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Rosso Natale

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Mentre nel nostro nord si parla di Natale “in bianco”, di “White Christmas”, approvato anche da autorità che contano, dove i sacrificati sono i soliti immigrati da allontanare, da mettere al margine per la sicurezza dei cittadini; mentre la Chiesa, nel nome del Papa, chiede a stati e organismi internazionali di rispettare i loro diritti, di favorire istruzione, lavoro e integrazione per i bambini immigrati e interviene concretamente in loro aiuto negli oratori, nelle varie Caritas, nei gruppi di volontariato; mentre accade tutto questo, nel mondo il Natale si colora di “rosso”.

Non quello dei vari Babbi Natale, che ornano i mercati del consumismo, delle “stelle rosse”, vendute anche a scopo benefico, ma quello del martirio anonimo, nascosto, dimenticato, confinato tra le notizie di poco conto, di tanti nostri fratelli cristiani, che subiscono violenza per la loro fede e di altri, appartenenti ad altre religioni, che la miseria e la fame “falcidia” ogni giorno.

“Vogliamo vedere Gesù”, è l’invito dei nostri pastori e Gesù lo incontriamo “martire” già nel presepe: l’ombra della Croce si stende su di Lui fin dalla nascita, conoscendo l’emarginazione, nascendo fuori dalla città, nella povertà. La gioia del Natale è viva nell’amore grande che lo fa incarnare per noi, nel volto della giovane Madre, che lo ha accolto senza riserve, in quello di Giuseppe, che accetta il suo ruolo di “ombra dl padre”, in quella dei pastori che si sentono privilegiati, anche loro fuori della città, al margine, di essere i primi a ricevere il grande annunzio.

Ma la gioia non può essere piena, sapendo che il Natale è “in rosso” per tanti nostri fratelli. Ai nostri ragazzi e alla nostra gente va detto che sappiano vivere il Natale con sobrietà e solidarietà, per ragioni di giustizia nei confronti dei poveri, di fraternità con chi “soffre e muore” perchè di Cristo, il primo dei martiri. Il martirio è il "filo rosso" - autentico filo di amore - che ha attraversato ed attraversa tutta la storia della Chiesa. Anche l'ultimo secolo ne è stato così segnato, da poter essere detto "secolo di martiri". Opportunamente, il Papa Giovanni Paolo II ha voluto che il Grande Giubileo fosse l'occasione per raccogliere sistematicamente la memoria dei nuovi martiri, a edificazione della Chiesa del terzo Millennio.

Spesso sono martiri sconosciuti! Non hanno nome, neppure l’onore della cronaca sui nostri giornali! Sono i martiri di Orissa in India, di Kabul in Afganistan o in Pakistan o in Sudan… C’è da chiedersi se sono presenti nel cuore e nella preghiera dei nostri cristiani, dei nostri ragazzi e giovani, molti dei quali ignorano il genocidio del Rwanda, i bimbi obbligati alla guerra di Sierra Leone. Ignorati dagli uomini, non lo sono certamente da Dio, che ha donato loro la grazia del martirio. L’ha donata, perché il martirio non è mai un caso. Sono tanti i giovani, uomini e donne che, nel nome di Cristo, si sono posti pienamente al servizi dei fratelli, con l'audacia di un amore che non calcola, pronti a spendersi nel dono della vita. Tutti insieme questi martiri formano l’unico volto del Signore.

Annalena Tonelli è una di essi. La sua vita è stata stroncata il 5 ottobre 2003, mentre lavorava tra i poveri in Somalia. Tra le sue carte, una memoria dolcissima, che è la motivazione del suo andare in Africa, in un’area a rischio, pericolosamente a rischio. Sono parole che interrogano i “tifosi” del Natale in bianco, dei sostenitori dei vari White Christymas, di chi si pone in atteggiamento discriminatorio di fronte ai nuovi poveri, che arrivano in Italia.

Ha scritto Annalena: "I poveri, i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, sono i prediletti agli occhi di Dio. Hanno bisogno di noi e noi dobbiamo essere con loro e per loro e non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano. I poveri ci attendono. Inventiamo qualcosa per loro e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita. La vita ha senso solo se si ama. Nulla ha senso al di fuori dell’amore. Ho vissuto per anni nel mezzo della guerra. Ho sperimentato la cattiveria dell’uomo, la sua crudeltà, la sua iniquità e ne sono uscita con una convinzione incrollabile: che ciò che conta è amare. Solo l’amore ha un senso, solo l’amore libera l’uomo da tutto ciò che lo rende schiavo, solo l’amore fa respirare, crescere, fiorire, solo l’amore fa sì che non abbiamo più paura di nulla, che noi porgiamo la guancia a chi colpisce perché non sa quello che fa, che noi rischiamo la vita per i nostri amici, che tutto crediamo, tutto sopportiamo, tutto speriamo. Ed è allora che la nostra vita diventa degna di essere vissuta. Ed è allora che la nostra vita diventa bellezza, grazia, benedizione".