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A proposito di missionari: se ne parla solo quando vengono rapiti o uccisi

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Dei missionari si parla se vengono rapiti o uccisi in modo drammatico, altrimenti non fanno notizia, almeno a livello nazionale. Là dove sono, operano, evangelizzano, promuovono socialmente il povero, con l’istruzione, l’educazione alla salute, lo sviluppo dell’agricoltura e del commercio equo solidale, là sono rimpianti quando vengono a mancare, essendo forse l’unico punto di riferimento di fronte all’ingiustizia, alla violenza.

In Bangladesh è venuto a mancare per incidente automobilistico, investito da un camion, padre Giovanni Abbiati, un saveriano valtellinese da oltre 30 anni al servizio di quella popolazione povera, colpita spesso dalla natura, per loro crudele, con continue alluvioni, che rendono sempre più precaria la loro vita.

Era riconosciuto come “padre”, come non capita tutti i giorni qui da noi, dove il prete è spesso visto come “un funzionario”, che si deve avvicinare per il battesimo o per il funerale, qualche volta per un matrimonio. Un giorno, fuori dal New Market di Sealdah, padre Giovanni si imbatte con un gruppo di donne, che chiedevano l’elemosina: “Io non sono il padrone, i padroni solo loro”, indicando i suoi ragazzi di strada, che erano stipati sull’automobile. Prontamente essi hanno risposto: “Ma noi non abbiamo niente!”. Al che, una delle donne, ha prontamente ribattuto: “Non è vero. Voi avete lui! Voi avete il Padre”.

Quanti padre Giovanni sono partiti giovani dai nostri paesi e dalle nostre città per annunciare il Vangelo in terre lontane, per dare dignità ai miseri e agli abbandonati? Se facciamo la conta, sono centinaia, migliaia in questi ultimi cento anni: dalle Diocesi, dal PIME, dai Salesiani, dai Francescani, dai Saveriani, dai Comboniani… E con loro tanti giovani, che hanno scelto di fare del volontariato in missione per non lasciare soli i missionari e per dare senso alla loro vita, nel dono di sé, del proprio tempo e lavoro.

Come Italiani non possiamo che esserne fieri, ma nello stesso tempo siamo invitati a sentirci responsabili di questa Chiesa in missione: adottando i poveri con le adozioni internazionali, un buon fiume di denaro che si trasforma in opere e servizi educativi, sanitari, sociali, ma accogliendo anche coloro che dalle terre di missione vengono a noi per motivi di studio, per lavoro, per ritrovare una dignità offesa dalla guerra. Sono riflessioni suggerite dalla Giiornata Mondiale missionaria che si celebra domenica nelle Chiese del mondo: un gesto di gratitudine e di impegno per costruire la “civiltà dell’amore”, che renda fraterni i popoli della Terra. Per questo molti missionari hanno pagato con la loro vita, morendo da “martiri”.

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