vuole che il dire dei politici, quando reclamizzano interventi pubblici importanti, sappia di proclami astratti e strumentali, questi sì di pura marca elettoralistica, anche perché spesso si trasferiscono su altri soggetti gli oneri della realizzazione; salvo poi innestare la retromarcia una volta esaurito l’effetto annuncio, invocando a posteriori un impegno comune e trasversale, che chiama in causa anche le componenti in precedenza escluse o perlomeno non coinvolte (da quanto leggiamo sui giornali pare essere successo così per la via Emilia bis).

Per quanto riguarda la nostra zona noi non ci sottraiamo di certo alla collaborazione, come abbiamo sempre sostenuto e qui confermiamo, non soltanto in tema di viabilità-mobilità, perché non ci manca la “cultura di governo” e perché sappiamo bene che oggigiorno la complessità di tanti fenomeni richiede il più ampio concorso di idee e di sforzi, ma gli accordi ampi e le proposte condivise di cui parla ora codesta giunta comunitaria presuppongono un diverso modo di incedere da parte della maggioranza.

Il concetto non cambia anche quando passiamo all'agricoltura, per la quale il vostro comunicato così si esprime: il processo, avviato negli ultimi tempi, di delegittimazione del ruolo e delle competenze delle comunità montane non aiuta a svolgere al meglio le funzioni che loro competono.

Intanto l’affermazione ci sorprende, e non poco, perché non si contano le volte in cui, come minoranza, abbiamo domandato di portare l’argomento in Consiglio, proprio al fine di rilanciare compiti e funzioni di questo nostro Ente, ma anche qui senza risultati.

In ogni caso, al di là di questo non entusiasmante aspetto, nulla avrebbe comunque impedito alla nostra Comunità montana di avanzare proposte alla Regione quando stava prendendo forma il P.S.R (Piano di sviluppo rurale). Per fare degli esempi, oltre al noto problema riguardante la quota dei fondi destinati alle aziende montane, non è da oggi che insistiamo sul progressivo abbandono dei coltivi, una tendenza che andrebbe in qualche modo arginata, e possibilmente invertita, agevolando la lavorazione e il recupero dei terreni anche da parte di quei proprietari (o loro eredi) che non si configurano più come imprenditori agricoli (le forme di sostegno non sono solo di natura economica).

Ci sono poi i danni causati alle colture dagli ungulati selvatici, una questione che sembra destinata ad acuirsi, stando alle ricorrenti proteste degli interessati.

In merito noi non abbiamo soluzioni pronte e certe (anche perché non disponiamo del supporto tecnico degli uffici alla stregua della giunta), ma non ci mancano le opinioni al riguardo, che vorremmo raffrontare con le altrui tesi, specie quelle degli addetti ai lavori; ed è per questo che andiamo da tempo chiedendo a codesta presidenza di promuovere un incontro con le organizzazioni agricole, ma stiamo ancora aspettando.

Speriamo che sia la volta buona, anche perché di recente, e proprio con riferimento al PTCP, abbiamo visto levarsi altre voci preoccupate per la diminuzione, e la perdita, su scala provinciale, delle superfici agricole e coltivate, a comprova che il fenomeno è sempre più avvertito, anche per i riflessi che può avere sulla produzione alimentare, e quindi sulla nostra tavola.

Confidiamo che nel tempo che ci separa alla fine del mandato la S.V. non lasci cadere quanto abbiamo qui cercato di rappresentare.

(Marino Friggeri, Riccardo Bigoi, Paolo Bolognesi, Giuseppe Moncignoli e Davide Morani, consiglieri capigruppo di minoranza)