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Addio ai monti

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Pubblichiamo di seguito il saluto del parroco di Vetto, don Carlo Castellini, che compare sul bollettino Camminando... di questa settimana.

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Luna calante dietro il Faille. Silenzio, aria fresca, il cielo stellato: ambiente ideale per la riflessione. Pensieri e ricordi che si rincorrono, come riavvolgere un video pieno di volti, nomi, luoghi e incontri, a partire da quella domenica 18 marzo 2001. 8 anni e mezzo, 102 mesi, circa un decimo (a Dio piacendo!) della vita, condivisa con tanti: qualcosa di importante, che ti lascia un segno indelebile, che ti resta dentro, che è diventato una parte di te.

Essere preti non è mai stato facile, oggi forse lo è ancora meno, perché non sei più tutelato dall’abito, dal ruolo, da quell’alone di sacro che la secolarizzazione ha fatto svanire. Sei buttato lì, uno in mezzo a tanti, in tante altre faccende affaccendati, a parlare di Cristo. Tutti sanno che è realmente esistito 2000 anni fa, molti riconoscono che ha detto belle parole e che i suoi insegnamenti valgono ancora oggi, ma pochi Lo sentono ancora vivo, qui, in mezzo a noi. Un Dio che sostiene e dà senso ad ogni attimo della vita, anche ai momenti dolorosi, perché la sua Risurrezione ha cambiato per sempre, in positivo, il corso della storia umana. Un Dio incarnato nella Chiesa, un Dio che dà vita, speranza, amore, luce di verità nella coscienza, è troppo vicino, ingombrante, fastidioso, per essere accettato facilmente.

Soprattutto se per decenni lo si è predicato come il Dio dei divieti, di una morale solo negativa: “non desiderare, non rubare, non… non…”. Siamo così caduti nell’ateismo pratico, con l’esaltazione del vero “dio” di oggi: l’IO, cioè il dio dei miei gusti, dei miei comodi e piaceri. In questo contesto materialistico e d’indifferenza, se non d’insofferenza, verso Dio, l’incontro con la “mie” prime Parrocchie, malgrado io, montanaro, entrassi in un ambiente montanaro, non è stato facile, né senza ferite. Alla fine però, e penso che questo sia un meraviglioso dono della Misericordia di Dio, mi restano impressi solo i ricordi più belli, anche degli incontri con coloro che non ho o che non mi hanno compreso.

In mezzo alla tristezza che mi rinnovano in questi giorni le telefonate di persone dispiaciute, mi consola non poco portare nel mio cuore tante cose belle, come il piccolo ma significativo gruppo di ragazzi che ho “preso” in II-III media e che oggi vedo lanciato nei primi studi universitari e che mi hanno seguito con fedeltà e dedizione in tutte le iniziative, soprattutto in quelle gioiose ma anche faticose dell’oratorio invernale e del CRES estivo.

Ricordo e porto con me le favolose, instancabili donne dello gnocco e della pesca (e delle pulizie in chiesa, anche quelle di Cola, Crovara, Gottano, Groppo e Piagnolo !), che tante volte si sono prestate con generosità a fronteggiare i tanti servizi pratici, ma anche ad animare la Messa con la loro presenza costante.
Ricordo i malati, fermi nelle loro case, ma sempre forti e sereni nella Fede, gioiosi nel ricevere il Signore nella Santa Comunione: sono il tesoro più grande della Chiesa, perché portando la loro croce attirano su di noi peccatori la Misericordia di Dio e la Grazia. Ricordo gli ospiti e il personale della Casa protetta, un luogo in cui si impara a curare le ferite del corpo e dell’anima, un luogo in cui si imparano la tenerezza, la semplicità e l’umiltà perché si tocca con mano la fragilità umana, cioè ciò che fra poco saremo…

Ricordo le catechiste, che in mezzo a tante difficoltà continuano ad amare i bambini e a testimoniare loro la presenza del Signore. Ricordo i coristi che hanno reso più gioiose e solenni le nostre liturgie festive e commoventi i tanti funerali. Ricordo i volontari della bocciofila “Bergonzani” e del Circolo “San Lorenzo”, entusiasti e generosi nella costruzione (2002/2006) e oggi nella conduzione. Ricordo i diversi conduttori del bar del Circolo ANSPI, la loro simpatia e la loro pazienza…

Ricordo le tante persone sole che vivono nelle 22 borgate delle mie 5 parrocchie: non sono riuscito a stare loro vicino come avrei voluto, essendo stato troppo occupato da troppe incombenze amministrative… Ricordo anche i tanti giovani che non frequentano più la chiesa: vorrei poter dire loro che prego spesso per loro e li ricordo in particolare quando nella Messa dico: “Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli, ovunque dispersi…”; non li sento per niente lontani, anche se non sono riuscito a stare loro vicino…

Al momento della partenza, ormai vicino, mi assista l’esempio del nostro padre nella Fede Abramo, che partì “senza sapere dove andava” (Ebrei 11,8), fidandosi solo della Bontà e della Provvidenza di Dio. Se sul piano umano “partire è un po’ morire, sul piano cristiano “morire è un po’ risorgere”, da quel luminoso mattino di Pasqua che noi rinnoveremo, celebrandolo insieme, anche questa Domenica.

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3 COMMENTS

  1. Genti e terra nuova
    …Si consoli Don Carlo. Pare che la più grande scoperta della storia sia opera di un Tizio che non sapeva bene dove stesse andando nè tantomeno dove sarebbe arrivato! Del resto, Voi sacerdoti ci insegnate che la vita non è staticità ma movimento; è tutta un pellegrinaggio, verso il nostro cuore… Capisco anche il dolore della partenza, ma come Lei mi insegna il Calvario non è MAI… l’ultima puntata!
    Che Dio la benedica!

    (Umberto Gianferrari)