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Don Giordano 31 / Gerusalemme: molta fatica, ma ancor più gioia

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Come abbiamo fatto nei momenti più significativi, lasciamo direttamente a don Giordano il compito di raccontarci la serie di eventi cui è andato incontro. L’arrivo a Gerusalemme è stato per davvero patito. Per esigenze di spazio abbiamo sintetizzato la lunga nota che ci ha inviato, ma si capisce ugualmente bene la tribolazione prima e la gioia dopo che ha provato al suo arrivo. Anche qui ha incontrato persone che l’hanno accolto ed aiutato. Ecco cosa ci ha detto.
(rr)

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Sono a Jenin in Samaria, il cielo è scurissimo e arrivo al monte Nebo, ma è avvolto da folti nubi e il tempo non promette nulla di buono. Non vale la pena salirvi, preferisco dirigermi verso il Mar Morto. Trovo una grande discesa e un paesaggio lunare che pare portare alle viscere della terra. A un certo punto inizia a piovere. Incredibile: un mese senza pioggia e nel bel mezzo del deserto un forte acquazzone di 5 minuti.

La strada diventa scivolosissima e la discesa ha una pendenza molto pericolosa che pare non finire mai. Arrivato in fondo c’è un caldo pazzesco e sono solo le 8 del mattino. Trovo Ennon, il luogo dove Gesù è stato battezzato e sapere che lui è stato qui in mezzo a tanti uomini mi mette i brividi. Verso le 11 sono ad Alleny Bridge per passare ad Israele. Alla frontiera Giordana ci tengono fermi un’ora e ci obbligano a salire su di un pullman per poter transitare. Protesto (poco, mi conviene…).

Quando mi vedono mi riempiono di domande, gli agenti paiono abbastanza divertiti nel vedermi con la bicicletta, ma mi impressiona vederli così giovani e tutti con un mitra accollato. Continua a perdurare una nebbia, in realtà formata dalla sabbia del deserto levata dal vento che limita la visibilità ad una cinquantina di metri.
Riprendo il viaggio ed arrivo a Gerico: dicono sia la città più antica del mondo con la sua storia cominciata 10mila anni fa. Non mi fermo, ho voglia e fretta di arrivare a Gerusalemme. La strada si inerpica con una pendenza del 10% che arriva subito dopo al 20% in un ambiente di montagne desertiche. Ad un certo punto vedo un giovane su di un somaro e ci mettiamo a parlare in inglese. Sto seguendo la giusta via e infatti trovo la statale poco dopo. Pedalo continuamente, la polvere del deserto mi entra in gola e ho finito l’acqua in borraccia, non c’è una casa lungo la strada. Ho molta sete e la gola brucia.

Finalmente vedo un’indicazione per il “Monte degli Ulivi”, la prendo e trovo un negozio. Mi scolo in un sol colpo un litro di succo di frutta e non so quanta acqua. Ennesima salita, strada molto sporca e trafficata e la sabbia continua a rendere scarsa la visibilità (dicono sia un fenomeno di correnti che trae origine dall’Egitto e succeda un paio di volte l’anno). Vedo un muro, il cuore mi palpita, chiedo. E’ Gerusalemme!

Mi infilo dentro la porta (è quella di Erode) e trovo il quartiere arabo, sono già le otto di sera e voglio andare al Santo Sepolcro ma temo stia chiudendo. Lo trovo, ma un monaco armeno non mi fa entrare per via del mio abbigliamento “poco pellegrino” e troppo sportivo. Mi infilo nel primo vicolo che trovo, tiro fuori e indosso i pantaloni e mi accorgo di essere ricoperto completamente da una polvere fine che assieme al sudore fa un bell’impasto. Non me ne frega niente. Entro in basilica. Proprio all’ingresso c’è la pietra dove è stato posto il corpo di Gesù. Mi inginocchio con la fronte e vi appoggio le mani. Piango.

Penso a tutti voi, alle tante persone che hanno pedalato con me, alle loro pene. Penso che è per loro innanzitutto che sono venuto qui, a vedere questa tomba vuota. Per dare una speranza vera. La vorrei come raccogliere, estrarre da questa pietra che ormai è tutta bagnata dalle mie lacrime e portarvela. Poi vado a pregare sul Golgota e infine al Sepolcro. Ora sono davvero arrivato!

Una suora (si chiame Kate e viene dal Canada) alla quale ho chiesto informazioni mi accompagna dai frati dove intendo alloggiare, ma nessuno ci risponde. Mi porta allora in un ostello gestito da religiosi francesi. Sono pieni e non hanno posto. Andiamo dove alloggia lei, dai padri Bianchi della Chiesa di Sant’Anna. Mi accoglie padre Domenico con grande gentilezza, mi fa preparare una stanza e una buona cena. Parliamo in italiano, inglese e francese. Telefono a mia mamma. E’ stata una giornata bellissima.

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Dovremmo in realtà raccontarvi tante altre cose, ma quanto ci ha descritto don Giordano crediamo possa (almeno per ora) bastare. Il viaggio di don Giordano non è però finito qui e continueremo ad aggiornarvi di quel che succede.

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