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Il dolore innocente ci interpella! Ascoltiamone la voce!

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Lasciatemelo scrivere. E’ stato un attimo. Forse, un’impressione ingenua, che ha inondato il mio cuore di gioia e di commozione. No, non era il sole ad illuminare la piazza del Duomo a Milano ma il sorriso di don Gnocchi, che dall’alto della cattedrale si rinnovava per tutti coloro che lo contemplavano nella semplicità della sua immagine. Mi sembrava circondata dai suoi ragazzini, dai suoi alpini, che gli avevano salvato la vita, ai quali aveva promesso di essere padre dei loro bimbi, feriti dalla guerra, dai medici, dai volontari, da tutti coloro che tenevano in piedi “la sua baracca”.

Un vero “miracolo a Milano”. Non, non quello del film di Vittorio De Sica, ma il miracolo della Carità, di cui Don Gnocchi era autentico testimone. Ma durò poco quell’impressione perché tra le mani avevo un numero di “Civiltà Cattolica” che parlava di bimbi malati. Era del 18 aprile 2009. E tra di me, ho invocato don Carlo, il beato don Carlo, perché contagiasse anche noi della sua “attenzione concreta” al dolore innocente. Contagiasse anche i potenti, coloro che evitano di lasciarsi interrogare dallo sguardo dei bimbi, che soffrono. A loro si presentano solo i bimbi belli, quelli sani, vestiti come si deve! Forse non solo a loro, perché anche noi siamo infastiditi da incontrarli sul metrò, per strada, accattoni per forza!

Dati allarmanti quelli dei bimbi ammalati, dei bimbi uccisi dalle guerre, che noi ignoriamo, preoccupati di vaccinarci per la pandemia più che dei due milioni di bambini, uccisi negli ultimi dieci anni di conflitti armati. Avrebbe da percorrere migliaia di chilometri il Don Carlo degli alpini, molti di più dei suoi viaggi nelle valli bergamasche o del trentino a rassicurare le mamme vedove con i bimbi mutilati: “Ci penso io! L’ho promesso a suo papà!”.

Sei milioni sono i bimbi rimasti mutilati in questo decennio, in Africa la malattia tremenda dell’Aids colpisce 7.000 bambini al giorno e ha creato 14 milioni di orfani.La povertà resta la causa principale delle malattie dell’infanzia; il 30% dei bambini con meno di 5 anni soffrono la fame e sono malnutriti; 250 milioni di bambini al di sotto dei 15 anni lavorano: tra questi circa 60 milioni vivono in condizione di pericolo.

Che fare? Potremmo continuare a fare finta di niente, rimuovendo il dolore innocente dalla nostra coscienza oppure farcene carico, prendendocelo a cuore. Don Gnocchi, il Beato Carlo, non avrebbe esitazioni, si farebbe loro portavoce. lui che si era buttato con entusiasmo negli oratori, tra gli studenti, tra gli alpini, tra i mutilatini, i poliomelitici, gli anziani, tra i più deboli della società.

Il suo sorriso, che illuminava la piazza del Duomo, sarebbe tuttavia velato dalla tristezza di chi si rende conto di quanto lavoro è richiesto per rispondere ai bisogni essenziali dei bambini, di quanta ingiustizia regni nei loro confronti, di quante contraddizioni sono circondati. Nelle società occidentali, i bambini si ammalano perché sono «nutriti troppo» e manca loro «la presenza affettuosa di genitori (sostituita) con la baby-sitter catodica chiamata tv, e dei loro amici, rimpiazzati dai videogiochi. Nei Paesi in via di sviluppo, invece, si ammalano «a causa della sottonutrizione, carenza di igiene, di acqua potabile e di prevenzione, l’insalubrità degli ambienti, lo sfruttamento sessuale, i traumi da conflitti e dalla perdita dei genitori».

Siamo chiamati a «ripensare un mondo più giusto, a misura dei nostri e degli altri bambini». Anni fa, stavo tentando di mettere in scena un libro di Elsa Morante: “Il mondo salvato dai ragazzini”. Mi piaceva il titolo, era interessante la storia ma non ci sono riuscito. Oggi, di fronte al dramma dei nostri ragazzini, mi viene da ripetere che solo loro possono cambiare il nostro mondo di adulti, se sull’esempio dei santi educatori, di don Gnocchi – non mi è facile chiamarlo “beato”, fin da ragazzo per me era don Gnocchi e basta! – ci lasciamo trasformare da loro, andando incontro, accogliendoli, curandoli, offrendo speranza, gioia di vivere. E’ davvero triste una società che non ascolta “il dolore innocente”, che non dona ai ragazzini la «tenerezza», che rassicura e attenua la paura, «l’amore» che risponde alla disperazione e la «fede», che allevia e dà senso al dolore.